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Di colore grigio

 

È successo. Esattamente domenica pomeriggio. L’ora non conta, non è molto importante. Ho capitolato. Mi sono arreso all’incalzare del tempo, al suo lento dipanare. Inevitabile, credo.

Lo scorrere della vita mi pareva immobile e costante, come un fiume nel suo alveo, e così per i miei bisogni. Forse questo accadimento si era già determinato mia mente. Quella sera, all’imbrunire della laguna, quando il cielo aveva perso le lame di luce per capitolare definitivamente alla notte, vagavo inquieto per la città, mentre la folla sciamava lungo il grande corso. Cercavo, gettavo lo sguardo all’interno dei bar, dei ristoranti. Avevo attraversato (nell’arco di tempo in cui sul canale un barcone aveva superato il ponte ed era scomparso dalla mia vista) l’intero corso, soffermandomi sul sagrato della chiesa. Poi, girando lo sguardo, l’avevo vista. Appariva dimessa, a lato di un muro che tagliava per sbieco una viuzza scura. Una donna aveva aperto la porta, e, scuotendo il capo, rassegnata, si era avviata verso il corso. Allora, io ero entrato.

Illuminata come una vetrina, la cabina mi appariva in tutto il suo microcosmo. Sul vetro, scritta con un pennarello nero, appariva la frase:

“ Vanna ti amo”.

Avevo inserito nella fessura la sottile striscia di plastica con la banda magnetica e avevo sollevato la cornetta. Nulla. Era successo proprio nulla. Non un fruscio, sia pure misero o dimesso, era uscito dalla capsula telefonica. Avevo agganciato il ricevitore stizzito. Accidenti!, dovrò comprarmi un cellulare, avevo pensato, mentre si formava nella mia mente l’immagine di una prateria americana, dove una carica di bisonti si divideva, per poi subito richiudersi, attorno ad alcune cabine telefoniche, piantate lì come birilli. Presto, anch’io avrei avuto la mia appendice telefonica, da curare (in energia e crediti) come un neonato. Allora, incerto, mi ero soffermato un istante a riflettere sul senso delle mie parole.

Erano così necessarie? Dovevo a tutti i costi comunicare?

Ho resistito a lungo prima di intessere il mio personale duello con le frequenze. Giuro che l’ho fatto. Per un istante ho pure pensato di usare, per comunicare durante i miei viaggi, l’antico sistema usato dai miei nonni: il telegramma. Poi ho desistito. Oggi è successo. Sono entrato in uno di quei negozi, sfavillanti di luci e di espositori, ed ho acquistato la scatola magica del verbo!

Sì, ora possiedo anch’io il dono dell’ubiquità della voce. Mi perdoni Padre, perché ho peccato. Confesso che ho molto peccato.

 

 

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