Scritto da © ferdigiordano - Gio, 12/09/2013 - 12:09
Guardo il becco del passero
da dove parte ogni volo.
È così piccolo che neppure il sole vi entra.
Come potrebbe un bacio?
Oppure: appartiamoci tra le piume del gomito.
Deve beccare di continuo il frutto giallo
dell’albero azzurro
che per tempo si riforma. Così dura
più a lungo non una nuvola
ma il timore che piova.
Qualsiasi cosa accada in quel becco,
non sono parole vuote,
ma riassunti che lasciano i dettagli in natura.
Sono continui richiami,
penso:
alle piccole altezze femminili,
ai lucernai tra le foglie,
alla grandiosità del verbo appartiamoci
che non si può dire a chiunque.
Per me, invece, è più semplice.
Bastano due dita e
piazzo il dolore in questa caterva di sensi:
lo spazio adatto per schiacciare il nocciolo
e lasciar cadere la cosa.
Ma lui schizza improvviso verso il traliccio,
guadagna quota e minuto tocca
un filo per volta. Saggiamente
coincide al luogo - posto che il luogo
abbia l’alta tensione
per spingere dal pensiero all’amore.
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