Scritto da © Charles Cros - Mer, 28/08/2013 - 18:52
L'altra sera stavo passeggiando nelle vie di un paesino a pochi chilometri da casa mia. C'era un mercatino dell'usato, uno di quei mercatini di anticaglie anni 60 70 80 con piccoli banchetti ricolmi di inutilità appartamentali. Centrini inamidati, porcellaneria, posateria, elettronica vintage, peltroname vario. Pochi comprano lo sa anche chi vende che tipicamente non brilla per entusiasmo, da queste parti chi compra lo fa a prescindere e non si fa convincere. Gli oggetti sono disposti anonimi sul banco in caotico ordine raggruppati magari per genere, ma non è detto.
Questi mercatini hanno comunque un particolare fascino perchè sono come piccole macchine del tempo, generatori di ricordi, concentratori di Deja vu. Ad ogni bancarella corrisponde un piccolo viaggio, un percorso, una traccia sbiadita fra sinaptici sentieri. I piccoli banconi si differenziano per tipologia degli oggetti. Ci sono quelli con quadri, stampe, litografie, spesso sono banali croste, altre volte sono croste preziose. Poi ci sono quelli con francobolli e cartoline con i saluti da Pesaro, Chianciano, Dobbiaco, da Gubbio ed ancora, su raccoglitori a quattro anelli, dentro buste trasparenti, le cartoline più vecchie, quelle scritte a mano dai militari al fronte dell'Ortigara.
Lo scopo di questi oggetti è quello di occupare spazio ma non di tipo fisico come sembrerebbe all'apparenza. La verità è che occupano spazio nella mente perché è come se si avesse paura che potesse collassare, avviluppare, implodere su se stessa.
Sono un ausilio contro l'inedia mentale, la quotidianità, l'ovvietà della vita. La nostra, magari passata dentro un appartamento in una periferia cittadina, con vista vialone al mare o dentro un borgo di un paesino di montagna o ancora sotto un cavalcavia dell'Aurelia oppure vicino la stazione ferroviaria nell'entroterra marchigiano. Le cose non cambiano. Le stanze sono tutte uguali, ad un certo punto diventano gabbie, prigioni, galere; ti costringono, qualche volta fino a soffocarti. Gli oggetti allora diventano chiavi di serrature mentali come le curve di monotone rettilinee autostrade che finiscono su un burrone, la macchia nera su un foglio bianco, sono l'inevitabile differenza, l'ulteriore punto di vista, il diverso angolo che evita gli errori di parallasse.
Un soprammobile in questo tipo di stanza, se è kitsch è meglio... occupa più spazio.
Gli oggetti di casa diventano riscoperte di perduti tesori: La palla di neve delle Dolomiti, il telefono verde della Sip, la penna con la barchetta che si muove, il cane con la testa che dondola, le cappesante incollate a colla a caldo, con Nettuno, l'aragosta arancione e i saluti da Portovenere, il pulcino che prende lo stuzzicadenti o le sigarette, il piccolo mappamondo che gira mentre quello grande si illumina, le palline da spiaggia dei ciclisti con quella di Gimondi che andava di più, un inedito Tamagotchi con un cucciolo defunto da tempo, la serie di essenze con il patchouli finito, i cucchiaini per l'assenzio, il giradischi della Marelli con la moneta scotch-cciata sulla testina, evitava i saltelli quando i dischi non erano più rettilinei.
Dietro domina silenziosa un'opaca Lettera 22 con il nastro doppio colore, rosso e nero, pesantemente usurato.
Le sere di autunno sono un po' più fresche. Mia moglie si mette un golfino sulle spalle senza fermarsi e anche questo mi sembra un gesto antico. Si passeggia lentamente non si deve aver fretta in certe occasioni.
Raggiungo così la bancarella dei libri, con le sezioni delle Riviste, dei Fotoromanzi e poi i fumetti, le strisce di Linus, le raccolte del Sapere i romanzi di Salgari. Poi ancora I Tartarin di Tarascona i Robinson Crosuè ma la mercanzia non si ferma e prosegue cambiando direzione e tema, così su scatole di legno le pesanti sezioni di dischi con i Celentani, i Cugini di campagna, i New trolls, le Orme, ma anche i Battisti, gli Ivan Graziani, le Mina, i 78 giri pochi, tanti i 33 giri la metà sono dei Pink Floyd per ultimi i 45 giri con copertine di donne dallo spesso eyeliner.
C'è gente che odia questi mercatini e non è difficile capire per quale motivo. Questi oggetti sono come dei ponti di collegamento, link di catene che uniscono le immagini nella memoria. Così si rievocano le sensazioni di quei momenti talvolta banali che sommandosi alle emozioni provate diventano bollicine leggere che affiorano dalle profondità della nostro inconscio svanendo poco dopo, appena abbiamo raggiunto la prossima bancarella.
»
- Blog di Charles Cros
- 846 letture