Scritto da © ferdigiordano - Dom, 26/02/2012 - 19:01
Cerca ipotesi di sbarco la fronte sollevata
nell’oscuro delle altezze: mai chiarito fino in fondo
l’osservanza del nero senza limite. L’universo cresce,
ma ancora nessuno all’unisono. Impiantate le stelle
divaricato il cielo, fottuto l’intero sistema
con una leggenda di navigli, prima
che si accavalli il sonno, poco prima
che disarcioni la sera:
il genio astrofisico di Penrose.
Folle, la tenebra spampina il suo giglio nero.
Nero è delle cose come in una misteriosa corsa
il tuttuno della roccia nera nella nera acqua
della pianura. E’ il buio che vince
i balconi, semina la sua materia oscura,
la coltiva nei solchi della lingua
col diverso clamore dell’immensità.
Sembra dirmi: vedi, Gil, come non si ferma
il cielo sotto la tua nuvola?
Posso vedere il chiarore dell’anima
quando nei porti di vetro cerco
il mio fragile essergli straniero:
il suo sangue non dorme mai, mi veglia
ciò che esprime la vena.
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