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Disastrologia del saltimbanco (apparizione dello scomparso)


La verticalità del vuoto è pura
illusione. Non si vede
nell’orizzonte che attrae, non trasmigra
come una vetrosità seducente
nella carezza della caduta. Per questo
è prassi officiante la spinta prima del distacco
che tramuta l’equilibrio in volteggio
per superare il nome resistente. La lacrima
viene restituita con l’interesse della fonte
e benchè la goccia abbia l’intuito del canale
spiove sul mento. Da lì, si può dire
saliva. Con la stessa liquidità
esuberante .
 
Di solito il saltimbanco ossessiona la capriola
per avvitarsi nel tumulto dell’esercizio
più provato: la salvezza
del nome sul citofono o nell’annuario
delle panchine o, con astuzia,
nella rubrica dei vigili appostamenti.
Così la scomparsa ha l'aspetto
di un dito che manca al pulsante. Nella dimenticanza
è come se la morte si avvertisse monca, una morticella
sospesa dall’assenza di un indice,
di un computo d'ossa.
 
Ma l’artista pare compiere balzi e rimbalzi
nell’ignoto, senza altra cerimonialità
che ricadere in piedi, sul tronco, da fusto. Una sorta
di martirio inferto ai muscoli
più prossimi al telefono. Solo in questo modo
la follia non appare nei condotti mentali
dissimula il travaso con lugimiranza
una chiarezza innominabile.
 

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