Déjà vu | Prosa e racconti | Alessandro Moschini | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Déjà vu

Correva la notte, sfrecciava veloce incollata ai pneumatici della Golf di Gabriele, che guidava con lo sguardo sognante e la testa rilassata mentre dallo stereo arrivavano le note dell'Aria sulla quarta corda di Johann Sebastian Bach. Accanto a lui sedeva Celeste, bellissima in tutta la sua grazia. La donna lo osservava di nascosto con i suoi bellissimi occhi, affascinata provando infinita dolcezza mentre l'uomo si estraneava dal mondo lasciandosi cullare dal tappeto di note. Lei lo amava ed era contraccambiata sebbene il carattere sensibile e sognatore di Gabriele lo portasse come un fiume in piena ad inseguire i suoi sogni e i suoi progetti. Ma lui era pazzo di lei. Garbiele era un pianista/cantante jazz e i due stavano facendo ritorno a casa da un festival di musica d'autore dal quale era uscito vincitore. Erano da poco passate le 2.00 e Gabriele era ancora in preda all'estasi e all'emozione quando la sua auto, su indicazione del navigatore, ad un tratto si trovò a percorrere un viale di Milano in direzione di Opera lasciando sulla sinistra file di alberi brulli e un freddo palazzo di cui nell'oscurità non si distinguevano le sagome. Gabriele ebbe come la sensazione di aver già vissuto questa scena e lo esternò esplicitamente rivolgendosi a Celeste dicendo:"Questa strada mi è tristemente familiare, assomiglia moltissimo ad un posto in cui sono già stato tempo fa." La donna vide che gli occhi beatamente sereni di qualche istante prima improvvisamente si rabbuiarono e in un gesto d'amore accarezzò dolcemente la sua mano e disse: "Ti va di parlarne?" Gabriele si volto verso di lei e le sorrise dicendo: "Magari in un altro momento. Ti amo". La donna rispose con un sorriso radioso: "Anche io ti amo!". Avevano appena finito di esternare i loro pensieri ed i loro sentimenti che la Golf imboccò la A50 in direzione Bologna. Appena immessosi in autostrada Gabriele notò il cartellone stradale dell'uscita successiva che indicava come raggiungere la Clinica Oncologica. Gabriele ebbe un sobbalzo e capì di essere passato davvero davanti a ciò che aveva pensato. Quel grigio e triste palazzo. L'ultima volta che era stato a Milano era stato proprio li per la diagnosi della malattia della madre per la quale i medici si erano pronunciati con un "Non c'è più niente da fare". D'un tratto Gabriele comprese che a farlo passare di li non era stato il navigatore, ma la madre guidandolo dall'alto, desiderosa di sostituire il ricordo doloroso sovrapponendovi la gioia per quella serata trionfale in compagnia della donna amata. Gabriele si sentì accarezzato sulla testa e le labbra materne che gli baciavano la fronte e senti il velo di tristezza rimosso dalle mani celesti della madre. I suoi occhi lasciarono sgorgare calde lacrime di gioia e singhiozzi. Celeste preoccupata si rivolse a lui dicendogli: "Amore che c'è? Parlami!" "Niente gioia mia - rispose Gabriele - torniamo presto a casa, voglio raccontarti una storia".

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