Scritto da © giuseppe pittà - Lun, 26/03/2012 - 16:47
soffice
come l'ovatta
infuocata
come il fuoco di spirito
che usarono per le nostre ferite
ora
adesso che siamo un film di guerra
costruamo le nostre memorie sul bruciore delle piaghe
noi
che credemmo di credere alla democrazia
che arrivammo in quel giovedi come di festa
che srotolammo striscioni e bandiere
dissociandoci dalle vostre scelte
volevamo soltanto dimostrare d'esserci ancora
nel caldo normale dell'estate
cercando un po' del vento dai finestrini
di quel treno troppo carico d'idee e follie di futuro
nella gioia di posarci finalmente al giorno
nella strada fuori la stazione
una delle tante di questa città perfino sconosciuta
cominciando finalmente a conoscerla
finalmente
dicono sia Genova, un pezzo di periferia
ma non riesco ancora a vedere il suo mare
solo gli schieramenti dei soldati
sono già al fronte
in un sole che brucia
ché il sole sempre brucia
accecando in genere il ventunodiluglio
e
canto di magia
una specie di vecchia locomotiva
mischiando di Guccini e nuove strofe
sognando la potente forza della Poesia
oh se è potente
oh se è forte
la Poesia
ma
non è l'ora della pace
non può esser l'ora della pace
ci arrivano gli echi degli scoppi
le urla e le sirene
le strade si riempiono di fughe
bisogna correre corriamo
Carlo a quest'ora è già morto
neanche lo conoscevo Carlo
ma so che poteva essere Italo
Antonio Tiziano Celeste
io stesso con l'estintore e il proiettile e tutto
poteva essere l'angelo biondo
di quella lingua sconosciuta e terribile
degli ordini secchi e della battaglia
dove Roma e il dolore della Magnani
fingendo di morire muoiono ancora
corriamo verso il fumo dei lacrimogeni
nell'estate che si trasforma e si cancella
respirando dai fazzoletti bagnati alle fontane
piangendo delle ultime notizie della radio
nella sfida della Zona dal colore mio in cuore
corriamo verso un vento di speranza
ma solo ripariamo nei portoni di Genova
che i genovesi fecero di noi l'unico riparo
ma solo riusciamo a scivolare nel buio
appena sotto le saracinesche dei negozi
che Genova tenne spiragli di 20 cm
per donarci una salvezza insperata e dura
e
l'angelo biondo mi tenne la mano
su quel suolo umido del sudore della paura
la mia mano dipinta del mio stesso sangue
dal sorriso a squarcio nella ferita dell'odio
mi parlava raccontandomi storie sublimi
mentre scivolava dalla testa solo il mio sangue
mi ripuliva usando un volantino ormai solo rosso
scuro illegibile piegato a cartaccia da spazzatura
vuota d'ogni parola d'ogni concetto e idea
riuscii ad ascoltare ogni suo sospiro
che profumo quell'angelo del mio paradiso scaduto
profumo di lotta e di marlboro fumate nervosamente
di un destino da idealista e di mille caratteri d'inchiostro
le plastiche ampie tagliate come scudi di antichi cavalieri
le storie che ci raccontiamo per trovare la buona unità
in quella notte nei fuochi dell'inferno aspettando l'alba
ma neanche chiesi il tuo nome o forse si o forse no
arrivò
l'alba arrivò dopo ore di attesa
e venne a mostrarci la sintesi della battaglia
gli altri erano stati portati via
questo compresi
per essere interrogati forse
o per essere ancora bastonati probabilmente
lei era lì con me
neanche più l'acqua nelle nostre bottiglie
era con me e la sua mano era bollente e sincera
incontrata in estate secoli fa
nella malattia delle strade incomprese
nei rivoli del sangue della sconfitta
smarrendola nell'attimo della nuova carica
di un altro colpo a rubarmi ancora un pezzo di vita
della mano che scivola via dalle mie dita
lasciandomi da solo tra mille a chiedermi perché
sapendo soltanto che tutto quel rumore
mi avrebbe fatto ricordare le pale degli elicotteri
ma del mio sogno avrei infranto la direzione
per ritrovarmi oltre un altro cielo
a distruggermi di una insicurezza di fondo
per una utopia che mi riporta al futuro dei disastri
adesso che sono senza il mio angelo portafortuna
nella confusione di un disarmante processo
che alla fine dei giorni e di tutti i Governi
mi avrebbe di certo fatto dimenticare tutte le storie
perfino il suo nome che so di non aver mai conosciuto
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