Come gli autobus, ma più vuoto. Qualcuno
trova posto in me voluto, quasi uno a sbafo: nessuno
chiama la fermata, quindi verranno al capolinea, i suppose.
D’altronde, come potrei circolare da solo
se non sono quell’esploratore che volevo?
Una sosta rapida davvero non basta in questo
migliore dei mondi possibili per noi e, se così fosse,
il traffico attempa gli incroci frenando
ai segni bianchi.
In un incrocio ho provato la gioia dei bastardi:
sai, quella segreta chiamata ad attraversare col rosso,
ai tratturi passati, alle transumanze dall’alpe alle
piane. Seguivo i cani. O i cani seguivano
un vocabolario di odori on line, il primo
computer organico di un sano umidore
sul volto.
Ero per via, e ho visto berretti tesi, volti tesi, lumi tesi.
Giuro che non mi ha frenato sentirmi in chiesa
sul marciapiedi: quanto poteva inginocchiarsi
e piegarsi e pregarli, era lì, e dio non era di strada,
tanto lontano che l'indifferenza
è autodifesa.
Ascoltavamo insieme parole malferme
con la stessa pronuncia pietosa:- Carità!
Tu lo sai, non sono una pecora, ma i cani c’erano tutti.
Tutti sulle rotaie dei raggi da frequentare
a caldo. Il sole, mi sono detto, è una fornace
sociale. Non l’ho pensato, l’ho proprio detto.
Non mi sono fermato. Ero per via e il percorso
non mi era chiaro: dove porto chi viene con me?
Io, dell’autobus, ho solo l’aspetto verticale,
e tuttalpiù, l’orizzontalità
esistenziale.
Poi quella voce mi ha svegliato, la mente
è diventata di vetro… Sì sì, era di ghiaccio,
ma incredibilmente quella voce ha operato
una variazione di stato: niente più patria, soltanto
un unico immenso continente animale. Non ho più badato
ai cani. Dio, allora, mi ha fermato. Ha fatto scendere tutti
ed è salito (dio è davvero ingombrante). Ho cercato monete.
Le ho chieste a me stesso e me le sono date,
avevo deciso:- Carità come capita.
Così ho fatto.
No, non mi è costato il viaggio: non appena partito
sono arrivato a Natale.
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