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Empireo confesso

 
Cosa ne dici se davvero ci vado sui due piedi?
Se mi presento all’entrata dell’Empireo e chiedo
riparo, tirandomi dietro il corpo del reato, mi
chiederanno di queste parole?
Difficile che loro accettino l’umanità
in un contesto ideale. L’umanità che appallottola
il monitor e getta il foglio accartocciato
che la spiega, intendo. Perché siamo spiegazzati
a furia di stringerci. Parli di spirito vivo?
Non serve, porta strelitzia dolcinae.
 
E allora una settimana si avventa a partire da oggi,
una settimana di luoghi comuni da cui non mi sposto.
Sette giorni soltanto, è vero, attraversati
a dorso di mulo, su e giù per lo schermo,
fino all’oasi sabbatica, fino alla sera
della festa quando batto la tastiera come viene.
 
Al bar, la ragazza al banco è sette volte presente
e sette volte mi chiede che prende? La sua innocenza
mi stressa. Il candore della tazza aumenta l’affetto
della bocca. Ogni giorno, per i sette che conto per lei,
conta per me la promessa della schiena, ma, nondimeno,
le forme lasciano vuoti quando non prese.
 
Ecco un agente angelico
che volta le spalle mentre detta l’agenda. Promette un futuro
al caffè da tempo ristretto conscio dell’anima fredda
che richiama alla mente proprio quello: penso al reato,
alle cianfrusaglie del corpo sotto mentite spoglie.
 
Qualcosa mi tira dietro mentre avanza lei
la parola, indubbiamente.
 

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