«Ehi tu, fermati!» gli grida. «Ehi tu, fermati!» grida con più forza, accelerando il passo.
L'altro, pensando che voglia aggredirlo, prende a scappare tra gli alberi del bosco. Il lupo gli corre appresso, gridandogli di rallentare, perché vuole soltanto fare quattro parole in sua compagnia. Nei pressi di uno spiazzo, il fuggitivo si accorge che l'inseguitore non lo tallona più. A guardarlo bene, ha proprio l'aspetto di un animale triste e sconsolato, per cui comincia a credere che sia vera quella insolita richiesta di voler scambiare quattro chiacchiere con lui; ma è pronto a scappare di nuovo, qualora fosse necessario.
Il lupo è con il muso chinato sul petto e con le orecchie basse, accanto ad un grosso arbusto.
«Bella giornata, eh?» esordisce il cane, sedendosi su un pezzo di radice che fuoriesce dal terreno.
«Grazie, per aver deciso di non correre lontano da me» risponde il lupo, tenendo gli occhi rivolti a terra.
«Figurati. Ne vuoi un morso?» aggiunge, dopo aver tirato fuori una mela dal marsupio che si porta appresso.
«No, grazie.»
«Non ti piace la frutta?»
«Mai mangiata.»
«È buona, sai?»
«A me piace la carne che si scioglie in bocca, come i fiocchi di neve che si bevono d'inverno.»
«Quindi, non ti piace la carne, tipo la mia, dura e stopposa come quella di un porcospino farcito di piante spinose.»
«Certo che no.»
«Mi fa piacere che sei un buongustaio.»
«Ma da qualche tempo in qua, mangio poco.»
«Sei a dieta?»
«No.»
«Problemi allo stomaco?»
«No. Digerisco anche gli ossi di un vecchio stambecco.»
«Quindi, mangi poco, perché hai poca fame.»
«Sì.»
«Invece, io mangio tanto.»
«Perché hai tanta fame.»
«Già.»
Dalla collina arriva un piacevole venticello che fischietta tra le foglie del bosco, mentre il cucùlo comincia a cantare la sua virile baldanza.
«Allora, come ti chiami?» riattacca il segugio, con tono amichevole, dopo aver addentato un altro pezzo di mela.
«Grigio mi chiamo, per via di questa macchia che porto sul petto, vedi?»
«Vedo, vedo. Io sono senza nome, ma spesso mi chiamano "bastardo".»
«Solo perché non sei di razza o anche perché sei un mascalzone?»
«Io sono figlio legittimo di genitori meticci, quindi non sono un bastardo. E non sono un farabutto, quindi bastardo non mi si addice! A parte ciò, quello che mi dà maggiormente fastidio non è il termine in sé, ma come viene pronunciato.»
«Perché non si pronuncia come è scritto?»
«Certo, ma qualsiasi parola assume un brutto significato se usata con l'intento di offendere.»
«Non posso darti torto» concorda il lupo, stiracchiandosi le zampe.
Intanto, una nuvola di farfalle svolazza allegramente sopra un manto di margherite pratoline.
«Allora, come va?» riprende il meticcio, dopo l'ultimo boccone di mela.
«Non tanto bene e sai perché?»
«Lo sapessi, non te lo chiederei.»
«Mi manca la compagnia del branco che, ahimè, non ho più per un fatto gravissimo!» si lamenta, trattenendo un inizio di pianto.
«Suvvia amico, c'è di peggio ad un fatto gravissimo!»
«No, perché più gravissimo non si può dire.»
«Ma gravissimo gravissimo, sì!»
«Un gravissimo errore di gioventù!» ribatte il lupo.
«Un errore di gioventù? Però, raccontami!» lo esorta, sempre più a proprio agio.
«Ecco quanto: mi innamorai di una fanciulla che mi piaceva tanto.»
«Hai fatto la rima, sai?»
«E cosa me ne faccio della rima?»
«Nulla, se non l'hai voluta fare.»
«Dicevo del mio amore...» sospira il lupo, asciugandosi una lacrima con la sua lingua fazzoletto.
«Bella cosa innamorarsi, anche se impegnativa.»
«Io ero felice, lei anche... quando...»
«Ahi, mi sembra di capire che accadde qualcosa di triste!»
«...quando il capo mise gli occhi addosso alla mia innamorata!»
«Ahi, la stessa lupa che piace anche al capo!»
«Proprio così!»
«Eppure, non si dovrebbe desiderare la lupa altrui!»
«No?»
«Però, se la lupa è bella...»
«Se è bella, si può?»
«Si fa. Ma cosa dicevi?»
«Dicevo del capo branco che prova interesse per la mia fidanzata.»
«Bel problema!»
«Infatti. Tu cosa avresti fatto al posto mio?»
«Si combatte una battaglia se la vittoria è possibile; altrimenti, conviene posare le armi e dimostrarsi amico.»
«Sei saggio, tu.»
«Non lo so; ma ho prese tante di quelle mazzate che ho imparato ad evitare di prenderle.»
«Invece io...cosa vuoi...ero giovane! E poi...pensavo che lei mi amasse al punto da lottare per il nostro amore... per cui...pur essendo il capo più grosso di me...gli dissi di farsi da parte!»
«Ci vuole coraggio a sfidare il capo, pur sapendo di buscarle.»
«Ma quando il capo mi alitò i suoi denti sul muso, abbassai subito le orecchie e le pretese e gli chiesi persino scusa!»
«E la lupa? Sono curioso di sapere la reazione della lupa.»
«La lupa non mosse un pelo di dissenso!»
«Lupa che non parla o ha paura o dal silenzio ci guadagna.»
«Puoi capire come ci rimasi male, io?»
«Per tutti i guinzagli rotti del mondo, certo che sì!»
«Intanto, mi ero cacciato in un bel guaio!»
«Purtroppo, quando c’è di mezzo una donzella, la faccenda o è brutta o è bella. Ho fatto la rima, però!»
«Ma la cosa che mi ha fatto più male, sai qual è?» prosegue il lupo, con gli occhi ancora più bagnati.
«Non la so, dimmela tu.»
«Vedere la mia lupa abbracciata all'altro, come se ne fosse innamorata, mentre io venivo cacciato dal branco, per avevo osato sfidare l'autorità del capo!»
«Si sa che il capo ha sempre ragione, che gli spetta la carne migliore, la femmina più bella; insomma, tutto quello che c’è di meglio, perché il capo è il più forte del gruppo.»
«Già, altrimenti non sarebbe il capo!»
«Mi dispiace, per quello che mi può dispiacere, caro afflitto e dispiaciuto amico mio.»
«Oh, ci ho fatto l’abitudine a sentirmi uno straccio!»
«Ti capisco. Ah, se ti capisco! E come ti capisco io, non ti capisce nessuno.»
«Perché, è accaduto anche a te?»
«No, ma ti capisco lo stesso.»
«Sei bravo a capire, tu.»
«Lo so, lo so, è una virtù che ho. Ho fatto un’alta rima, però!»
«Ma scrivi poesie, che ti piacciono le rime?»
«Figurati, non ho tempo per fare ciò!» si giustifica il segugio, mettendosi più comodo sulla radice d’albero che esce dal terreno. Poi, modulando la voce come si conviene quando si vuole dare alle parole un tono importante:
«Ritornando al discorso di poc’anzi, caro mio, purtroppo sono cose che accadono, anche se sono cose che non dovrebbero accadere. D'altra parte le regole ci sono per dettare i comportamenti da tenere in un gruppo, come quella di ubbidire al capo e che tu non hai rispettata.»
«E ne pago le giuste conseguenze: da quando mi venne impedito di vivere nel branco, non sono che un povero e disgraziato reietto!» ammette sconsolato il lupo.
«Però, però...»
«Però?»
«Però mi sembra che tu dia per scontato ciò che scontato non è.»
«Sarebbe a dire?»
«Vedi, cosa c'è di male a innamorarsi?"
«Non credo sia un male.»
«Non lo è affatto.»
«Quindi?»
«Cosa c'è di più tenero e romantico di due cuori stretti nell'abbraccio dell'amore?»
«Non riesco a pensare a qualcosa di più sublime.»
«Infatti.»
«Quindi?»
«Quindi ci sono regole che non sono giuste. Ora, se una regola non è giusta, è sbagliata. Se è sbagliata, chi la subisce, riceve un torto. Ed è il tuo caso, per cui non dovresti sentirti in colpa. Anzi, ti dirò di più, dovresti sentirti offeso, per un sopruso che hai subito!»
«Cioè? Spiegati meglio, ti prego!» chiede il lupo, ansioso di capire.
«Tu e la tua lupa avevate un legame d'amore che il capo branco, in virtù del suo ruolo e della sua forza fisica, decise di spezzare.»
«E allora?»
«E allora la tua reazione non va vista come un agire che mette in discussione l'autorità del capo, bensì come un agire contro un'ingiustizia!»
Al lupo questo discorso non sembra per niente strampalato, per cui chiede all’altro di continuare.
«Vuoi che argomenti ancora? Come vuoi, carissimo Grigio mio! La questione ti sarà chiara da qui a poco. Dunque, il termine reietto si addice a chi è sbrancato per un motivo giusto, per esempio per aver rubato ciò che appartiene al gruppo. Ne convieni?»
«Sì!»
«Ma quando si lotta per una giusta causa, quando si combatte una ingiustizia c’è un altro termine che ha significato positivo, nobile e finanche eroico! Questo termine, sai qual è?»
«Aspetta aspetta. Non me lo dire, no! Non me lo dire che lo dico io:
«Ribelle, amico mio. Ribelle!» grida entusiasta il lupo, correndo ad abbracciare il cane che subito scappa via.
«Ma, amico mio, ti voglio solo abbracciare, per ringraziarti!»
«Amico mio, sai com’è?, ho pensato che per festeggiare ti fosse venuta fame.»
«Macché! Io ti sono grato per avermi aiutato a capire che non è l’onta del reietto che mi devo portare addosso ma l’orgoglio di essere ribelle!»
«E’ così, proprio così!» conferma il randagio senza nome, rimettendosi a sedere.
Nei pressi della radice che fuoriesce dal terreno si adunano formiche raccoglitrici di avanzi di cibo. Dal cespuglio di nocciole esce a razzo uno scoiattolo che si arrampica veloce e agile sopra una quercia.
«Ma, adesso, dimmi un po’ di te» chiede il lupo, ché gli sembra brutto non chiederlo.
«Ti dirò in breve, visto che me lo chiedi, che se dovessi raccontarti di me, passo dopo passo, richiederebbe più tempo che il contare tutte le foglie del bosco!»
«Beh, facciamo che il bosco abbia solo un arbusto giovane e non ancora rivestito di rigogliose e abbondanti foglie» propone Grigio, con garbo.
«Allora, caro mio, ti parlerò della mia più grande conquista!»
«Cioè?»
«La libertà»
«Perché, tu sei libero?»
«Più che posso!»
«E di cosa è fatta la tua libertà?»
«In sintesi, non devo dar conto a qualcuno di quello che faccio o che non faccio, perché non ho legami. Non devo riverire qualcuno, perché mi dia da mangiare, in quanto me lo procuro da me.»
«Insomma, mi sembra di capire, che tu sei libero, perché non hai affetti a cui badare.»
«E’ vero»
«Mi sembra di capire che ti senti libero, perché non hai bisogno di lavorare per mangiare, come fa il cane guardiano del gregge; non hai bisogno di realizzarti come amico fedele di qualche umano.»
«Ti sono grato», lo interrompe il meticcio, «che tu non abbia usato quell’orribile e ripugnante parola che è “padrone”! Come se un cane fosse una merce, uno schiavo, per definizione sottomesso. Quando sono scappato dal giogo del guinzaglio, l’ho fatto per sentirmi libero di scodinzolare dove volessi e senza l’obbligo di essere per forza fedele.
L'uomo non è mio padrone, ma un mio amico, se si comporta bene!» ammonisce il cane, abbaiando la sua rabbia.
«La libertà» riprende il lupo, dopo che l’altro si è calmato «non è mai assoluta. Spesso ci liberiamo da una catena per legarci ad un'altra catena. Per esempio, tu hai potuto liberarti dalla prigionia del lavoro, in quanto autonomo nel procurarti ciò di cui hai bisogno, ma, allo stesso tempo, ti sei reso dipendente dalla tua acquisita autonomia.»
«È vero; ma ci sono le catene che ti tengono per la gola e quelle che non ti tolgono il respiro.»
Grigio alza il muso verso l’alto, come a voler acchiappare il filo del suo discorso: «Certe catene sono così radicate che non riesci ad estirparle completamente e certe altre sono così nascoste che non ti accorgi di averle.»
«È vero. Però, bisognerebbe liberarsi, innanzitutto, da quelle catene, figlie di consuetudini che non ti permettono di guardare quello che c'è davvero, ma solo di vedere ciò che appare; consuetudini che ti fanno agire come da copione e non come sarebbe più giusto fare» chiosa il cane mettendosi il muso tra le zampe.
Grigio non ribatte; se ne sta in silenzio a pensare che la libertà abbia tante di quelle sfaccettature che a volerle appendere alle foglie riempirebbero tutto il bosco.
È da un po' che parlano i due quattro zampe e si accorgono che si è fatto tardi solo perché il tramonto cambia la luce del giorno.
«Ora dovrei andare, perché ho appuntamento con una cagnetta, guardiana di un gregge di pecore, che ho incontrato qualche giorno fa» si scusa il meticcio, mettendosi ritto.
«Figurati. Piacere di averti incontrato, Senzanome.»
«Piacere anche mio, Grigio.»
Mentre il cielo si scurisce, il cane prende un sentiero che scende verso valle, mentre l'altro si avvia nel bosco.
La notte non è fredda e in alcuni punti, dove la cresta della montagna confina con il cielo, le stelle sembrano a portata di mano.
Mamma capriolo, dopo avere nutrito del suo di latte i due cerbiatti, li lascia su un giaciglio di latifoglie secche, in una cavità della roccia, per mettersi a cercare del cibo per sé.
Si muove guardinga, ignara che due occhi pieni di fame sono in agguato. Due occhi vigili, in attesa del momento favorevole per sferrare l’attacco. Il momento arriva, quando il capriolo allunga il proprio muso su un grappolo di mirtilli. E zac! La povera creatura si ritrova con il collo tra le fauci di Grigio che, per non farla scappare, la tiene schiacciata sul terreno. Da lì a poco , l'avrebbe messa penzoloni e con uno scossone le avrebbre spezzato l'osso del collo. Il capriolo è fermo, paralizzato da quelle tenaglie letali che sono le mascelle del lupo. L'unica percezione visibile della sua vitalità è data dai suoi occhi, spalancati su un baratro di terrore. Potesse dire qualcosa, implorerebbe di essere finita subito, perché troppa angosciosa è l'attesa dell'ultimo respiro.
Ma Grigio non si decide a completare l'attacco; anzi, rimette la poveretta sul terreno, allenta la morsa, e se la tiene sotto le zampe. La preda incredula ne approfitta per scappare, ma al suo scatto le mascelle del lupo l'afferrano di nuovo per il collo.
«Perché non mi finisci?» domanda il capriolo, quando riprende abbastanza fiato per farlo.
Il lupo non risponde.
«Fa' quello che devi fare, ma fallo presto. Abbi pietà della mia paura. Non essere spietato più di quello che devi!»
Grigio continua a non rispondere. È lì con il corpo, ma non è lì con la solita testa. Non stringe la bocca, non la apre. Non sa cosa fare. Eppure è abituato a sentire l'ansimare della sua vittima, il suo cuore battere paurosamente, il suo gemito finale, e infine il suo corpo giacere inerte tra le sue zampe. Ma ora sente che la sua preda ha paura; ne sente il singhiozzare delle vene, ne sente la vita che pulsa sotto i propri denti.
«Perché mi implori di finirti, invece che di liberarti?» chiede,
quando non riesce più ad ascoltare il ronzìo delle proprie emozioni.
Mamma capriolo è stanca e rassegnata.
«Ti imploro di finirmi, perché è nella tua natura uccidere la preda, non certo liberarla dopo averla catturata. Perciò più mi tieni in vita e più è crudele la sofferenza che mi dai!» mormora.
«Hai ragione. È naturale che tu sia la mia preda e che io non ti dia scampo!» concorda il lupo, stringendogli la gola.
Da qualche ramo di qualche faggio la civetta squittisce una volta, poi di nuovo una volta e ancora un'altra volta.
Là dove c'è il giorno c'è anche la notte e dove c'è questa c'è anche quello. Ma il tempo non ha mai un minuto uguale al minuto precedente o a quello che viene dopo. Se diverso è lo scorrere del tempo, ci può anche essere un agire diverso che si ribella ad accettare come condizione naturale un appetito che si nutre del sangue altrui.
Forse che lui non era un ribelle? E allora? Allora avrebbe dato lui inizio al cambiamento, con l'auspicio che il proprio esempio contagiasse un altro che, a sua volta, veicolasse l'esempio ad altri, come in una pandemia. Pensando a ciò, lupo Grigio, schiude la bocca dal collo della sua preda e la rinchiude sull'aria fresca della sera. Mamma capriolo non appena avverte di non essere tenuta bene, si divincola e scappa via, ma non corre lontano. Si gira a guardare il cacciatore che se ne sta seduto sulla coda e che pare sorriderle.
«Perché non scappi via dalla mia vista?» le chiede, incuriosito.
«Perché non mi acchiappi?» risponde il capriolo, incredulo.
«Dove è scritto che è naturale che ci sia un cacciatore ed una preda?» riprende Grigio.
«Nel libro del mondo, credo. Sai, per il controllo delle nascite, la selezione naturale. Quella roba là, insomma.»
«Già. Ma occorre cercare e trovare un modo naturale e non bestiale, per raggiungere lo stesso risultato.»
«Che io sappia, non credo sia possibile.»
«Forse è come dici tu, ma occorre provarci, perché non sempre è impossibile quello che sembra tale.»
Mamma capriolo non ribatte. Quel lupo è strano, forse matto, ma è contenta di aver incontrato lui e non un altro. Si sente fortunata e ringrazia i suoi avi per averla salvata e il lupo per averla risparmiata, prima di correre dai propri cuccioli.
«Grazie a te, per avermi data l'occasione di non essere stato tuo carnefice» si dice il lupo, alzando la zampa a mo' di saluto.
Sotto il ponte di legno scorre il torrente, alimentato dalla pioggia degli ultimi giorni. Sul sentiero, a metà tra il prato che si tuffa alle spalle delle prime case del paese e l'inizio del bosco che sale al colle, si incontrano di nuovo il cane e il lupo.
«Ciao, amico, come va?»
«Non c'è male, e tu?»
«Abbastanza bene, grazie.»
Uno dei due prende dalla bisaccia che porta a tracolla una mela.
«Ti sei messo a mangiare frutta? Però!»
«Ne vuoi una?» domanda il lupo con la macchia grigia, chiamato per questo Grigio.
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