Conforto necessario. | Prosa e racconti | Bruno Magnolfi | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Conforto necessario.

       
            "Non mi sento bene", dice lui con la sua voce di circostanza, osservando qualcosa nel vuoto mentre sta seduto di fronte alla vetrata del soggiorno che rimanda i bagliori rossastri del sole al tramonto. Lei non risponde, rimane appoggiata con la schiena sulla sua comoda poltrona, a cercare con gli occhi fissi in avanti le aree di variazione quasi impercettibili dei colori nel cielo davanti a sé. “Non saprei descrivere i sintomi", prosegue lui, "ma è come se qualcosa di estraneo si fosse inserito nella mia testa, e mi confondesse continuamente i pensieri". Lei sembra non dare peso a queste parole, impassibile prosegue ad osservare l’incupirsi progressivo ed inarrestabile di ogni sfumatura. “Dovresti prendere un calmante”, stabilisce alla fine; “le prove della Messa da Requiem ti hanno svuotato, ti è rimasto soltanto il solito nervosismo prima di ogni debutto”.
            “Forse hai ragione”, fa lui; “in ogni caso sotto il profilo del concerto di domani mi sento abbastanza tranquillo. Le cose stanno andando piuttosto bene, e non prevedo sorprese, anche se niente gode di completa certezza". Poi si alza dalla sua poltrona, fa qualche leggero cenno incomprensibile con il capo, e poi si volta verso il tavolo, dove si serve qualcosa da bere. "Non è facile tenere sempre un profilo attento e  rigoroso", dice dopo un minuscolo sorso. "Spesso sembra che tutti siano pronti a puntarti un dito contro, nel caso in cui ti lasci andare appena di un niente". Lei improvvisamente lo guarda fisso, come cercando di vedere qualcosa sopra al suo viso che le è probabilmente sfuggito fino a questo momento.
            Squilla il telefono, i soliti auguri di colleghi, di amici e musicisti, poi lui torna a sedersi spegnendo l’apparecchio, forse cercando di nuovo quel punto impreciso che fissava fino ad un attimo fa. “Certe volte immagino delle cose che neppure esistono”, le dice come facendo una confessione dolorosa. “Poi mi vengono davanti delle masse sonore scomposte, come se tutto si muovesse ancora nell’attesa di essere riorganizzato, sistemato a dovere, controllato in maniera precisa e definita”. Per lui la musica è solo pianificazione, severità, mestiere insomma, niente che sfugga alla mano di tutto ciò che viene ogni volta prestabilito. Lei conosce benissimo il suo rigore e la sua disciplina nel portare avanti le cose, come comprende benissimo la sua pausa riflessiva del giorno prima, e così conosce i dubbi inconfessati che sembrano attanagliarlo durante ogni vigilia, anche se qualcosa stavolta sembra diverso.
            “Puoi farti sostituire”, dice lei all’improvviso per dargli una scossa a cui lui certamente non può rimanere indifferente. Invece non ottiene alcun risultato, come fosse esattamente quanto lui sta proseguendo a pensare. Torna a guardarlo girando di nuovo la testa dalla sua poltrona, e vede che piange, che non riesce proprio ad affrontare qualcosa che lo tormenta. “Devo fare il mio dovere”, dice lui sottovoce, come se la sua fosse praticamente una missione, qualcosa di paragonabile alla difesa della propria patria. “Non mi sento sorretto”, dice di botto; “e se fino ad oggi non ho mai provato questa necessità, adesso è diventato qualcosa di estremamente importante”. Lei si alza, gli va vicino, gli accarezza la faccia: è solo un bambino, pensa; soltanto un bambino con le necessità di tutti i bambini, di sentirsi accudito, protetto, confortato.
 
            Bruno Magnolfi

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