Dio mio, Anser! Mi hai rotto le scatole. Non ti sopporto proprio più! | Prosa e racconti | Anser | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Dio mio, Anser! Mi hai rotto le scatole. Non ti sopporto proprio più!

 
Anser, sai una cosa? No?
Ebbene, io non ti sopporto più. Non ce la faccio davvero. Ti guardo tutte le mattine. Dio mio! Brontoli come un cavallo, quando suona la sveglia. Anzi, c’è di peggio, la stacchi e cerchi nel buio una sigaretta. Fumi lentamente. A cosa pensi, Anser, quando fumi la prima sigaretta? A quello che farai sul lavoro? A quello che non hai fatto, a quello che hai dimenticato? A cosa?
Poi ti alzi, e infili quelle scale, scendi giù. Ogni tanto manchi il primo scalino e rotoli. Caffè. Un’altra sigaretta. Poi in bagno. Poi un altro caffè e un’altra sigaretta. Hai lo stomaco di un facocero, Anser. Un uomo normale vomiterebbe l’anima. Tu no. Tu non sei ancora riuscito a svegliarti.
«Porca puttana!».
Lo dici sempre. Quando finalmente osservi l’orologio, e ti accorgi di essere in ritardo. Su tutto. Allora ti vesti, veloce, chiami tuo figlio che devi accompagnare a scuola, metti fuori il cane, controlli il camino, esci di casa. Poi ritorni, che tanto hai dimenticato le chiavi della macchina, o il telefonino, o chissà cosa.
Tu dimentichi sempre qualcosa.
Salti in macchina. «Cristo!». Ecco, un altro classico. C’è il parabrezza gelato e tu non te ne accorgi mai. Tuo figlio alza gli occhi al cielo, rassegnato. E frughi dentro l’auto a cercare il raschietto per il ghiaccio, che ovviamente non trovi, perché ti cade sempre sotto il sedile.
«Devo far aggiustare questo maledetto riscaldamento», lo pensi sempre. E’ da un mese che non funziona, che quando lo metti in funzione per sgelare il parabrezza si congela anche all’interno.
Depositi il figlio a scuola. E poi via. Al lavoro.
Beh, non subito, no? Devi fare benzina, che la sera prima mica ci pensi. Musica a palla. De Andrè’ o Pink Floyd o quelle stupidate occitane, che le so a memoria. Veramente so a memoria tutto quello che ascolti in macchina. Hai quattro cd che ti ostini a mettere da anni. Ogni tanto si inceppano, e tu prendi a pugni il cruscotto, sino a quando non si disincastrano.
 
Dio mio, Anser, non ti sopporto più!
 
Come tu faccia, mentre guidi, a fumare, rispondere al cellulare, ascoltare musica e pagare il pedaggio dell’autostrada in contemporanea, lo sa soltanto il padreterno. Nel frattempo ti sei fermato all’autogrill a comprare le sigarette, che ovviamente hai dimenticato di prendere la sera prima. E un altro caffè. Sono tre, o quattro. Stenderebbero un pugile. Tu no. Niente. Stai ancora dormendo, dentro. Il resto si muove per automatismo.
«Ma vaffanculo!». Te ne esci sempre così, a voce alta. Da solo in macchina. A che pensi? Non me lo vuoi dire, vero? E fumi. Ci sta una nebbia che non ti dico. Tanto hai il finestrino dalla tua parte bloccato, manco riesci a farlo uscire, il fumo. Ma mi sa che ci stai bene dentro.
Quando avevi vent’anni fumavi altre cose. Poi hai smesso. Eri più simpatico allora, ridevi sempre. Adesso ridi sempre di meno.
Centodieci, centoventi, centrotrenta, quaranta, cinquanta, sessanta… con il finestrino appannato, giusto, il riscaldamento non funziona, in tangenziale, alle otto del mattino. Fumando. Ascoltando musica occitana e prendendo a pugni il cruscotto se si inceppa.
Sei un genio, Anser. O sei molto fortunato. O incosciente. O tutte e tre le cose insieme.
 
E io ti sopporto sempre di meno, sai?
 
«E dove cazzo la metto?». Lo pensi sempre, quando cerchi il parcheggio. Sei monotono, Anser. Non hai un pensiero diverso da quando ti conosco. E mettitela dove dico io, la macchina.
Ah, la metropolitana. La guardi sempre con sospetto. Già. Tu non prendi gli ascensori, tu non prendi volentieri le seggiovie, le teleferiche.
Sulla tour Eiffel, ci sali a piedi. Odi, detesti qualunque mezzo di trasporto a fune. Tranne lo skilift, perché hai i piedi per terra, e poi puoi sempre saltare via. Però vai ai centosettanta sulla tangenziale di Torino alle otto della mattina. «Già, ma guido io!». Mi pare di sentirti. Sei prevedibile nelle risposte, Anser. Prevedibile e scontato.
Ti angoscia la metropolitana. Va da sola, non ha il manovratore. Tutto un programma di computer. E per quanto tu ne sappia, i programmi li fanno gli esseri umani. E gli esseri umani sbagliano.
Ci entri, ma con sospetto. E stai sempre attento. Si sa mai. Mica ti siedi. Stai vicino alla porta, in caso di una rapida fuga, sei vicino alla salvezza. Sei patetico, Anser.
E poi, osservi. Ecco, ti sei svegliato, ora. Osservi. Sembri assorto nei tuoi pensieri, invece guardi attentamente tutto.
«Uhm… cosa avrà dentro la sacca quello lì?» e scruti. Un dettaglio, un filo elettrico scoperto, un qualcosa. Le fanno saltare le metropolitane, i terroristi. Dio mio, Anser, sei insopportabile.
 
Mi stai proprio in quel posto, sai?
 
Sei fuori. Respiri meglio. Oddio, nel centro di Torino non è esattamente come a casa tua. Ma sei fuori da quel budello sotterraneo.
E cosa fai? Lasciami indovinare. Un caffè. E sono cinque. Cinque caffè e dieci cucchiaini di zucchero. Poi ti lamenti della glicemia. Sei scemo, Anser. Cinque caffè e almeno una decina di sigarette. Non vivrai a lungo.
«Tanto si vive una sola volta, e avanza pure». Bella stronzata. Chissà quante ne tirerai fuori, prima di sera.
Adesso cammini più veloce.
Guardi le vetrine, la gente, le cose. Guardi. Tu non fai altro che stare a guardare.
Sei come una spugna. Incameri le cose che vedi, li, dentro il tuo cervello, da qualche parte. E le colleghi. Un dettaglio, un gesto, una qualsiasi cosa ti fa immaginare, dedurre, constatare. Sembra che tu sia distratto, invece no.
Osservi la gente, e cerchi. Non lo sai nemmeno tu quello che cerchi.
«Non me ne frega niente. Io cerco e basta». Lo dici sempre. Ma almeno trovassi qualcosa, ogni tanto, almeno!
Come quando scrivi tutte quelle balle sul viaggio. Ma chi vuoi mai che ti prenda sul serio? Ahahahah… mi ricordo: “…al largo di Tristan da Cuhna…”. Ridicolo. Ci sei mai stato tu da quelle parti, e nemmeno ci vorresti andare, poi, in fondo. Una volta scrivevi di cose serie, Anser. Adesso viaggi, tu, e quella donna che ti porti appresso, che non sai nemmeno tu chi è.
 
Fai pena, quando scrivi del viaggio, sai? Non ti sopporto. Ti odio.
 
E’ sera, adesso. Sei tornato a casa. Ringraziando dio che ti sei ricordato di dove hai parcheggiato la macchina. Ho contato i caffè. Sono undici. E trenta sigarette. Hai trovato un modo stupido per farti fuori, un modo da vigliacchi. Lentamente.
Hai scritto, oggi. Un mucchio di cose, che poi hai buttato via. Quante parole, quante frasi dimenticate. Magari erano roba da Nobel, e tu, che sei imbecille, le hai buttate via.
E pubblichi questa cosa qua. Ma io non ti ho autorizzato a pubblicarla, sai? Chi ti credi di essere?
Come ti permetti di rubarmi i pensieri? Non provarci!
Aiuto! Qualcuno mi aiuti!
Sta pubblicando le mie parole. E’ assurdo. Non l’ha scritta lui, questa cosa, l’ho scritta io! Anser, sei un maledetto copione! Non puoi prendere le mie parole, e dire che sono tue.
 
Ti odio, per questo, sai? Ti odio. Sono io che scrivo, non tu. Tu non esisti, Anser, non esisti, non sei mai esistito!

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