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Per restare nell’ombra

 
Dai piedi in avanti disegno la stessa figura
dell’agave fiorita sullo strapiombo: la sua ombra
precipita e risale continuamente. Vengono in mente
i rondoni che ruotano a macchie snelle: il mulinello
realizzato con un ingranaggio moderno non è così
mobile, ma è avanzato.
 
La strada per il convento si ferma 

a prendere fiato, secondo Matteo, in questa piazzola.
Matteo ha un profilo da occidente aperto
al tramonto con la sapienza della sera:
cita versetti senza tregua e rompe i discorsi.
 
Qui potrebbe aprire un ristorante cinese,
ma questa cosa non ha tanto senso, perchè
non sarà possibile arrivarci con il risciò.
Il risciò dovrebbe venire dal basso tirato
da un diavolo in changshan rosso, sopra però
c’è soltanto il convento e si sa come i cinesi
riducano le corse ai monasteri.
 
Sediamoci e godiamo delle gambe penzoloni
o dei ricordi più teneri che tardano a venire
tra noi. Sarà una lunga salita. La stanchezza
al punto giusto notifica come alcuni
sollecitino una riflessione sul cielo. Altri
restituiscono al sole raggi esausti. Si ripropone
in tal modo l’idea di essere specchio a danno
degli occhiali. Riflessi inutili più che miopi.
 
È meglio tacere quando si entra nella galleria
in capo al viadotto. Il rimbombo dei motori
imballati sembra la voce dei mostri della Marvel.
Chissà se Stan Lee, creando supereroi, sorride.
Chissà quale dio ha sorriso quando ancora schizzava.
 
C’è un sentiero che attraversa il pendio,
una costola della collina emerge
per un suo tratto riconoscibile e bianco.
Giunto al convento, l’osso della roccia
è il pellegrino con una vena ascetica
che prega perché le radici lo tengano stretto.
Non c’è segno che la frana si trattenga.
Poi arriviamo noi, molecole del diavolo,
che fanno rotolare sassi sulla processione.
Non siamo fatti per somigliare ai fiori.
 
 

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