Scritto da © ferdigiordano - Lun, 04/11/2013 - 18:49
La statua di bronzo, dove viene
l’ossido con tinte di passione, simula i feretri
della guerra, rivelando l’artista dalla ruggine
non prevista nella creazione
- come completamento, come prassi del futuro.
Esposta, è quella la forma dell’eroe. Il gesto
che spezza le catene con un pennacchio di piume
viene dall’idea che esista una corsa nuda
conquistata dalla libertà oltre il petto
- come orizzonte, come anello debole dell’orizzonte.
Nel confronto con la statua, il passante
ama di più la corsa che gli sguardi profondi.
Non siamo alieni alla comprensione,
siamo poco durevoli, siamo corti e lenti
e dobbiamo difenderci con il carapace immondo
- come la bocca, come una testuggine flessuosa.
La statua è soprattutto eco e guscio. Le diciture
minute, dilaniate come valori fuori corso,
sono il racconto avvertito dell’accaduto.
Cerco il rosato dell’unghia sul piede di un secolo duro.
Insistenti, le nocche abusano del suono cupo
- come parole immani, come disumane per grazia dei colpi.
Dimenticavo: oltre i tendini, viene l’ossido
e solo il rame e lo stagno limitano il vuoto
nel punto in cui tutta la città, per la stessa dimensione
dei nomi e nient’altro, si dispone a corrodere.
Questa alopecia devasta i racconti più che le date
Questa alopecia devasta i racconti più che le date
- come detto in breve, come a mezzo eroe.
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