Scritto da © Bruno Magnolfi - Mar, 23/04/2019 - 20:20
Vado in giro a piedi per la città insieme a due amici, Fausto M. e Claudio D., ma loro cercano di prendermi in giro per il mio atteggiamento sempre un po’ alternativo a tutto, così ridendo li prendo a spintoni per tentare di farli smettere, ma Fausto M. va a sbattere la testa su un muro lì accanto, e quindi crolla a terra. Intervengono due tizi che dicono sia meglio portarlo velocemente in ospedale, anche se a me non pare un caso così grave, ma dando retta a loro ci mettiamo tutti a correre insieme al ferito, ed in questo frangente si affiancano a noi due ragazzi di colore.
Come immaginavo, il malessere di Fausto M. non è grave, e tutto si risolve abbastanza in fretta, però a questo punto io sono stufo e lascio tutti lì, così me ne vado via insieme agli ultimi arrivati, i due ragazzi di colore, di cui uno dice di chiamarsi Malcolm. Gli spiego ridendo, mentre camminiamo, che io lo conosco bene, e che diomio, ho letto praticamente tutte le trascrizioni dei discorsi alla sua gente, anche se lui sostiene di non averne ancora pronunciato neanche uno, e poi soprattutto gli spiego che ho letteralmente divorato la sua autobiografia, uno dei libri più belli che io abbia mai avuto tra le mani. Lui però mi guarda stupito, perché è ancora troppo giovane, è un ragazzo, uno sbandato, e non sa neppure lui quello che potrà diventare nei prossimi anni.
Cerco di spiegargli qualcosa delle sue lotte, del black muslim e delle organizzazioni a difesa della gente di colore nord americana, e poi anche del black panther party ed il resto, ma lui mi prende quasi per un pazzo, e non può essere, mi dice, che tu conosca tutte queste cose se non sono ancora minimamente avvenute. Gli ripeto con fermezza che lui diventerà in breve tempo un vero rivoluzionario, non un qualsiasi pacifista come quel reverendo Martin Luther King, ma uno che va in fondo alle cose, e rinnega la componente bianca del suo sangue e di quello di tutta la sua gente, frutto degli stupratori bianchi del passato schiavista del sud statunitense, e lui dice diomio, forse questo può anche essere vero, però non so proprio cosa è meglio che io faccia adesso.
Così gli spiego in due parole che anche se adesso si chiama solamente Malcolm, in seguito si farà chiamare con una X, proprio per questo motivo di rinnegare un cognome americano, e che il suo destino oramai è segnato, perché saprà tirarsi dietro, da qui a poco, tutta la gente di colore, gli umili e gli oppressi di questo paese razzista, e che verrà vagheggiato in molti suoi discorsi il ritorno per tutti alla propria terra madre Africa, come unica possibilità per loro. Lui mi guarda, dice diomio, forse sarà proprio così che andranno le cose, però adesso è ancora presto perché io le affronti di petto, ed io gli dico che invece deve iniziare subito, perché non c’è davvero molto tempo, e ad un tratto mi viene da piangere solo a pensare di essere davanti ad un grande personaggio proprio come Malcolm X, e di aver letto su di lui tutti quei libri della Samonà e Savelli, e degli altri editori sconosciuti, ma anche di Einaudi, perché alla fine, almeno qualche tempo fa, c’era gente persino in questo nostro paese che in quei giorni seguiva proprio quell’argomento.
Lui torna a guardarmi in faccia, io gli dico che ci sarebbe bisogno di tante altre persone proprio come lui, e che forse non avrebbe meritato di essere ammazzato come un cane proprio mentre teneva uno dei suoi discorsi, e lui mi guarda incredulo, forse non mi crede, ma poi dice diomio, diventerò così importante da spingere qualcuno ad uccidermi mi dice, ma io glielo giuro, andrà così, non c’è proprio molto tempo, e non c’è altro da fare, e poi mi viene proprio da piangere solo a pensare di avere adesso davanti una persona come Malcolm X, ammazzato come un cane, soltanto perché stava parlando, perché stava spiegando alla sua gente cosa ci fosse di giusto da fare, e tutti quei libri e quei discorsi, e anche “col sangue agli occhi” di Jackson e tutte le altre pubblicazioni, che adesso sono niente, diomio, se non viene presa coscienza di tutto quanto.
Malcolm continua a guardarmi, forse può voltare la faccia e disinteressarsi di tutto questo se gli va, ma non si comporta così, ed invece mi fissa, sa che gli sto dicendo qualcosa di molto vicino al vero, ed anche la faccenda della sua morte cruenta sta tutta lì, pronta a dimostrarlo. Ci vorrebbero altre persone come te, gli dico: altri per dire in giro a voce alta tutte le cose come stanno, e far prendere coscienza della propria condizione tutte quelle persone oppresse e sottomesse che ci sono. Poi però è il momento dei saluti, ed io non so proprio cosa dire, perciò soltanto un “ciao” riesco a pronunciare, e poi penso che “è stato bello conoscerti, e che io adesso non so proprio che dirti, perché tu, carissimo Malcolm X, fra non molto morirai per una causa sacrosanta, ed io non potrò proprio fare niente per te, e di questo porterò per anni con me un dispiacere profondo, che adesso non saprei neanche spiegarti”. “Ciao”, ti dico allora mentre piango, diomio, “arrivederci”.
Bruno Magnolfi
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