Scritto da © Antonio Cristof... - Mer, 08/01/2014 - 08:49
Dal mio libro AD OCCHI APERTI Ed. Il Filo
SOLUZIONE FINALE
Helmut Bremher, il tedesco, fece la sua prima apparizione in paese il giorno in cui fu accompagnato da quattro uomini che lo scortarono fino all’ingresso di una villa.
Si trattava di una bellissima casa in stile gotico completamente dipinta di bianco ed interamente circondata da una fitta cancellata. Sul vialetto d’ingresso si apriva una porta con due grossi anelli sulle ante. Sul lato destro della cancellata c’era il varco auto con relativo box, e sul retro, una porticina permetteva l’accesso direttamente in cucina. Era eretta su due livelli più la soffitta. Al primo piano c’erano, oltre alla cucina, un atrio che dava, da una parte in una biblioteca e dall’altra in un soggiorno dove dormiva placidamente un vecchio camino. Una scala di legno portava prima al piano superiore dove vi erano tre stanze da letto tutte allineate in un largo corridoio, poi su in soffitta, nella quale si apriva, appena rischiarato da un minuto finestrino, un unico grande vano con un piccolo ripostiglio.
Quella casa era stata costruita anni prima in maniera del tutto anomala e misteriosa. I lavori vennero effettuati di notte e ad attuarli furono operai venuti da fuori, non si sapeva bene da dove. Furono eseguiti con perizia e meticolosità, rispettando alcuni dati astrologici come l’orientamento del sole e della luna, ed ebbero inizio quando l’asse del pianeta Saturno era allineato con quello terrestre.
L’ingegnere, tale Abraham Haroon, studiò a lungo il terreno prima di edificare, poi scelse un luogo fuori Mercogliano alle pendici di Montevergine.
Il tedesco, era stato maresciallo nelle S.S. durante la seconda guerra mondiale. Egli si era sottratto alla giusta condanna dei Tribunali Internazionali per essere riuscito a dimostrare la sua estraneità nei delitti perpetrati ai danni della popolazione ebrea. In realtà egli aveva partecipato attivamente a quell’operazione che Hitler definì “Soluzione finale”, cioè l’annientamento degli ebrei. Pare si fosse interessato dello smistamento dei prigionieri all’interno di un campo di concentramento, scegliendo personalmente quelli che con il loro lavoro forzato potevano essere utili alla causa del nazismo e quelli, invece, da avviare nelle camere a gas o nei forni crematori. Aveva messo insieme una vera fortuna in monili d’argento, anelli, collane e denti d’oro che aveva portato via ai legittimi proprietari prima che questi venissero messi a morte.
A Mercogliano aveva condotto vita solitaria, da vero misantropo: non usciva mai, alimenti e giornali gli venivano consegnati direttamente a casa. Ogni tanto lo si vedeva spiare all’esterno da dietro una finestra. Era un uomo in età avanzata, di piccola statura, senza capelli. Il suo viso esprimeva esplicitamente un odio smisurato per tutto e per tutti. Era l’emblema stesso della cattiveria umana!
Una mattina uno dei fornitori bussò alla porta, come solitamente faceva, ma non ottenne risposta, così il giorno dopo. Il terzo giorno, insospettito, chiamò i carabinieri che entrarono in casa, salirono su nella sua stanza, quella centrale, e restarono esterrefatti davanti all’orribile scena che si presentò ai loro occhi. Il tedesco era stato crocifisso, inchiodato mani e piedi a testa in giù ad una delle pareti. La stanza era imbrattata di sangue un po’ dovunque e, fatto strano, ogni cosa era esattamente al suo posto: non c’erano segni di lotta, come se la vittima si fosse fatta crocifiggere volontariamente senza alcuna reazione.
Alla morte di Bremher, per un lungo periodo, la casa non fu più abitata, almeno fino a quando non si presentò in paese un ebreo del quale nessuno conosceva il nome. Era un uomo di statura altissima, oltre un metro e novanta, completamente vestito di nero, con un giaccone che gli arrivava oltre il ginocchio ed un paio di occhiali scuri. Camminava goffamente con passi tanto lunghi che chiunque avrebbe stentato a stargli dietro. Il suo sguardo truce incuteva timore, il suo aspetto era paragonabile a quello di un bieco iettatore. Se ne andò ad abitare per qualche giorno nella villa e ne usciva solo la mattina presto e nel primo pomeriggio. Si poneva al centro della strada e guardava in entrambe le direzioni, come se aspettasse qualcuno. Per il resto della giornata rimaneva chiuso in casa e nessuno sapeva cosa facesse.
Dopo qualche giorno, la persona che evidentemente aspettava arrivò. Era un uomo ancora giovane che da poco aveva passato i trent’anni; era anch’egli tedesco come il precedente abitante.
Era interessato all’acquisto della casa e fu ricevuto dall’ebreo con estrema cortesia. Egli gli fece vedere l’intera villa (naturalmente erano state cancellate tutte le tracce di sangue nella stanza dove era avvenuto l’orrendo delitto) che risultò di suo pieno gradimento; anche il prezzo d’acquisto era più che conveniente, così, quando Heinz SkrÜder disse che sarebbe andato ad abitare con la sua famiglia in quella casa, l’uomo lo congedò con un mezzo sorriso ed allorché il giovane si allontanò soddisfatto, lo seguì con uno sguardo nel quale scintillavano sentimenti d’odio e di vendetta.
Il giorno dopo la lunga figura di quell’uomo in nero non c’era più, egli era sparito misteriosamente così come era venuto. La casa rimase chiusa per più di un mese, e durante tale periodo nessun paesano osò neanche avvicinarvisi. Intorno ad essa, infatti, le dicerie popolari avevano creato un alone di mistero secondo il quale la villa era infestata da spettri malvagi. Chi diceva di aver sentito voci confuse e chi grida disperate d’aiuto; chi asseriva di aver visto dei bagliori provenire dalla soffitta e chi affermava di aver sentito sussurri di bambini; chi, infine, di aver visto dietro le tendine il volto ferino di Helmut Bremher.
Quando SkrÜder, con la sua famiglia (moglie e due ragazzini: un maschio e una femmina) presero possesso della villa, la trovarono in perfetto ordine: mobili spolverati, suppellettili tutte al loro posto.
Anche la biblioteca era in assoluto ordine. Essa era veramente grande, completamente circondata da scaffali nei quali i libri erano stati deposti secondo la loro tipologia e la loro argomentazione.
- Cosa te ne pare? – disse Heinz nella sua lingua alla moglie Brigitte
- Non so…mi sembra tutto così strano. E’ avvenuto tutto così in fretta: l’acquisto di questa casa, il nostro spostamento da Roma…-
- Ma è stata una vera occasione! Non mi è parso vero di potermi avvicinare a Napoli dove lavoro…e poi il prezzo oltremodo conveniente…Finalmente abbiamo una casa nostra!-
- Hai comprato questa villa senza mai trattare con il vero proprietario, sempre per interposte persone…-
- Ma senza pagare una lira in più! Lessi l’inserzione sul giornale e telefonai, mi risposero da un’agenzia immobiliare che contattai subito dopo personalmente, poi sono venuto di persona a vedere, la villa mi è piaciuta, così…-
- Già, un prezzo conveniente…Come se avessero voluto proprio darla a te questa casa…-
- Darla a me? E per quale motivo?-
- Non lo so, ma c’è qualcosa che non mi convince…-
Furono interrotti dai bambini che erano saliti su al primo piano.
- Mamma, papà, qual’è la nostra stanza?-
- I vostri lettini sono sistemati in quella centrale.- rispose Heinz, sorridendo – Ma adesso aiutateci a disfare i bagagli.-
I ragazzini scesero giù e di buona lena, l’intera famiglia, in breve tempo, sistemò tutte le sue cose.
I primi giorni trascorsero tra la diffidenza della gente, fatto che turbava non poco la serenità degli SkrÜder. Quando Brigitte o Heinz si recavano a far compere, i paesani sembravano tenerli a distanza, così com’erano mantenuti a distanza i suoi figli Karl e Lily dagli altri bambini del posto.
Una volta in un supermercato un’anziana professoressa del paese chiese a Brigitte: - Come va in casa sua, signora? – ma lei, che a malapena spiccicava due parole in italiano, non intendendo bene, rispose solo con un mezzo sorriso.
- Va bene? – incalzò la donna – Sa, si raccontano certe cose su quella casa…-
- Non capisco cose lei dice, signora, davvero…-
- Andate via da quella casa, è maledetta!- disse l’anziana donna alzando il tono di voce – Come si dice “maledetto” in tedesco? …”Verdammt”!-
- Mi dispiace…-disse sorridendo, Brigitte - Non capisco…- ed uscì dal negozio quasi di corsa. In realtà l’ultima parola l’aveva capita bene. Fece la strada presa da terribile angoscia e si girava e rigirava intorno, rendendosi conto di come tutti la guardassero, la seguissero addirittura con lo sguardo e commentassero il suo fare; così si affrettò per rincasare, rischiando addirittura di finire sotto un auto nell’attraversare di corsa la strada.
Quando fu dentro, fu presa da una forte inquietudine, chiamò il marito e i due figli, ma nessuno le rispondeva.
- Heinz…Karl…Lily…dove siete?- Salì la scala che portava al primo piano ed entrò nella sua camera, si guardò intorno, udiva voci provenire dalla strada, ma non erano di certo quelle dei suoi familiari. Sentì allora uno scricchiolio provenire dalla stanza attigua, quella dei ragazzi. Vi entrò, d’improvviso sulla parte di fronte si disegnò l’ombra di una grande croce. Brigitte sussultò di paura, ma si calmò quando s’accorse che si trattava di un’ombra riflessa dall’esterno. Si affacciò alla finestra e vide che una croce, proprio in quel momento, era portata in processione da un uomo, seguito da preti e da una moltitudine di gente che cantava: - T’adoriam ostia divina, t’adoriam ostia d’amor…-
Sobbalzò di nuovo quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Era Heinz con i bambini
- Heinz! Mio Dio che paura! Dove eravate?-
- Ero con i bambini nel box auto, giù, quando ti abbiamo sentita arrivare…-
- Mamma, papà, guardate c’è una processione di gente che passa. -
Si affacciarono tutti alla finestra. Si udiva un coro di “Gloria al Padre” e di “Pater Noster” levarsi dalla gente. In testa alla processione c’era un anziano frate domenicano. Il suo aspetto era gradevole e sereno, aveva una barba bianca non troppo folta, ben curata, sopracciglia nere e capelli lunghi brizzolati tagliati al centro del cranio per la classica chierica monacale. Nel transitare, egli guardò con insistenza l’intera famigliola alla finestra, girando addirittura la testa quando fu passato oltre.
- Hai visto come ci ha guardati quel monaco? – disse Brigitte al marito – Sembrava come se volesse chiederci qualcosa, come se volesse dirci non so che…-
- Suvvia…- rispose l’uomo – Era un semplice sguardo di curiosità…-
- La gente ci evita Heinz…Questa casa…E’ questa casa che non piace a nessuno. Cosa nasconde questa casa? Cosa vi è accaduto prima che venissimo noi? La gente sa, ma non parla. Ha paura…-
- Ma paura di cosa? Dai che è tutta invidia! E poi questa gente è così diversa da noi…Noi siamo così diversi da loro, per usi, per religione, per lingua…-
- Un’anziana donna nel supermercato mi ha detto che questa è una casa maledetta…-
- Ma se capisci così poco l’italiano? Chissà a cosa si riferiva…Magari imprecava perché il conto era troppo salato…-
Heinz era giornalista in un quotidiano di Napoli e scrittore per una casa editrice partenopea. Egli trascorreva gran parte della sua giornata in biblioteca davanti al suo “note book”.
Brigitte era una bellissima donna, alta, formosa, bionda, ma anche sensibile ed intelligente. Veniva da una famiglia ricca e perbene di Monaco dove era stata anch’ella cronista in un giornale locale dove aveva conosciuto Heinz. Laureata in Fisica, aveva insegnato all’Università di Bonn, prima di ritirarsi per una depressione provocatale da un incidente automobilistico in seguito al quale era deceduta la madre di Heinz.
Era accaduto in periferia di Dortmund, dove si stavano recando insieme a far visita ad una parente. Improvvisamente, per inspiegabili motivi, la pompetta dell’olio dell’auto di Brigitte cedette e tutto il liquido fuoriuscì via via lungo la strada. Nel frenare in una curva, la donna affondò il pedale fino in fondo senza che per questo l’autovettura decelerasse. In un istante l’automobile finì fuori strada, lo sportello di guida si aprì e Brigitte fu sbalzata all’esterno.
- Rivedo ancora in sogno quella scena, come al rallentatore: tua madre che si gira e mi guarda chiedendo aiuto, il suo viso stravolto dallo spavento, le sue mani protese verso di me, e, nell’auto che precipita, dietro di lei, la sinistra, lunghissima figura di un uomo completamente vestito di nero che rideva a crepapelle. – diceva al marito quando, di tanto in tanto, quell’incubo la tormentava in sogno facendola sobbalzare dal letto. Lo shock per quel grave incidente fu ben grande poiché Brigitte per lungo tempo stette male, e, solo grazie a cure mediche ed all’amore di suo marito, fu recuperata alla vita di tutti i giorni. Ma quell’episodio determinò il comparire di un senso, sia pure molto latente, nella psiche della donna. Ella cominciò ad avere intuizioni che non aveva mai avuto prima; un’intelligenza infinita iniziò a comunicare con lei senza alcun volontario intervento da parte sua; comparve in lei uno strano potere, superiore ad ogni definizione, indescrivibile a chi non ha padronanza di parapsicologia: era il sesto senso, quella facoltà della mente che può essere equiparata all'immaginazione creativa, ad una stazione ricevente attraverso la quale le idee interiori, le motivazioni profonde, i piani ed i pensieri arrivano nella mente stessa come un lampo, all'improvviso. In Brigitte questa facoltà, repentinamente, dopo l’incidente, si manifestò inequivocabilmente. Cominciò ad avere visioni relative a sprazzi di futuro, ad angoli di passato, a ritagli di nascosto presente della gente con la quale entrava in contatto, e ciò avveniva, anche se di rado, toccando semplicemente una parte qualunque del loro corpo o un loro oggetto. – Ho gia veduto questa casa! – aveva detto al marito la sera stessa in cui erano andati ad abitare – Sono già stata qui…- Guardò in alto, verso la soffitta, poi disse con voce bassa e rotta da un’irrefrenabile emozione: - C’è qualcosa lassù!-
Nei giorni che seguirono alla loro venuta aveva ispezionato la villa da cima a fondo. Era stata anche in soffitta, dove, in un piccolo stanzino, vi aveva rinvenuto un grande, vecchio baule di ferro ben rinserrato da un chiavistello. Vi girò intorno per trovare il modo di aprirlo, provò a trascinarlo, ma non appena afferrò una maniglia ecco che per un attimo nella sua mente balenò un’immagine: vide, per un istante, un lungo e largo corridoio con le pareti interamente tappezzate di fotografie, quadri e disegni, tutti rappresentanti volti umani, uomini, donne, bambini, vecchi, famiglie intere, coppie di coniugi. In fondo al corridoio c’era una grande porta ad arco, oltre essa: il buio assoluto.
- C’è un baule di sopra…- aveva detto a suo marito – Dovremmo vedere cosa contiene, è pesantissimo…- Heinz cercò invano la chiave per tutta la casa: - Chiameremo un fabbro…- disse, ma poi non se ne fece più nulla.
Lily e Karl, i due bambini, frequentavano una scuola elementare del luogo, nella quale, nonostante i buoni uffici delle loro maestre, erano visti un po’ come animali rari ed erano evitati dagli altri scolari che non facevano altro che eseguire le raccomandazioni fatte dai loro genitori.
I due trascorrevano il tempo libero a giocare fuori sulle aiuole antistanti casa loro. Erano ragazzini adorabili. Lei, cinque anni, biondissima come la mamma, svelta e perspicace; lui, quattro anni, capelli rossi come il fuoco, un po’ dispettoso, di sveglia intelligenza. Fu anche grazie a loro che Brigitte riuscì a superare il trauma psicologico causatole dall’incidente nel quale era morta la madre di Heinz.
Una notte la donna fece di nuovo quell’incubo. Lo sportello dell’automobile che si apriva, lei che veniva sbalzata all’esterno, la madre di Heinz che chiedeva aiuto e, dietro di lei, la sinistra, lunghissima figura di quell’uomo completamente vestito di nero che rideva a crepapelle mentre l’auto precipitava. Quella volta, però, il sogno oppressivo si protrasse per più tempo. L’auto precipitava in un marasma di gente tutta nuda, ossuta, rinsecchita, che urlava un assurdo dolore ed ondeggiava. La macchina affondava in quella folla sterminata e qualche istante dopo il corpo della madre di Heinz, anch’esso completamente nudo, prima riemergeva, tenuto in piedi da centinaia di mani, poi era di nuovo inghiottito dalla marea umana ed orrendamente divorato.
Brigitte gridò ancora nel sonno, facendo sobbalzare Heinz che la svegliò scuotendola ripetutamente.
- Brigitte! Brigitte! Svegliati! -
- Mio Dio, Heinz! Mio Dio! -
- Hai sognato, cara. Hai solo sognato…-
- C’e qualcuno che vuole comunicarmi qualcosa, ma io non riesco a capire…- disse la donna avvinghiandosi al corpo del marito come uno scalatore fa con una parete rocciosa quando teme di precipitare.
- Suvvia, non ti sembra di esagerare? Hai solo sognato…-
- Ho sognato l’inferno, Heinz! L’inferno! – disse la donna girandosi dall’altra parte e riappoggiando la testa sul cuscino.
Il giorno dopo, per cercare di dimenticare il suo incubo, Brigitte pensò bene di impegnarsi nei lavori di casa, di cambiare la disposizione di alcuni mobili. Si fece così aiutare dal marito che nel portare su una sedia, urtò involontariamente un muro tra le scale scrostando la pittura dalla parete. Brigitte intravide proprio in quel punto qualcosa di colorato. Incuriosita, graffiò il muro con le unghie e scoprì che probabilmente si trattava di un dipinto. Corse allora in cucina, prese una spatola di quelle che servono per rivoltare le fritture e cominciò a grattare tutto intorno. Pian piano scoprì che si trattava di un affresco che riproduceva la marea umana che ondeggiava nel suo incubo: corpi scheletrici, spettrali con scritto sul volto un innominabile terrore; le mani protese verso il cielo come per afferrare un’improbabile salvezza; le bocche spalancate in un grido di indicibile sofferenza; tutti in balia di un vento incessante nel quale aleggiava l’odore della morte.
Fatto sta che l’affresco non occupava solo il muro fra quelle scale, ma era tanto più grande che Heinz dovette chiamare una squadra di operai che, dopo un lungo lavoro, lo scoprirono in tutta la sua grandiosità, in tutto il suo scandaloso orrore. Esso occupava l’intera superficie di tutti i muri della villa: dal piano terra al primo piano, fatta eccezione per la soffitta.
Dopo quella scoperta Brigitte si recò in automobile su al monastero di Montevergine nel tentativo di trovar conforto per tutti i suoi timori. Il santuario, fondato nel 1119, sorge sull’omonimo monte a 1270 metri a nord ovest di Avellino e per arrivarci la strada è lunga e tortuosa. Vi giunse in ora mattutina, subito dopo la Santa Messa delle ore sette. La cappella era quasi deserta, solo pochi visitatori si aggiravano per la navata centrale. Brigitte si portò a ridosso dell’altare e s’inginocchiò innanzi all’effige della Madonna Nera, conosciuta dai fedeli col nome di “Mamma Schiavona”.
- Si dice che tu faccia miracoli…- disse, mentre le lacrime le rigavano il volto – Ti prego, allora, Madre Santissima, allontana da noi il calice del male! -
Improvvisamente una mano le si posò sulla spalla ed una voce calda e suadente disse in perfetto tedesco: - Il male è intorno a noi, figliola. L’importante è che esso non ci sopraffaccia ed entri dentro di noi!-
La donna si voltò e vide che a parlare era stato un frate domenicano, lo stesso che aveva visto un giorno in testa ad una processione religiosa.
- Chi…chi siete?-
- Fra Bernardo. -
- Voi parlate tedesco…-
- …Ed inglese, francese e spagnolo, per non dire logicamente del latino…-
- Noi, abitiamo in una villa tra Mercogliano ed Ospitaletto, padre…-
- Lo so, ho visto. -
- Che cosa è accaduto in quella casa? -
- Vi fu orrendamente trucidato Helmut Bremher, un maresciallo delle SS. assolto dall’accusa di eccidio di massa della popolazione ebrea durante la seconda guerra mondiale. Si racconta che abbia raccolto una fortuna con i beni depredati ai tanti poveri condannati a morte. -
- Come…come fu ucciso? -
- Crocifisso, inchiodato al muro a testa in giù. -
- Dio Onnipotente! E chi è stato? -
Fra Bernardo non rispose alla domanda, ma cominciò a narrare alcuni particolari della storia del tedesco ucciso:
- Bremher si macchiò certamente delle colpe da cui fu assolto. Si era rifugiato a Caracas, in Venezuela, dove fu poi rintracciato da un certo Efraim Zuroff, un segugio di criminali nazisti. Arrestato, fu estradato e tradotto a Londra, dove sarebbe stato impiccato se non fosse stato assolto grazie alla testimonianza di alcuni ex prigionieri che affermarono che la sua figura era stata molto marginale. In realtà quei testimoni erano stati profumatamente pagati. L’oro fu più potente della sete di vendetta, della rabbia, del senso di giustizia, così si macchiarono di un crimine ancora peggiore di quello commesso da Bremher e si arricchirono sul sangue dei propri simili. Uno solo lo accusò senza mezzi termini: si trattò del polacco Jonathan Rashno che nei forni crematori aveva visto finire la moglie e i quattro figli.
Rashno era un uomo veramente eccezionale. Era sopravvissuto a quell’inferno nazista nonostante immani torture. Il suo corpo martoriato aveva imparato a tollerare fame e dolore. Con l’arrivo degli alleati fu liberato dal lager nel quale era prigioniero e se ne tornò in Polonia, a Varsavia dove era nato e vissuto. La città, allora, non era altro che un ammasso di ruderi. Le case, ma soprattutto lo spirito degli uomini, era distrutto dalle fondamenta. Vede, signora, prima di divenire frate e prendere il nome di Bernardo, mi chiamavo Goran…Goran Lench, e sono polacco anch’io. Nel 1945 avevo sei anni e vivevo proprio a Varsavia. Avevo perduto tutto: padre, madre, fratelli e casa. Rashno mi trovò mentre rovistavo tra le rovine della mia abitazione e mi chiese:
- Cosa cerchi, ragazzo?-
Ed io: - Qualcosa di quello che ho perduto…- e piansi, e lui mi confortò. Mi tenne con sé e vivemmo alla men peggio. Era un valente pittore e, sebbene quelli fossero tempi in cui la gente pensava a ben altro che non a comprare quadri, c’era pur sempre qualcuno, specie i russi, disposto a sborsare quattro soldi per delle vere e proprie opere d’arte. Egli sfruttò il naturale sadismo e masochismo della gente comune, riproducendo su tela l’incubo vissuto nel campo di sterminio, e lo dipinse, mostrandolo in tutta la sua terrificante angoscia, su facce pallidissime di donne, volti cerulei di bambini, sguardi spenti di uomini, tutti accomunati da un unico denominatore: la morte. E quando non si vendevano quadri, si lavorava a scritte di negozi che via via riaprivano a Varsavia stessa o a Cracovia o a Danzica. Jonathan aveva una figura particolare: egli era di statura altissima, vestiva sempre in nero, con un giaccone che gli arrivava oltre il ginocchio ed un paio di occhiali scuri. Incedeva goffamente, con passi lunghi. Leggevo nella sua anima attraverso i suoi occhi, e quel che vi era scritto era solo odio per chiunque fosse di nazionalità tedesca, disprezzo per tutti coloro che non erano ebrei, ostilità e vendetta per chi aveva visto e saputo il suo dramma senza far nulla per evitarlo. In particolar modo, provava profonda avversione per la chiesa cattolica, ritenendola ipocrita, e per Papa Pio XII, a suo parere, pavido ed ignavo. Fu come un padre per me, ma quando raggiunsi l’età della ragione, il tempo in cui ogni uomo apre la sua mente ed il suo cuore, i suoi sentimenti divennero come un fumo malsano che mi entrava nei polmoni e mi avvelenava. Decisi allora di lasciarlo e di seguire quella che era la mia naturale vocazione: la via del Signore.
Molti anni dopo ero a Napoli. In una lettera che ancora conservo, un foglio pieno zeppo di innominabili farneticazioni, mi scrisse che nonostante la sua testimonianza non era riuscito a far condannare Bremher; che gli altri testimoni erano stati corrotti da quel demonio con il medesimo oro che egli aveva strappato ai loro parenti, prima di mandarli a morte. Questo orrore lo aveva indotto a commettere un atto ancora più terrificante: un patto con il diavolo per perseguitare Bremher e tutti quelli che come lui si erano macchiati di crimini di guerra, fino alla terza generazione. Morì misteriosamente qualche anno dopo. Lo trovarono impiccato ad un traliccio. Suicidio? Omicidio? Nessuno riuscì a spiegarsi in che modo potesse essere arrivato o portato fin lassù. –
Brigitte, dopo aver ascoltato con grande attenzione tutto il racconto del frate, disse:
-Vi prego di venire in casa mia a vedere una cosa, padre…-
La sera stessa fra Bernardo fu ricevuto con estrema cortesia dalla famiglia SkrÜder. Appena mise piede in quella casa provò una sgradevole sensazione, che si acuì maggiormente allorché gli mostrarono le pareti affrescate con quell’insolito e sbalorditivo dipinto.
- Sembra proprio che sia opera di Jonathan Rashno… – disse il frate – Ma come può essere possibile? Questa villa é stata costruita non molti anni fa, certamente ben dopo la sua morte…-
Il frate rimase a cena da loro con gran pace per Brigitte che trovò conforto alle sue paure nella figura di quell’uomo ed in ciò che egli rappresentava. Fra Bernardo, alias Goran Lench, era nel monastero di Montevergine da una ventina d’anni. Era l’addetto alle spese esterne, e per questo motivo guidava un vecchio tre ruote e scendeva spesso ad Avellino passando per Ospitaletto e Mercogliano. Quella villa l’aveva vista sorgere pian piano:
- Era tutta gente venuta da fuori che lavorava nelle ore notturne, fino alle prime luci dell’alba. Edificavano con instancabile solerzia e perizia seguendo alcuni particolari dati astrologici secondo i quali in quell’epoca l’asse del pianeta Saturno era esattamente parallelo all’asse della Terra, come non accadeva da seicentosessantasei anni. Secondo certe leggende ebraiche si attribuisce a questa combinazione astrologica l’apertura di un passaggio nel mondo dei morti. Ne fanno citazione anche i libri dell’Apocalisse. Io sono uno studioso oltre che un religioso e, fede a parte, sono abituato a basare le mie supposizioni e le mie certezze unicamente sui risultati della sperimentazione scientifica, ma l’esperienza mi ha insegnato che ci sono cose che sfuggono alla nostra comprensione, al nostro intelletto…Dio stesso, per esempio. -
- Lei è un frate ben strano! – disse Brigitte stringendogli la mano. Proprio in quell’istante, la donna sobbalzò: - Oh Cristo! – esclamò.
- Cosa c’è, Brigitte, ti senti male? – intervenne Heinz.
- Qualcosa non va, signora? – chiese fra Bernardo.
- Ho veduto…ho veduto…un altro…incidente…Un incidente nel quale è implicato lei, padre…-
- La perdoni, fra Bernardo, ma Brigitte in certi momenti è ben strana. – disse Heinz, e poi aggiunse: – Ma ti pare il caso di….-
- La lasci dire, la prego…- interruppe fra Bernardo.
- Ho…veduto quell’uomo, così come lo ha descritto lei: altissimo, tutto vestito di nero, con occhiali scuri…forse era Jonathan. Quell’uomo era alla guida del suo triciclo e cercava di ucciderla.-
- Ma di quale uomo…?- cercò ancora di interrompere Heinz.
- La prego, signor SkrÜder …mi lasci parlare. – fece fra Bernardo – Lei è un fenomeno paranormale, signora? E’ una chiaroveggente? Ha capacità di percepire eventi futuri?-
- Si…credo di si -
- E’ un dono divino, signora, forse quello che può salvare lei e la sua famiglia!-
- Ma lei…-
- Io sono una creatura del Signore. Quando, come e perché egli deciderà di chiamarmi a sé non mi è dato di sapere. Ma mi è dato di sapere una cosa: che chiunque mi strapperà a questa vita non potrà strapparmi anche a quella celeste di Dio!-
Quella sera a letto, Heinz disse a sua moglie: - Hai descritto quell’uomo come un essere altissimo, vestito di nero, con occhiali scuri…Sembrava proprio che…si, che tu parlassi dell’intermediario che ci ha venduto la casa! –
Durante la notte fu svegliato da una voce flebile e sottile che proveniva dal piano inferiore e sussurrava il suo nome:
- Heinz! …Heinz! -
Uscì sul corridoio e si affacciò alla ringhiera, senza, però, vedere nessuno. Così scese in salone e cominciò a girare intorno. La casa era tutta immersa nell’ombra. Sul muro, i volti dipinti di quella gente, scavati nella carne fino all’inverosimile, pur nelle loro espressioni di terrore, sembravano chiedersi dove fosse finito il resto dell’umanità? Perché li avevano abbandonati alla morte e, peggio ancora, ad indicibili torture? Perché la loro vita, improvvisamente, non era valsa più di un granello di sabbia? Perché i loro aguzzini avevano avuto libertà di agire, di disporre dei loro corpi, della loro mente? Chi era il vero colpevole di tale sanguinoso e gigantesco scandalo? Chi lo aveva permesso o chi lo aveva perpetrato?
- Heinz!..Heinz!.. –
La voce proveniva dalla biblioteca. Quando l’uomo vi entrò, non udì più nulla. Tutto era silente, tutto immobile, tutto al suo posto: le suppellettili, gli scaffali, i libri, il “note book”. Improvvisamente quest’ultimo si accese da solo visualizzando un documento con una scritta in rosso: “ Sesto ripiano, numero sei, foglio sei…”. Dopo essere rimasto sorpreso per qualche secondo, Heinz alzò lo sguardo verso gli scaffali che giungevano fin quasi sotto il soffitto e, con l’aiuto di uno scaletto, raggiunse il sesto ripiano, dove, al sesto posto, partendo da sinistra, trovò un vecchio quadernetto nero. Lo tirò fuori ed andò a sedersi alla scrivania. Intanto il computer si era spento da solo. Si trattava di un fascicoletto in cui Bremher aveva scritto di proprio pugno:
“Efraim Zuroff, responsabile della sede israeliana del Centro Simon Wiesenthal, ha dichiarato di aver presentato nel 1990 al Ministero della Giustizia belga un elenco di 14 individui sospettati di essere criminali di guerra nazisti, emigrati in Belgio dopo la Seconda Guerra Mondiale e provenienti per lo più da paesi baltici. L’elenco di sospetti criminali di guerra nazisti fornita da Zuroff alle autorità belghe include Petras Kazlauskas, Jonas Vosylius e Antanas Laurinavicius: secondo il Centro Wiesenthal essi fecero parte del Dodicesimo Battaglione della Polizia Ausiliaria Lituana che assassinò migliaia di Ebrei in Bielorussia. Fuggirono in Belgio nel 1947. “
Sul sesto foglio, verso la metà, lesse:
“L’elenco comprende inoltre Jurgis Deksnis, che prese parte attivamente nell’uccisione degli Ebrei di Vilkaviskis [Lituania]; Jonas Kuzmickas, che prese parte attivamente nell’uccisione degli Ebrei di Alytus [Lituania]; Vaclovas Meskauskas, che partecipò all’uccisione degli Ebrei di Kelme [Lituania]; Bronius Sprindys, che prese parte all’uccisione degli Ebrei di Ukmerge [Lituania] e Frank SkrÜder, che partecipò alla persecuzione e uccisione di civili nel distretto di Kaunas [Lituania] dove ero di servizio anch’io, poi nominato da Zuroff.”
- Frank SkrÜder?..Mio nonno! – disse fra sé Heinz, alzando lo sguardo dal quadernetto, - Cosa ci fa il nome di mio nonno in questa lista di assassini nazisti? -
L’alba giunse come una liberazione. La confortante luce del sole inondò l’intera villa ed andò a solleticare gli occhi di Brigitte che si svegliò e non trovò a letto suo marito. Allora si mise addosso una vestaglia, discese in salone e lo intravide attraverso la porta aperta della biblioteca, seduto alla scrivania.
- Heinz, cosa c’è? -
- Sai chi era mio nonno, Brigitte? – disse l’uomo mostrando il quadernetto - Era una gran canaglia nazista! Qui c’è scritto tutto: nomi, fatti e misfatti. E’ stato tutto annotato da un tale Helmut Bremher! –
Brigitte sfogliò concitatamente il quaderno, si fermò su una pagina e lesse:
“ Io e Frank fummo inviati a Kaunas in Lituania per garantire, quali ufficiali, il servizio d’ordine dello smistamento dei prigionieri nei campi di lavoro. Era un lavoro duro per via del fatto che gli ebrei in quel campo vi giungevano a migliaia ogni giorno. Bisognava selezionare subito il materiale al suo stesso arrivo: gli idonei ai lavori venivano spediti sotto le docce, gli altri, ed erano in maggioranza, erano avviati, a loro insaputa, direttamente alle camere a gas. Io e Frank avevamo un debole per le donne bionde. Dopo averle fatte lavare e depilare dappertutto, le facevamo portare nei nostri alloggi dove le sgualdrine ebree ci si concedevano senza troppi preamboli pur di guadagnare una pagnotta e il collocamento in un campo di lavoro. Le più riottose sapevamo bene come conciarle. Erano quelle sulle quali era maggiormente piacevole scaricare, con i nostri istinti sessuali, la rabbia per essere stati mandati in quel posto e l’odio ancestrale per la loro razza d’usurai e mercanti. Dopo aver approfittato di quelle donne con la forza, assistevamo allo stupro che taluni affamati miliziani austriaci e cecoslovacchi effettuavano su di loro, scommettendo sulla resistenza dell’una o dell’altra. Non c’era altro passatempo in quel luogo, dove non c’era cinema, niente giornali, niente radio, niente libri, nulla di nulla se non i corpi di quelle puttane immonde. Frank spesso perdeva, e una volta, avendo perduto una considerevole somma per una di quelle donne che svenne sotto le sevizie, si indiavolò talmente che la uccise a calci e a pugni.”
Brigitte rinchiuse inorridita il manoscritto e lo strinse tra le mani come se avesse voluto soffocare le nefandezze che vi aveva letto dentro.
- Nessun tribunale ha mai saputo nulla di mio nonno…- disse Heinz.
- Eppure qualcuno sapeva, e lo ha punito…- rispose Brigitte.
- Qualcuno? Mio nonno è finito suicida…-
- …E tuo padre è morto schiacciato da un cornicione staccatosi da un palazzo proprio nel mentre egli passava! E tua madre in un incidente davanti ai miei occhi…-
- Ma cosa vuoi dire con questo? -
- Dico che adesso toccherà a noi! E’ la loro vendetta! – cominciò a gridare – La vendetta di Jonathan Rashno! –
Durante la sera successiva fra Bernardo si era recato nella biblioteca conventuale ed aveva consultato alcuni testi di astrologia: - Non c’è dubbio! – disse, sollevando la testa dalla lettura di uno di quei libri : - Le indicazioni sono esatte, Rashno, con l’aiuto delle potenze oscure, ha aperto una porta in quella casa, una porta per l’inferno! Ma quale? E quando intende servirsene? E perché? Ma…Signore Onnipotente! Il motivo è ben palese: uno dei due coniugi deve certamente discendere da un aguzzino tedesco! Tutta quella gente è in pericolo! Non c’è un minuto da perdere! Devo avvertirli! -
Uscì di corsa dal monastero e montò sul suo vecchio “tre ruote”. Una fitta coltre di nebbia incombeva su Montevergine. L’oscurità sembrava vomitare la strada che gli veniva incontro, appena rischiarata dal faro del vecchio trabiccolo il cui motore arrancava faticosamente sebbene la via fosse in discesa. I rami degli alberi, come fiume, gli scorrevano ai lati: uscivano e rientravano velocemente nella bruma. Ad un tratto, dietro una curva, proprio in mezzo alla strada, apparve la grottesca figura di Jonathan Rashno che, con le mani protese in avanti, rideva sconciamente. Fra Bernardo non fece in tempo a frenare, e (grande prodigio!) passò attraverso la nera sagoma che gli era comparsa davanti. Quando finalmente riuscì a fermare il “tre ruote” e vi discese, non vide più nessuno. Fece allora alcuni passi a ritroso, ma non c’era traccia di alcunché. D’un tratto sentì avviarsi il motore del furgoncino, si girò e vide che alla guida di esso c’era proprio quell’incredibile figura.
- Rashno! – gridò - Non mi riconosci? – Ma quell’uomo o demone che fosse continuava a sghignazzare e ad avanzare col mezzo verso di lui.
- Signore, questo è il giorno! Questa è l’ora! Tua è la mia via! Tua, la mia vita! – urlò fra Bernardo un istante prima di essere travolto ed ucciso. Il suo grido si levò su per la montagna, echeggiò tra alti ed oscuri pini e cipressi, poi si spense nell’ombra.
Quella sera stessa Brigitte stava preparando la cena, i bambini erano di sopra, nella loro stanza, Heinz non era ancora tornato dal lavoro. La donna aveva deciso, tra l’altro, di approntare una bella crostata di mele e l’aveva appena infornata, quando d’improvviso mancò la luce. Lo sgomento di Brigitte che già aveva i nervi a fior di pelle fu subitaneo. Si recò a tentoni presso il contatore elettrico e ne mosse la leva più volte: niente. Stranamente non sentì i bambini chiamare, come se non si fossero accorti di nulla. D’improvviso una delle figure dipinte sui muri si animò, mosse prima gli occhi, poi la testa, poi le braccia, poi si stagliò dalla parete lasciando al suo posto un varco aperto attraverso il quale proveniva un’intensa luce. Brigitte, sebbene paralizzata dalla paura, si avvicinò al muro per cercare di vedere da dove provenisse tanta luminosità. La figura, sottile e grottesca la invitava con lenti gesti ad attraversare la parete. Automaticamente Brigitte s’infilò nel passaggio e, incredibile a dirsi, si ritrovò in quell’ambiente che le era apparso in visione quando aveva toccato il baule che era in soffitta: il corridoio lungo e largo con le pareti interamente tappezzate di fotografie, quadri e disegni di uomini, donne, bambini, vecchi, famiglie intere, coppie di coniugi. In fondo al corridoio troneggiava sempre una grande porta ad arco, oltre essa: il buio assoluto. La luce intensa proveniva dai quadri appesi ai muri. Per darvi l’esatta descrizione del luogo dove si trovava Brigitte, pensate ai grandi stanzoni della basilica di Montevergine o di quella di Pompei o di quella della Madonna dell’Arco a Sant’Anastasia, dove sono in mostra gli ex voto. Sotto ogni volto o ogni gruppo c’era una striscetta di metallo con incisi i nomi delle persone raffigurate: Abel, Rosenthal… Sarah Whiroff.. Isac Abramovic…Jeromh Kyarel…
Se Brigitte avesse potuto guardare con più calma avrebbe visto che per lo più si trattava di foto, e là per là non notò che nessuno dei soggetti in esse ritratti portava anelli o qualsiasi altro monile d’oro, anzi, sugli anulari era solo evidente il segno di vere preziose.
Da uno di quei quadri proveniva una luce più intensa. La donna vi si avvicinò e vide che si trattava di una foto di famiglia: su di esso vi erano ritratti quell’uomo altissimo, vestito di nero, che più volte aveva visto nei suoi incubi, con una donna e quattro bambini. Una lunga striscetta di metallo riportava i nomi di tutti: Jonathan, Marta, Maria, Sharon, Simon e Mateus Rashno! La bizzarra figura di Jonathan improvvisamente si animò in quel suo orrendo sghignazzare. Fu allora che anche l’ambiente in fondo, oltre la grande porta, s’illuminò scoprendo il baule che la donna aveva visto in soffitta. Quando Brigitte vi si avvicinò, tutta la stanza si animò e cominciò a gorgogliare come un enorme stomaco. Allora la grande porta si tramutò improvvisamente in un’enorme bocca che, chiudendosi, l’avrebbe divorata, se ella con un improvviso slancio non si fosse portata di nuovo fuori. Di colpo tornò la luce e si ritrovò in cucina con la teglia della torta di mele in mano. Proprio in quell’istante Heinz rincasò: - Brigitte, che succede? Ti senti male? –
- Questa casa…Questa casa…- urlò la donna – Vuole divorarci ad uno ad uno! Dobbiamo andare via subito! Via! Via! -
Udirono la voce dei bambini provenire dalla loro stanza: - Mamma…mamma…c’è qualcuno nella nostra camera! –
Heinz e la moglie si precipitarono su per le scale. La porta della stanza dei bambini era chiusa. L’uomo cercò invano di aprirla mentre i bambini piangevano ed invocavano aiuto. Allora cercò di buttarla giù a spallate senza riuscirvi. La stessa si aprì subito, quando fu invece Brigitte a provarci stringendo tra le mani la maniglia. Appena entrati i due rimasero impietriti nel vedere i bambini contorcersi a terra ed alla parete di fronte, (la stessa dove era stato crocifisso Bremher) il nonno , il padre e la madre di Heinz che, mani e piedi inchiodati al muro, conversavano amabilmente tra di loro, come se stessero seduti in salotto.
- Oh, Heinz, tesoro…- disse la madre scorgendolo – Hai finito di giocare?
- Cosa fai lì impalato sulla porta, ragazzo? – disse il padre – Vieni qua da noi -
- Tra poco si mangia, sai? – intervenne il nonno – Abbiamo carne a pranzo…tanta carne…- poi, dando un’occhiata a Brigitte – Oh, Heinz, com’è bionda tua moglie! Scommetto su di lei! -
- Dio! Dio! – gridò Heinz.
- Che orrore! – urlò Brigitte prendendosi la testa tra le mani. – E’ qui che è stato ucciso, lui! E’ qui! – disse ancora la donna. Improvvisamente la porta alle loro spalle si rinchiuse violentemente da sola, un forte vento fece gonfiare le tende, fogli e suppellettili varie cominciarono a volar via dappertutto. Un’ombra indistinta entrò, allora, dal balcone, e man mano cominciò a materializzarsi prendendo la forma orrendamente sinistra di Jonathan Rashno. Le gambe gli si allungarono fino a fargli toccare il soffitto con la testa; le braccia si estesero fino a circondare tutta la stanza.
- Salve!!! – disse con un tono di voce cavernoso e canzonante – Ma che dolce e patetico quadretto familiare! -. Dall’immenso corpo ombroso venne, allora, fuori un’altra testa, era quella dell’ingegnere che aveva costruito la casa: Habraham Haroon. Dal ventre, invece, ne spuntarono via via come funghi altre decine, tutte urlanti, tutte dannatamente sformate da espressioni di terrore immondo: fra queste, gli SkrÜder, avrebbero certamente ravvisato quelle di Jurgis Deksnis, Vaclovas Meskauskas, Helmut Bremher ed altri, se solo li avessero mai conosciuti. Ad un tratto, tutte le teste, comprese quelle di Haroon e Rashno, furono orrendamente divorate dalle grandi fauci di una bocca enorme, che si aprì in un’altra immagine che man mano aveva sovrastato tutte le altre figure: quella di Satana in persona.
- E’ questo il varco per l’inferno! – tuonò una voce altisonante. Era come se fosse la casa stessa a parlare: - Questa è la soglia sulla quale il male, col suo alimento di odio e terrore, agguanterà tutti voi, misere creature di un dio debole, prede del demonio col quale barattate tutti i giorni la vostra anima in cambio solo di vaghe promesse, così come avvenne per Jonathan Rashno che chiese terrore per terrore, dolore per dolore, morte per morte e per primo meritò terrore, dolore e morte! Ora anche voi, prole di porci, transiterete nell’infinito patire per saziare la sua e la mia fame di male!
Subitaneamente l’immagine di Satana si dissolse dando luogo ad una nebbiolina azzurra che pian piano calava sulla testa di tutta la nostra famigliola.
- Cos’è quella roba? – disse Brigitte, stringendo a sé i suoi due figli.
- Gas!!!- intuì Heinz – La stanza si è trasformata in una camera a gas! -
- Moriremo tutti! -
Allora Heinz provò inutilmente a riaprire la porta che pareva inchiodata: - Non si apre! -. gridò, e provò di nuovo con quanta disperazione aveva in corpo, ma invano. Improvvisamente, nella nebbia azzurra, ormai calata quasi sulle loro teste, comparve l’evanescente figura di fra Bernardo: - La via di salvezza è nel baule! Tu sola, Brigitte, hai il potere di chiudere questo varco maledetto! Tu hai già veduto quelle anime in pena che non riescono a riposare in pace perché quando erano in vita hanno lasciato qualcosa in sospeso. – disse, e l’immagine si disfece così come era comparsa. Fu allora che nella mente di Brigitte balenò quel particolare che non aveva notato quando aveva avuto la visione del corridoio pieno di foto e quadri: nessuno dei soggetti ritratti portava anelli o qualsiasi altro monile d’oro, anzi, sugli anulari era evidente il segno che su quelle dita mancavano dei preziosi. Capì, allora, che sarebbe riuscita ad aprire la porta; così in un baleno si avventò sulla maniglia ed, infatti, riuscì a spalancare l’uscita. Di fretta e furia i quattro uscirono fuori nel corridoio: - Heinz…- urlò la donna – Và in giardino a prendere il piccone! E voi, bambini, state fuori! – Intanto tutta la casa ondeggiava come in preda ad un terribile terremoto. Dalla camera centrale la nebbia azzurra cominciò ad invadere il resto dell’abitazione, fuoriuscì sul corridoio, scivolò per le scale, si diffuse nel salone, in biblioteca ed in cucina. Heinz in un baleno corse in giardino, prese il piccone e tornò su. Poi, insieme con la moglie, salirono in soffitta, entrarono nello stanzino e si trovarono al cospetto del grande baule.
- Aprilo, Heinz! – gridò Brigitte – Aprilo col piccone! -.
L’uomo sferrò una tremenda picconata sul coperchio, fracassandolo al primo colpo. Dal baule fuoriuscirono, come una tremenda eruzione, monili d’oro di ogni specie con una violenza tale da sbattere in terra i due coniugi. Una tempesta aurea intensa e rumorosa si scatenò in soffitta, placandosi solo qualche tempo dopo, insieme al sobbalzare di tutta la casa e senza lasciare alcuna traccia di quanto era avvenuto. Heinz e Brigitte si alzarono, diedero un’occhiata al baule vuoto, ora assolutamente normale, poi ridiscesero, uscirono in giardino ed abbracciarono i loro figli. La porta era stata rinchiusa!
Pochi giorni dopo, la famiglia SkrÜder lasciò la casa. Immaginate ora di entrare di notte in quella villa, quando tutto intorno tace, immaginate di entrare nel salone, di posizionarvi davanti al muro dipinto, immaginate che questo, come già avvenuto in una visione di Brigitte, si apra, ed immaginate di attraversare il passaggio e trovarvi in quel lungo corridoio dove ci sono quadri e foto appese alle pareti. Fermatevi e guardate bene le foto: ora ogni soggetto ritratto ha di nuovo il suo anello d’oro, mentre dalla fotografia che riproduce la famiglia Rashno, è scomparsa l’immagine di Jonathan…
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- Blog di Antonio Cristoforo Rendola
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