Saint-Fond, Thanatos e lo Zen | Prosa e racconti | Antonio Cristoforo Rendola | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Saint-Fond, Thanatos e lo Zen

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Brano tratto dal mio romanzo "La casa dello specchio"
 
 
Andando avanti nelle mie ricerche scoprii un fatto del tutto particolare a proposito di Saint-Fond, il dissoluto ministro di giustizia francese, e cioè che De Sade aveva idealizzato le sue perversioni ergendolo a protagonista di una favola erotica “Justine”, in cui, sotto forma di orco, era preda di un maleficio scatenatogli contro dalla fata Natura e mediante il quale egli era schiavo del suo membro (un pugnale “saldato in modo tanto stretto al suo ventre da non potersi più staccare”). Sarà poi la fata Jiuliette a liberarlo dall’incantesimo facendosi “scivolare” l’arma tra le labbra e staccandola dal ventre con un morso.
Pare che Saint-Fond non gustasse banchetti se non vi si commettessero almeno tre omicidi: cruento piacere rivoluzionario che portava ad adorare allo stato puro Thanatos, capo di piccoli e terribili demoni mai attratti da alcuna cosa lieta, ma immersi unicamente nel male che veniva identificato nei loro volti metà umani e metà animaleschi. Nella mitologia greca Thanatos era il dio della morte, della guerra, del suicidio, della filosofia, della cultura e della letteratura. Egli era quasi sempre citato accanto ad Eros: entrambi erano poli di un meccanismo che regolava l’intera esistenza. Eros creava la vita e Thanatos la distruggeva, l’uno avvicinava ed univa e l’altro allontanava e separava per sempre.
Paragonai subito quei piccoli demoni alle mascherine del mio attaccapanni, e non ebbi più dubbi che esso fosse appartenuto a Saint-Fond, ma chi lo aveva costruito? Quanto tempo prima? Come e perché?
Questi pensieri si affollavano nella mia mente una mattina in Biblioteca. La giornata era splendida e dal mio cantuccio guardavo fuori il chiarore del sole baciare l’azzurro del mare nel porto brulicante di gente. Alla banchina era accostata una grossa nave, mentre al largo, spinte dai capricci di un dolce venticello, navigavano, silenziose, decine di barche a vela. Il silenzio governava anche all’interno della Biblioteca dove poche persone leggevano ingobbite sui libri. Un uomo anziano che inforcava un paio di occhiali da miope se ne stava con la testa letteralmente immersa in un testo dal titolo lungo e strano “Astrnomical…” e qualcos’altro. Poco distante c’era un altr’uomo: costui era di corporatura robusta, testa con radi capelli buttati in avanti alla rinfusa per coprire un’incipiente calvizie. Aveva il volto marchiato sulla guancia sinistra da una “voglia” violacea ed era intento a leggere un libro dal titolo in latino: “Speculi arcanum”, (“Il mistero dello specchio”) molto indicativo per me che ero andato in quel luogo proprio per cercare notizie circa il mio mobile con specchio. Costui, pur immerso nella lettura, sembrava altresì interessato a me e mi scrutava di tanto in tanto con la coda dell’occhio. Dall’altra parte vi era seduta ad una scrivania accanto alla mia, una ragazza giovane e bella. Aveva i capelli lunghi tirati all’indietro a coda di cavallo e, tormentando una matita con la bocca di un color rosa vivo naturale, era tutta intenta a leggere un libro dal titolo breve e conciso: “Zen”.
Ad un certo punto il mio sguardo fu attirato da un altro libro depositato su uno scaffale proprio di fronte a me: “Il simposio”. Così, in quell’atmosfera solenne, infusa di sacro silenzio, spinto da curiosità, mi alzai, lo tirai fuori dallo scaffale e cominciai a sfogliarlo.
“Il simposio” era un’opera di Platone in cui l’autore discuteva sulla tendenza dell’organismo a ripristinare il suo stato precedente: “Ab nihilo venimus et in nihilo redimus” Fu tra queste pagine che ritrovai il nome di Thanatos.
La ragazza con i capelli a coda di cavallo aveva seguito con una certa attenzione i miei movimenti:
- Legge “Il simposio”? – mi chiese.
Ed io: - Leggo di Thanatos…-
Un improvviso colpo di vento fece aprire di botto la vetrata di una finestra, le pagine dei libri adagiati aperti sulle varie scrivanie cominciarono vorticosamente a girare, i fogli preposti per scrivere appunti volarono via. L’uomo con la “voglia” non si mosse, mentre il vecchio miope si chinò per raccattare i suoi fogli e mi guardò con occhio torvo come se il fatto fosse avvenuto per colpa mia.
Tornai con il libro al mio posto. La ragazza, dopo qualche secondo, si alzò, mi si avvicinò e mi chiese:
- Posso sedermi qui con lei?-
- Prego…-
- Thanatos – spiegò – era inizialmente un giovane bellissimo, forse il più bello dell’Olimpo, ma disubbidì a Giove che lo tramutò in un vecchio libidinoso e con le ali di pipistrello.-
 - Le mitologie si somigliano tutte. - feci io - Sembra di risentire la storia di Lucifero…-
 - Thanatos divenne uno dei tanti mostri della mitologia greca, metà uomo e metà bestia. – Continuò la ragazza: - E’ un mito negativo. In Platone è in continua lotta con Eros, due esseri celesti che rappresentano le pulsioni e reggono le fila dei destini dell’uomo.-
 Lei è molto erudita…- Le dissi.
- Studio filosofia!-
- Una donna che pensa? E’ raro!-
- Come tutti gli uomini, lei è un essere di debole intelligenza dominato da istinti e destinato alla perenne insoddisfazione! – fece la ragazza indispettita. Poi andò a sedersi di nuovo alla sua scrivania.
- Cos’è lo “Zen”?- Le chiesi a voce alta a proposito del libro che stava leggendo.
Il mio tono di voce disturbò il vecchio miope che immediatamente portò l’indice al naso per indicarmi di fare silenzio.
- Lo “Zen” – rispose la ragazza con aria di tolleranza – consiste essenzialmente di “Zazen”.
” Zen” è realizzare un qualcosa e metterlo in opera nella propria personale esistenza. E’ una vera rivoluzione interiore, capisce? E’ ritrovare le proprie radici e penetrare la realtà della propria vita. Attraverso questa pratica i valori che danno un senso alla vita umana si basano sull’esperienza del corpo e della mente.-
Ci avevo capito poco, tuttavia chiesi qualche ulteriore notizia: - E cos’è lo” Ze…” “Zazen”?
Il mio tono di voce disturbò ancora una volta il miope che pensò bene di alzarsi ed allontanarsi mormorando: - Zezan…Zaze…Zazà…Ma quando se ne stanno zitti?!-
- “Zazen” è la pratica dello “Zen” – fece la ragazza venendosi di nuovo a sedere alla mia scrivania.
 - Seduti nella corretta posizione, con una respirazione leggera e lo spirito libero ci si concentra su un soggetto che può essere un addobbo floreale o un quadro o qualunque altra cosa.” Zazen” non è altro che il ritorno alla condizione normale del corpo e della mente.-
Quando poi mi parlò della respirazione, non so perché, provai un certo senso di grande fastidio, tuttavia, non senza un pizzico di ironia da parte mia, discutemmo a lungo sullo “Zazen” e perfino sullo “Shiatsu”[1]. Mi accorsi così che Anna (il nome della ragazza) era affascinata da tutto quanto sapeva d’Oriente: dalle arti marziali a quelle pittoriche, dalla musica alla danza, alla delicatezza delle donne ed alla gentilezza degli uomini, per questo scherzai tirandomi gli occhi a mandorla con entrambi gli indici delle mani e cominciai a darle del tu.
 

[1] Pratica riequilibratrice di massaggio giapponese
 

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