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Aurora

Aurora era lì, inerme di fronte a quello che le stava accadendo. Non sentiva i rumori, gli odori, non percepiva  più quello che le stava attorno. La  sua mente si rifiutava di incamerare ed accettare quello che i suoi occhi fissavano dalla finestra di quella casa non sua. Per far meno rumore possibile si era tolta le scarpe ed i piedi nudi erano a contatto con l’erba bagnata dalla pioggia della notte prima, il cielo però si preparava ad un nuovo temporale ma non se ne stava curando nonostante l’abbigliamento leggero che aveva scelto per uscire di casa. Non poteva certo avviarsi con addosso tuta e scarpe da ginnastica, sarebbe stato davvero strano trattandosi di un sabato mattina. Non andava mai  a correre di sabato e se decideva di affrontare il mondo, lo faceva sempre con completi sobri ed eleganti accompagnati da scarpe di ottima fattura.
Lui era uscito e lei già da un po’ aspettava con pazienza nella sua auto a pochi metri dal vialetto. Si erano incontrati a colazione ma avevano scambiato poche parole, le solite. Buongiorno, cosa farai oggi, ci vediamo più tardi. Tutto qui. Piattezza che molti chiamerebbero quotidianità. Però qualcosa, tempo prima, l’aveva indotta a porsi domande e così era iniziata.
Mesi per accettare che doveva fare qualcosa, settimane per trovare i modi ed un giorno, un attimo per scoprire la realtà che solo sospettava ma che cercava di negare con tutti, perfino con sé stessa.
Eppure i segnali c’erano tutti. Silenzi continui e voci unite solo per discutere,  di cosa poi? Di tutto. Di giornate passate separati e di notti l’uno all’opposto dell’altra. Ma questo non bastava perché l’amore c’era, doveva esserci. Altrimenti perché comportarsi sotto le lenzuola come amanti in simbiosi? Certo, occasioni sporadiche ma intense, che ti lasciavano un piacere sulla pelle e ti avvolgevano per un po’. A dire la verità, poco. Doveva essere corretta con sé stessa, era da qualche tempo che l’intesa si era appiattita ad un iter quasi scontato, senza particolari forzature o ricerche. Peccato, perché in lei il desiderio era forte e concreto, nonostante non avesse più vent’anni e le prime righe iniziassero a vedersi. Proprio le prime no, più realistiche le seconde ma si era sempre mantenuta in forma e la pelle era piacevolmente curata.
Vent’anni però, gli avevi lei. Oppure poco più ma non importava. Oppure si? Non sapeva dirlo. Una donna non riesce ad accettare la vecchiaia, dicono. Ma per lei era diverso e quanto stava vedendo non cambiava le cose. Nonostante riuscisse a scorgerne la pelle fresca, le mani affusolate, il viso fresco ed i capelli quasi brillanti riusciva solo a pensare a che cosa potesse aver portato a questo momento della sua vita.
Non poteva accettare fosse solo una storia di sesso, doveva essere qualcos’altro. Altrimenti perché rischiare di perdere una vita di dieci anni costruita assieme. Non era possibile, lo stava giustificando. Stava cercando di trovare un sentimento in tutto questo in modo da poter accettare la situazione ed affrontarla.
Ma doveva affrontarla comunque, motivazione o meno.
Estraendo con lentezza misurata e calma solo apparente il cellulare dal taschino della giacca pensò se era veramente quello che voleva fare. Ma non c’era tempo per riflettere sul futuro, il rischio di essere scoperta era troppo grande  e non era il momento adatto per far percepire la sua presenza.
Erano molti gli attimi da fotografare e mentre lo faceva, non riusciva a smettere di tremare. La messa a fuoco era di scarsa qualità e non riusciva a mantenere un’inquadratura corretta ma si costrinse a respirare in modo da poter aver materiale più corretto possibile.
Quello che doveva fare era stato fatto ed ora le rimaneva solamente il compito di andarsene più in fretta possibile. Ripercorrere gli stessi passi, salire in auto, guidare fino a casa. Si sentiva un automa. Eppure le lacrime non accennavano a scendere, ogni muscolo del suo volto era contratto in una smorfia tra dolore ed agonia. Ma nulla. Nessuna goccia le scivolava sulle guance mentre una parte della sua mente se ne chiedeva il perché.
Collegare il telefonino al PC, rivedere le immagini, ingrandire ove necessario e stampare. Procedure che fece nel più breve tempo possibile.
Un sospiro profondo mentre si sedeva al tavolo da pranzo, un pezzo unico scovato nelle mille ricerche nei mercatini dell’antiquariato. Bellezze accettate ed utilizzate ma mai condivise. Ogni giornata trascorsa tra i banchi a contrattare prezzi era diviso con la sua solitudine e con i suoi pensieri. Anche questa passione, come molte altre, non li legava.
Di nuovo in mano il telefono, questa volta per affrontare la sua voce e capire se era in grado di gestire un inizio di dialogo:
“Pronto?”
“Puoi tornare a casa?”
“Perché?”
“Perché ho bisogno di parlarti.”
“Ora non ho tempo.”
“Dovresti trovarlo, è importante. Ti aspetto.” Fine della comunicazione. Non c’era altro da dire. Anche perché il fatto che non avesse tempo era direttamente collegato all’attività di cui si stava occupando con lei. Lei che faceva parte del loro mondo, proprio lei che sedeva alla sua tavola quando i pranzi si allargavano ad amici con famiglie al seguito. Le sue favolose cene, famose in tutto il quartiere. Erano il piacere di molte serate organizzate più o meno mensilmente, di cui lei adorava ogni momento. Il vociare dei bambini in giardino, il sorseggiare l’aperitivo con persone piacevoli, il sole di fine giornata che riscaldava la pelle ed i cuori, tutto aiutava a cancellare i suoi sforzi durante le ore precedenti perché tutto fosse perfetto.
Rumore di ruote sul viale, tornava da lei senza il minimo presentimento ma con passo deciso e quasi pronto alla guerra per quel cambio di programma sulla giornata appena iniziata.
Aurora non si muoveva mentre il percorso di lui lo conduceva di fronte al tavolo, di fronte alle foto sparse verso i suoi occhi spalancati dallo stupore e dallo sconcerto. Il corpo immobile lo guardava:
“Il tempo per venire qui l’hai trovato, ora trova anche il modo di uscire dalla mia vita.”  
 

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