Scritto da © sofocle - Gio, 26/04/2012 - 22:12
ho amato la casa sul ciglio della scogliera. Scavo della grande onda a largo di Kanagawa(*).
La voce del vento fissava il La quattrocentoquaranta alle pareti dell'incavo superbo.
Così doppiavo da terra il cielo, veloce e basso come fiato. Il calco dei piedi alla risacca.
Sembrano corvi appesi ai relitti, rami bruni silenziosi.
Sono tutti corvi, gli uccelli?
Risuonano. I fondali di stelle e mostri marini. La superficie che sfonda. E coglie sonni. Apre l’atlante degli echinodermi: lunghe conversazioni delle conchiglie che possiedono voci.
- Facciamolo.
- Come lo facciamo?
- Vieni. Sulle mie ginocchia.
- Prendimi le mani, perché non riesco a sollevarmi
- Sì. Indossi un profumo che avevo sentito sull'isola del falco e della maggiorana.
- Sono stata a guardarti. Ombra esile tra la spuma e la ghiaia. Volevo lasciarti andare. Mi sembrasti tanto in punta di lingua.
- Sai di sale e ultimi raggi.
- Baciami. La fossetta sul collo. I seni nelle tue mani. Solite ai tasti del piano. Fermami.
- Fermo. Non mostrarti.
- Hai un sapore che infetta
- Serrami, o ti vengo al primo respiro.
- E' quello che voglio. Su queste labbra disseccano alghe per le maree perdute. Respira.
Una figura nella tramontana della fine del giorno. Non così accesa, così libera di filtrare e spazzare i toni violetti dell'aria.
- Vai a casa, e sogna. Di me. Che ti vedo. Sul ciglio della scogliera che sgrana. Un po' alla volta non sfugge agli slanci boriosi del mare.
Oceano che non nominasti.
(*) Hokusai
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