Scritto da © ferdigiordano - Mar, 19/11/2013 - 12:28
Del cordone ombelicale che ancora mi tiene
ed in parte allunga il corpo alla galassia,
uno dei capi era un dio, uno dei tanti
perché non può essere dio che uno dei tanti.
Occorreva fosse ampio e pieno di nodi scorsoi
tipicamente radioso ed allo stesso tempo oscuro
fino all’inverosimile del salto nel buio.
C’è questa verità nella fibra, così minuta e profonda,
dell’occhio di Hubble. Infine, la lettura fu possibile
alla luce delle due irradiazioni cromatiche,
ma ho ragione di pensare che sia un guinzaglio a colori.
Pertanto, il cibo più prossimo orbita in noi,
già polpette atomiche, come croquette di fotoni.
Io e te, su di una corda di questo tavolo ellittico, stiamo seduti.
Tu leggi e mi inventi, io scrivo e ti invento.
Di invenzione in invenzione, potremmo incontrarci
al bar, scambiarci i nomi senza coinvolgere altri avventori.
Credo in questa leggerezza. Credo che il peso
della parola stia nel tono dell’ordinazione.
Il comando è una tonnellata, la vocale può sorprendere,
non dimenticarlo, perché non sapremo dirci altro. Poco
di più raccogliamo dalla terra, possessiva fino al midollo.
Sospetto che la gravità sia una enorme gomena
ma anche una vela. Sia Pegaso dio e biada il pensiero.
Col giusto equilibrio, la gravità agisce sulle dimensioni.
Ci lega alle masse meno dell’amor proprio
e persino della superbia. Nell’intimità delle fibre,
è chiara l’idea lungimirante delle particelle atomiche,
per le quali la migrazione tra stati non impone
coerenza di ruolo. Guàrdati dall’intrigo nel sangue:
l’elica mantiene un segreto di volti, e sia fatta per ciò
la volontà di dio quando trattiene il fiato in prossimità
dei pellegrini e li conta e li conta e non li trova tutti
e come stelle morenti l’illuminazione è massima in quel punto.
Spesso, quando immagino i tuoi occhi, osservo libellule
e falene. La loro immancabile ossessione per i fotoni
è il vero miracolo della lampada, il genio della luce.
Mi chiedo il perché di quell’attrazione negli insetti.
Concludo sempre che non è facile sollevarsi da soli,
fare buon uso delle ali, alzarsi in volo con i piedi per terra.
Questa è una risposta creativa che non risolve molto.
Feynman dipingeva il suo furgone con formule a tentoni:
dava l’impressione che la leggerezza fosse quel chiarore,
prima quale desiderio e poi come interpretazione ottica,
disumane per convenzione, esistente solo se si presta
attenzione: nutrienti finchè il respiro non le separa
dal resto delle cose.
La perdizione porta in dote un barlume fievole
contro le ombre più nere. La frase è nel libretto d’uso
del Mondo (di tutti i Mondi) e tu, che sei scaltro
come Sisifo, abbandoni il nostro incontro
più velocemente di almeno un minuto.
Durante questo tempo passato da solo,
ho pensato che, data l’astuzia della fuga,
la vita presenta comunque una cura.
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