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'fanculo i cani.

In un momento di buonismo, andai al canile, proprio un canile, quello della Maristella, a cercare un derelitto da portare a casa a riempire quel buco che mi si stava aprendo dentro, lentamente ma, inesorabilmente. Pareva un "girone" dantesco in cui i dannati, qui i cani, stavano immersi nella merda. Lei, povera donna, pensava di fare e faceva il massimo, date le circostanze. Comunque, tra le decine di animali, di tutte le età, colore e dimensioni che si aggiravano nel recinto comune, molti erano i cuccioli e quando entrai, si precipitarono ai miei piedi scodinzolando e uggiolando festosi. Poi capii il perché: i visitatori portavano sempre qualche leccornia alimentare per loro. Scelsi quello che mi pisciò sulle scarpe. Ho sempre avuto riverenza per quelli che me l'hanno fatto nella vita. Naturalmente nero, li ho avuti sempre di quel colore, orecchie lunghe cadenti, occhi tristi e lacrimosi: un incrocio cooperativo di bracco-segugio-bassotto, di sperabile taglia non grande. Quando feci per prenderlo, si buttò sulla schiena e continuò a pisciare, smodatamente. Sembrava ridesse. A casa, bagno caldo. Disperato si arrampicava sui bordi della tinozza, che non gli facevo superare e guardandomi pareva chiedermi e chiedersi : ma, allora, non mi vuoi bene. Avvolto in spugna e massaggiato a dovere, si ricredette e cercò di leccarmi il viso, più volte. Intanto, come da quando l'avevo preso, scorrevo mentalmente una serie di nomi, da affibbiargli, meritatamente, se possibile. Cominciai coi soliti: Bobi, Black, Ringo ma, sapevo già che non mi piacevano e ritornavo sempre a quello che avrei voluto mettere al mio cane in odisseica memoria ma, guardandolo, non mi parve il caso. Allora, anche se mi stanno sulle scatole certi fumetti francesi, per via del protagonista ammazzaromani ma, nonostante ciò, li trovo divertentissimi, decisi per Asterix. Subito, da bravo timido, mi vidi impacciato a chiamare il mio improbabile eroe, con tanto nome, là nei giardinetti per cani, tra Fuffi, Kikka e Aristarco o Gedeone e quindi fu As, e basta. As, era un bel maschietto, col suo ciuffetto di peli sul prepuzio e la coda a falce di luna. Come tutti i cuccioli, non amava molto il collare né il guinzaglio ma, fui convincente, e dopo pochi giorni mi camminava davanti a testa e coda alta. Quando abusivamente occupava la poltrona, sdraiandosi da pigro randagio, con gli occhi acquosi tra le orecchie distese e totalmente rilassato, pareva finto. Lì, come un originale arredo informale estemporaneo, pensato da qualche architetto arredatore naif. I giorni a venire vennero scanditi a bau, alla porta per uscire, in cucina per elemosinare bocconcini, per la strada a tentare improbabili gattifici e io, ridevo sereno, un po'.
Quel giorno non era neanche venerdì, passeggiata post prandiale, incontriamo la coinquilina, quella discreta, con la sua bambina: bellissima, che mi chiede di tenere lei, As, per il guinzaglio. Glielo do e camminiamo. All'improvviso l'urlo di Cecilia, uno stridore di freni sull'asfalto, un tonfo sordo. As, muove appena la coda e un orecchio: morto.
'fanculo i cani.
 
 

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