Scritto da © Fausto Raso - Mer, 30/12/2015 - 13:01
Sí, vogliamo peccare di presunzione affermando che la quasi totalità dei così detti opinionisti e “gente di cultura”, che affollano le redazioni dei maggiori quotidiani nazionali, non hanno mai sentito parlare di una particolare figura retorica chiamata “acirologia”, anche se l’adoperano “supinamente” – a ogni piè sospinto – nei loro pregevoli (anche se non sempre linguisticamente corretti) articoli. La colpa, forse, non è loro: non tutti i sacri testi grammaticali trattano – come dovrebbero – gli argomenti di retorica.
Gli amici che si interessano alle questioni di lingua sanno benissimo che un tempo con il termine retorica (o rettorica) si intendeva l’arte dello scrivere e del parlare secondo norme fissate per la prima volta nell’antica Grecia e sviluppatesi, in seguito, nella cultura romana, medievale e umanistica. Oggi nell’accezione comune questo nobile vocabolo è usato, molto spesso, con valore negativo, per indicare un modo di scrivere (e di comunicare) ampolloso, artificioso, ornato ma privo di contenuti “validi”; un modo di esprimersi, insomma, capace di sedurre l’interlocutore con il suo aspetto esteriore. Alla base della retorica – quella tradizionale – ci sono le così dette figure, vale a dire particolari forme espressive adoperate dai poeti e dai prosatori per “innalzare” lo stile, per “diversificare” il loro dire rispetto al parlare comune. Al tempo stesso le “figure” si ritrovano anche nel parlare quotidiano: senza rendercene conto facciamo uso di metafore, di iperboli, di metonimie e di… acirologie. L’acirologia (dal greco “akyros”, improprio e “logia”, discorso) è, infatti, una figura retorica per cui si adopera una parola invece di un’altra più appropriata che, però, manca nella nostra lingua: il “dorso” di una montagna. Un sinonimo dell’acirologia è la “catacrèsi”.
Per una migliore spiegazione di questo termine ricorriamo – come facciamo spesso – alle sapienti note dell’insigne e compianto linguista Aldo Gabrielli. Vediamo.
«… dal greco ‘katàchresis’, cattivo uso, abuso; detta anche ‘abusione’ (dal latino ‘abusio’) che traduce letteralmente il greco: è una forma di metafora per cui il nome di una cosa si estende ad un’altra per mancanza di parola propria: il ‘collo’ della bottiglia, il ‘piede’ del tavolino, la ‘testa’ dello spillone, ‘seno’ di mare, ‘lingua’ di terra e simili; oppure una parola che si usa con un significato che è in contraddizione con quello originario: tramontare del mare, brutta calligrafia, amara dolcezza, ecc.».
La catacresi (o acirologia), insomma, è un uso-abuso di alcune parole della nostra lingua. A questo proposito occorre dire, per la verità, che non tutti gli Autori concordano sulla definizione di questo tropo (traslato e, in senso stretto, metafora, ndr): in linea generale si definisce catacresi ogni figura retorica che sia entrata nelle “parole di tutti i giorni” e non sia, per tanto, più riconoscibile come una “particolare” figura retorica. La “questione”, insomma, amici che amate la lingua, è ancora aperta. E qui potremmo azzardare un parallelo con i neologismi. Poiché l’acirologia o catacresi o abusione si adopera per mancanza di una parola propria, come nel caso del “collo” della bottiglia, del “piede” del tavolo e via dicendo, potremmo tentare di trovare parole “proprie”, parole, cioè, riferite esclusivamente a quella determinata attività o cosa. Proponiamo, quindi, al ministero della Difesa e ai “compilatori” dei vocabolari di chiamare i soldati di Sanità – che non hanno un nome proprio – “sanitieri”, per analogia con bersaglieri, granatieri e via discorrendo. E al ministero delle Comunicazioni – e sempre per conoscenza alle case editrici dei dizionari – di aborrire quell’orribile “cellulare” che sa tanto del… cellulare delle forze dell’ordine e chiamare il telefono portatile “trillino”. È una proposta “oscena”? Non crediamo.
***
Un punto di rifolciamento
Un punto di rifolciamento
Chissà perché i lessicografi hanno relegato nella "soffitta della lingua" molte parole auliche preferendo mettere a lemma le corrispondenti "popolari". Tra i termini aulici che ci piacerebbe fossero "rilemmatizzati" segnaliamo rifolciamento*, sostantivo maschile che sta per "appoggio", "sostegno". Non vi sembra un vocabolo più nobile*?
Fausto Raso
* Cliccarci sopra
»
- Blog di Fausto Raso
- 1680 letture