Un amore infantile | Prosa e racconti | Antonio Cristoforo Rendola | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Un amore infantile

 
(Dal mio romanzo  "AB, da dove)
 
 
 
 
Il giorno dopo il ragazzo si sedette alla stessa panchina, con altra brioche, nella speranza di rivedere Patrizia che usciva per andare a scuola, ma invano. Così, mentre mestamente  se ne stava andando, udì una vocina provenire da una delle finestre del palazzolo annesso al deposito. Era quella della bambina:
-Ehi…oggi  mi non avù a scuola…[1]Mi a sun la fever[2]…-
E Antonio: - Non capisco…comme parli ti?-
 - Ho la febbre…non vado a scuola…Com’è la brioche?-
- Come quella di ieri…Anzi, no, mo che ci penso, quella di ieri era più buona…-
Il viso della ragazzina calamitò il suo sguardo tanto che, distrattamente, inciampò e cadde in terra, mentre la brioche gli volò via dalle mani e finì di nuovo azzannata dallo stesso cane del  giorno prima.
- Che!!! – sussultò Adriana – Ohè, ti! Ti te se fatto mal?-
- Mi? – ripose Antonio rassettandosi alla meglio – Mi nun m’aggio fatto niente…E’ che volevo
da da mangià a ‘sto cane! – Poi aggiunse:- Ma senti…quand’è che ti passa ‘sta febbre?-
- Lo so miga…-
- Dì, quando ti passa ci vediamo un po’?-
- Dove? –
- Qui, in giro-
- Mentre vado a scuola?-
- Si…-
- Magari domani mi passa…Ohè te, come ti chiami?-
Antonio…e tu? –
- Patrizia …–
Patrizia…la sua bocca rosa di bambina era profumata, fresca e dolce; quella bocca dove Antonio avrebbe voluto mescolare il suo fiato, dove la voce è musica, è sospiro, è suono
cristallino. La dolcezza del sole che sorgeva dai monti penetrava l’anima mentre la piccola, alla
finestra, sembrava una santarellina sotto un’aureola di pulviscolo d’oro in un altarino.
L’indomani le passò la febbre miracolosamente. Scese per andare a scuola ed incontrò Antonio
che l’aspettava seduto sulla solita panca e tenendo in mano un pacchettino con due brioches.
- Fortuna che non ci stanno cani randagi in giro…-fece il ragazzo  ed offrì un dolcetto alla
bambina.
- Cus l’è ‘sto fatto dei randagi? – chiese Patrizia.
- Ah…niente…-
Giunti che furono davanti al portone della scuola, la ragazza fece:
- Ma ti a scuola non ci vai? –
- Si, ci so andato…a Napoli…alle elementari…-
- Ma poi? Alle medie? Tua mamma e tuo papà non ti ci han mandato? –
- Sono morti. Tengo solo un fratello che lavora al “Degli Alpini” dove abito…e lavoro pure.-
-Ah, me despiase…- disse la ragazzina e scomparve dietro il portone.
Da quel giorno Patrizia invase la sua mente come un’idilliaca visione infantile di estrema felicità: la vedeva quale ninfa dei boschi correre leggiadra tra  gli agrifogli; abbeverarsi alla chiara e dolce acqua dei torrenti che scorrevano dallo Stelvio; Dormiva ed aveva timore di svegliarsi e non sognarla più; vegliava ed aveva timore di addormentarsi e non vederla più nel suo pensiero. Al mattino si risvegliava in balia di un turbamento psicofisico mescolato con spirituale dolcezza.
 
 

[1] Non vado a scuola…
[2] Ho la febbre
 

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