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Ripetersi

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La zona dei Campi Flegrei, come indica l’etimologia del nome (Phlegraios = ardente), è d’origine vulcanica. Tutto il suo suolo, disseminato di piccoli laghi (Lucrino, Averno, Fusaro, Patria), è costituito da crateri di diversi vulcani spenti o semispenti. Esso comprende tutto il territorio collinoso ad ovest di Napoli, una regione affascinante per il paesaggio dolce e vario con facili e naturali approdi. Di questa zona fa parte Fuorigrotta, teatro della nostra storia, situata all’uscita del tunnel della “Laziale”.
 
Fino a cinquant’anni fa si trattava solo di uno sparuto gruppetto di case che sorgevano in una terra fertilissima e soleggiata, sottoposta ad un clima mite, ma oggi l’indiscriminato sfruttamento edilizio l’ha resa un agglomerato di edifici, l’uno addosso all’altro, dove è diventato perfino difficile ritagliarsi il proprio specchio di luce, il proprio piccolo e necessario spazio vitale. La storia che ci accingiamo a raccontarvi è accaduta tra il 1958 e il 1960, allorché Fuorigrotta, se ormai non era più un paradiso terrestre, neanche era ancora diventata una giungla d’asfalto come lo è oggi. Nel 1958 l’agglomerato urbano era quasi tutto a ridosso della colina di tufo che separa la zona dal resto della città. Il caseggiato era interamente attraversato da un bel viale alberato dedicato all’imperatore Cesare Augusto.
 
Quasi ogni strada prendeva il nome di qualche famoso antico romano, cosicché  la seconda traversa sulla sinistra del viale era dedicata a Marcantonio. Qui, ogni pomeriggio, si riuniva una torma di ragazzini che s’impegnavano per strada nei più svariati giochi, prediligendo di gran lunga quello del calcio. Si trattava per lo più di ragazzini poveri che non avevano neanche i soldi per comprare un pallone. In mezzo a loro ce n’era, però, uno, piccoletto, ben vestito, di famiglia agiata: si chiamava Silvestro ed aveva sempre molto denaro in tasca, non solo per comprare il pallone, ma anche per offrire il gelato o la “sfogliatella” a fine partita a tutti quelli della squadra vincente. Costui si presentava bel bello, tutto sorridente e sicuro di sé, con un “Supersantos”[1] tosto e lucido sottobraccio.
 
Allora, le squadre le faccio io.-  – diceva -Il pallone è mio e comando io! – Così si sceglieva sempre i più forti per poter vincere le partite, e quando, raramente, le perdeva, obiettava ai vincitori: - Vi abbiamo fatto vincere noi…- E, tutto rosso in viso, se ne andava, col pallone sottobraccio, a mangiarsi una “ Santarosa”[2], seguito come un’ombra dai quattro della sua squadretta che, per quella naturale venerazione che hanno certi individui per chi è economicamente facoltoso, non osavano mai contraddirlo.
Silvestro era l’ultimo rampollo di una famiglia-bene napoletana, proprietaria di un intero stabile in Via Marcantonio. Suo padre, industriale, costruiva oggetti bellici per l’esercito. In realtà egli era il classico figlio del popolo che, grazie alle enormi ricchezze accumulate, era anche riuscito a comprarsi un titolo nobiliare. Così il signor Armando Calise, partenopeo d’origini ischitane, era divenuto Duca di Serra Fontana. Sua moglie, invece, era ischitana verace: Restituta Mennella di Forìo. Si erano conosciuti durante un’estate, quando Armando era rientrato nell’isola per vendere un pezzetto di terra lasciatogli in eredità da uno zio sul litorale tra Casamicciola e Lacco Ameno.
Armando e Restituta avevano quell’unico figlio al quale avevano concesso  più di quanto era giusto, oltre il suo stesso bisogno, le sue esigenze. Affaticati dai ritmi di vita che conducevano, troppo poco presenti, troppo poco attenti, Armando e Restituta instaurarono con  Silvestro, un rapporto sulla base di regali riparatori, crescendo un bambino viziato, indisciplinato e capriccioso che non seguiva alcuna regola, non collaborava, protestava su tutto ed aveva la pretesa di volere tutto e subito.  Per questo, il piccolo, dopo i primissimi anni di vita, aveva sempre avuto un comportamento particolarmente aggressivo nel tentativo di affermare il proprio io, la propria personalità e, soprattutto, nel conciliare le proprie esigenze con l’ambiente circostante. Tutto ciò aveva alimentato in lui molte fobie:  era contro gli animali, contro l’ambiente naturale, aveva paura delle malattie, ma soprattutto provava un’avversione irrazionale per la scuola,  un odio atavico per chiunque volesse costringerlo a fare qualcosa come leggere, scrivere, studiare. In particolar modo, egli detestava la figura del suo maestro Antonio Luglio.
 
Era costui un omino che da poco aveva superato la quarantina. Nonostante fosse stato protagonista di una precedente scabrosa vicenda, tuttavia era molto apprezzato dai suoi colleghi, ed anche tra gli scolari riscuoteva una certa simpatia. Vestiva quasi sempre allo stesso modo: giacca e pantaloni di color grigio scuro ed un cappotto, di una taglia più grande, di colore blu. 
Era da poco entrato nei ruoli di insegnante elementare, dopo un lungo precariato che lo aveva visto peregrinare per diverse regioni d’Italia: prima al nord in Lombardia, poi al centro in Toscana e Umbria, infine era riuscito a tornarsene in Campania a Napoli, dove era nato in zona Chiaia. Purtroppo, proprio da quelle parti, durante il servizio prestato nella scuola elementare “Edmondo De Amicis”, si era trovato, suo malgrado al centro di un terribile scandalo. Un giorno accompagnò in bagno un bambino dispeptico non autosufficiente. Di solito quello era un servizio che toccava ad un bidello in particolare, un certo Cupaiuolo, ma Luglio,  posto in allarme da alcuni equivoci atteggiamenti, nutriva dubbi sulla sua integrità morale. e non si curava neanche tanto di nascondere il suo pensiero e di palesarlo più di una volta con rimproveri al diretto interessato. Decise allora di fare da solo: sbottonò il pantaloncino del bambino che fece sedere sulla tazza del cesso. Non si sa come, però,  il ragazzino cadde a gambe elevate e cominciò ad urlare. Accorse gente, e per primo proprio quel bidello che trovò il bambino mezzo nudo e il maestro che, nell’intento di soccorrerlo, gli toccava le parti intime. Luglio, in grandissimo imbarazzo, cercò di spiegare la sua presenza in quel luogo ed il suo ingannevole atteggiamento, ma fu tutto invano. Sospettato di pedofilia, fu temporaneamente sospeso dal lavoro, ed anche se il Direttore non volle dare troppa pubblicità alla faccenda, la voce, alimentata proprio dal Cupaiuolo (al quale non parve vero di potersi vendicare per le critiche ricevute), si diffuse per quel tanto da indurre la Dirigenza Didattica Circoscrizionale a chiedere il trasferimento del maestro in altra scuola. Approdò così alla “Giacomo Leopardi” di Fuorigrotta.
 
Era il 1958, l’anno in cui fu eletto papa Giovanni XXIII che andrà poi a sconvolgere la Chiesa con le sue aperture a sinistra. Fanfani dominava la scena con il proprio dinamismo, egli era Presidente del Consiglio, Segretario della D.C. e Ministro degli Esteri.
A Sanremo, dopo “Vola Colomba”, arrivò il surreale “Volare” di Domenico Modugno: uno squillo che farà decollare il “miracolo economico” italiano. Fu l’anno, infine, di un ritorno al medioevo con un falso puritanesimo che impose censure a destra e a manca e culminò il 20 settembre con l’entrata in vigore della “legge Merlin” (chiusura delle case di tolleranza che, in effetti, non abolì la prostituzione, ma la liberalizzò). Paradossalmente le “case chiuse” si aprirono e vennero fuori in strada le “ronde del piacere”. Proprio  in strada, allora, spopolava la mitica “600” (nata nel 1955), la prima vettura pensata per soddisfare i desideri di mobilità di tutti, con l’ambizione dichiarata di cambiare i gusti e i costumi della gente. L’Italia intera si mise in viaggio: aumentarono, così, le autostrade, le gallerie, le strade asfaltate. La civiltà delle macchine entrò nelle case insieme alla TV e ai primi elettrodomestici.
 
Luglio viveva da solo in un bilocale in Via Marcantonio. Egli, allora, percepiva uno stipendio di 61.500 lire al mese. Decise di fare l’unica vera follia della sua vita acquistando una “600” a rate. In tal modo una buona parte dello stipendio (poco oltre 14.000 lire), la impiegava per pagare l’automobile. La “600” fu la prima vettura FIAT ad adottare la formula del “Tout à l’arriere”, motore a trazione posteriore. La sua robustezza le consentiva sforzi e impieghi perfino esagerati. Nell’ottica di spazi e costi ridotti, essa era un piccolo miracolo d’ingegneria, come il collettore d’aspirazione direttamente ricavato dalla testata, oppure il radiatore dell’acqua sistemato lateralmente. Oltretutto, la macchina, nella sua forma esteriore, era veramente bella e moderna.
Va da sé che il maestro Luglio le dedicasse molto tempo ed attenzione. Egli vi eseguiva giornalmente operazioni di pulizia e manutenzione con ossessiva meticolosità. Al comparire anche della più piccola macchia, della più insignificante opacità, era sempre pronto a passarvi sopra la pelle di daino per tenere sempre lucida la carrozzeria. Faceva molta attenzione quando parcheggiava: l’auto doveva essere fermata bene in fila ed accostata al marciapiede onde evitare che un’altra macchina, nel passare, potesse danneggiarla o che qualcuno potesse, comunque, graffiarla. Il problema gli appariva irrisolvibile proprio quando doveva lasciarla sotto casa. Data la pochezza del suo stipendio non poteva permettersi di pagare un posto in un’autorimessa, di conseguenza era costretto a lasciarla in strada, sotto il suo palazzo in Via Marcantonio. Cosicché egli era assillato dall’idea che qualcuno potesse rubargliela, e più di una volta lo sognava di notte, e sempre, quando accadeva, infilava una vestaglia sul pigiama e scendeva fin giù al portone per dare un’occhiata all’auto. Dopodiché, rinfrancato, se ne tornava su e cercava invano di riaddormentarsi.  Ma questo non era l’unico suo dilemma per quanto riguardava la “600”: la strada era superaffollata da ragazzini che giocavano a pallone in tutte le ore della giornata, e così egli temeva che con una pallonata potessero rompergli un faro, che con un calcio potessero graffiargli la portiera, che per dispetto potessero bucargli le ruote o, peggio, che con un balzo sul cofano potessero ammaccarglielo. Ragion per cui spesso scendeva di casa per controllare che tutto fosse a posto e quando non lo faceva, la sua angoscia cresceva di ora in ora, e fino a che  non calavano le ombre della sera e tutti i ragazzini tornavano alle loro case.
 
Gli amici di Silvestro erano: Sergio, un ragazzo piccolo ed esile, abilissimo nel gioco del calcio, pecora nera di una buona famiglia; Salvatore, ragazzetto di gran mole, rissoso e prepotente, quasi analfabeta, garzone di fornaio, detto “Negus” per i suoi capelli corvini e la pelle scura; Vitale e Gaetano, due fratelli, figli del fornaio. Vitale, detto “Cocchino” aveva la faccia d’angioletto, ma in realtà era perfido e vendicativo. Il peggiore di tutti era, però, Gaetano, un perfetto idiota di bassi istinti naturali che, armato di lametta, si divertiva a tagliuzzare le lucertole che catturava al solo scopo di poterle poi torturare, ad accecare cani e gatti e spesso, a ferire quei ragazzini della sua età che per un motivo o per un altro entravano in diverbio con lui. Non c’è che dire, con Silvestro formavano una bella banda di piccoli delinquenti che faceva il bello ed il cattivo tempo in Via Marcantonio, molestando  passanti, operando piccole ruberie e dannosi dispetti come rompere fari d’auto, sfregiare carrozzerie, fracassare citofoni ed infrangere vetri.
In quell’epoca Luglio stava seguendo le vicende del delitto di Via Monaci  attraverso la lettura dei quotidiani. Si trattò, allora, di uno dei più complicati misteri d’Italia. In una tranquilla strada di Roma, nei pressi di Piazza Bologna, al n. 21, in un appartamento al primo piano, venne uccisa Maria Martirano, moglie di un industriale da sempre in cattive acque, Giovanni Fenaroli. Gli investigatori scoprirono che il giorno del delitto Fenaroli, in una telefonata, aveva avvisato la moglie che una persona di fiducia (Raul Ghiani, un elettrotecnico conoscente di Fenaroli) si sarebbe recata da lei per ritirare dei documenti molto compromettenti. In realtà l’industriale aveva stipulato una polizza sulla vita della moglie se pur anche fosse morta di morte violenta, ed avendo bisogno di soldi, aveva incaricato Ghiani (con il compenso di un milione di lire) di uccidere la donna.
Una sera il maestro stava leggendo proprio l’ennesimo articolo sugli sviluppi di questa vicenda.
- Ghiani ha iscenato una rapina facendo sparire i gioielli della donna…Ma dove saranno finiti? – si chiese sorseggiando una camomilla calda. – Una storia squallida di denari o ben altro?-.
Stava per andarsene a letto quando una pietra, scagliata dabbasso, mandò in frantumi i vetri della finestra dietro la quale era seduto. Una scheggia gli finì in un occhio facendolo urlare di dolore. Nonostante tutto, si affacciò e fece appena in tempo a vedere dei ragazzini che fuggivano via, e tra questi, sia pure a malapena, riconobbe Silvestro. Corse in bagno e si sciacquò l’occhio colpito sotto l’acqua corrente. Per fortuna la scheggia non aveva provocato alcuna lesione, ma l’intera sclere gli si arrossò, tanto che dovette poi far ricorso all’opera di un oculista.
 
Il giorno dopo l’incidente si presentò regolarmente a scuola con un paio d’occhiali scuri. L’aula della classe quinta, sezione C, era situata a piano terra del grande edificio scolastico intitolato a Giacomo Leopardi. In quel tempo i banchi di scuola erano mobili di legno di colore nero a forma di sedili, uniti a mezzo di una pedana con uno scrittoio inclinato e sollevabile sul quale c’erano già intagliati gli spazi dove deporre l’occorrente per scrivere ed il foro per incastrare la boccettina con l’inchiostro. Sotto lo scrittoio, lo scolaro deponeva la sua cartella con dentro quaderni, portapennini, calamaio, carta assorbente, sussidiario e libro di lettura.
Le pareti dell’aula erano tappezzate con grandi carte geografiche fisiche e politiche dell’Italia e con tavole sulle quali era riprodotto il corpo umano: sistema scheletrico, nervoso, muscolare, cardiovascolare. La lavagna era un’enorme lastra nera di ardesia, incorniciata da un telaio e fissata al muro, dietro la cattedra collegata su una pedana. Senza alcun dire, Luglio si sedette al suo posto e cominciò a fare l’appello: -
- Abbagnano…Andolfi…Calise…Castella…Romeo…Scolletta….Tirone…-
Dopo aver controllato le giustifiche per le assenze, disse:
- Prendete “Voci nuove”[3] a pagina 131. Leggeremo insieme un brano molto significativo sulla vita di Gesù, scritto da Cesare Angelini: “Uno di voi sta per tradirmi!”. Poi ne farete un riassunto qui in classe e me lo consegnerete…Scolletta, comincia a leggere…-.
Scolletta, un ragazzone grande e grosso, con una faccia tonda e beata, si alzò con il libro in mano ed iniziò la lettura:
- “A sera fatta, il Maestro venne con dodici apostoli al cenacolo…”-
Dopo qualche minuto fu la volta di Gonzales, bello, biondo, di ricca famiglia:
- “…Amici, ho tanto desiderato di fare questa Pasqua con voi, prima di cominciare la mia Passione. Perché questa è l’ultima volta che noi mangiamo insieme…”-.
Poi fu il maestro stesso a voler proseguire la lettura: - “…Gli Apostoli, a quelle parole, appena sollevarono la bocca dal piatto per guardarlo. Anche in mezzo ai suoi Gesù si sentì solo. Aggiunse, dopo un sospiro: < Uno di voi sta per tradirmi…>. Calise! – disse sospendendo per un attimo la lettura. Poi si abbassò gli occhiali e mostrò l’occhio bendato ed incerottato -…continua tu…-
Calise si alzò lentamente, fissandolo ed abbozzando un malizioso sorriso, quindi continuò la lettura: - “…Ombre di turbamento corsero sui volti degli Apostoli, che incominciarono a guardarsi l’un l’altro…” -. Il maestro lasciò che continuasse fino alla fine del brano. - …Anche Giuda prese la sua porzione; poi, di nascosto, scivolò nella notte, tinta del tradimento che stava per consumare. –
- Bene. Cosa ne pensi? – chiese Luglio al ragazzo. Questi, prima titubò un poco, poi rispose: - Penso che quello…Giuda, fosse lui la vera vittima…-.
- Lui? –
- Era il predestinato a tradire il Signore…Comunque, non mi piace questo racconto, preferisco “Kinowa”[4]
Luglio amava il cinema. Quell’anno aveva particolarmente apprezzato “Le notti di Cabiria” di Federico Fellini, con Giulietta Masina, Francois Perier  ed Amedeo Nazzari. Ma il suo vero amore era la musica: apprezzava molto lo stile delle nuove leve come Domenico Modugno e Jhonny Dorelli che avevano vinto il festival di Sanremo con la canzone “Nel blu dipinto di blu”. Si era iscritto ad un corso di musica in un’antica scuola in Via Amedeo di Savoia a Capodimonte, e per questo aveva acquistato una chitarra classica. Un giorno scese di casa per recarsi a lezione, portando con sé lo strumento racchiuso in un’elegante custodia di finta pelle. La strada, come al solito, era invasa da ragazzini che giocavano a pallone. Egli l’attraversò per andare a  prendere l’automobile parcheggiata di fronte. Silvestro era fra i ragazzini che giocavano ed intanto si accingeva a battere un calcio di rigore. Luglio aprì la portiera dell’auto, mentre, proprio in quell’istante, partiva il tiraccio del ragazzo. La palla sfrecciò veloce, superò il portiere e la porta (due pietruzze messe parallelamente a distanza di poco più di tre metri l’una dall’altra) ed andò a sbattere, primo sullo spigolo della portiera dell’auto, poi, di rimbalzo, sulla chitarra di Luglio. L’uomo sentì lo scricchiolio del legno della cassa armonica che si era fracassata; lasciò cadere in terra l’involucro con lo strumento dentro e, perdendo completamente la testa, prese ad inseguire il ragazzo, che, intanto, se l’era date a gambe. Se lo avesse acchiappato, preso così com’era dalla rabbia, non si sa come sarebbe andata a finire, ma Silvestro era troppo veloce per lui ed in un batter d’occhio, tra lo sguardo divertito degli altri ragazzini, s’infilò in una traversa laterale e scomparve. Luglio nel correre, cadde addirittura in terra, e quando si rialzò dolorante e tornò indietro, aprì la custodia e vide che lo strumento si era praticamente fracassato spezzandosi in due tronconi. La sera stessa si presentò in casa dei Calise con il preciso intento di chiedere il risarcimento dei danni. Il ragazzo era ancora fuori.
- Dunque, lei mi riferisce – disse il padre – che mio figlio avrebbe fatto a pezzi la sua chitarra con una pallonata? -
- E’ esattamente quello che è successo…-
- Di che tipo di strumento si tratta? Deve trattarsi di legno molto fragile…forse usurato…-.
- Questo non ha importanza…-
- Lei dice? Ma è proprio sicuro che a sferrare la pallonata fosse giusto mio figlio? Sa, tra tanti ragazzini che ci sono in strada…-.
- Suo figlio è un mio alunno…lo conosco bene…
- Non avrà mica prevenzioni contro di lui? Se danno ha fatto, lei sarà risarcito. Ma credo sia il caso di sentire anche Silvestro…lo interrogherò ed, eventualmente, le rimborserò l’intero costo della chitarra.-.
- Ci sarebbe dell’altro…-
- Ancora? –
- Suo figlio, qualche sera fa, ha scagliato una pietra contro i vetri di una mia finestra mandandoli in frantumi, e non solo: come vede il mio occhio è bendato. Alcuni frammenti mi hanno ferito e sono dovuto ricorrere alle cure di un oculista…-.
Calise lo guardò per qualche secondo senza profferir parola, poi sbottò: - Lei deve proprio avercela con mio figlio, sa! Qualche sera fa, ha detto?  Mi scusi, ma come ha fatto lei col buio e, per giunta, con un occhio ferito, a riconoscere mio figlio? Suvvia, non vorrà che, con tanti ragazzini che girano per strada e possono aver commesso questa…questa marachella, io le rimborsi ora anche il vetro rotto ed il conto dell’oculista? –
- Le dico che è stato suo figlio! – disse Luglio alzando anche un po’ la voce.
- E io le dico che lei ce l’ha con mio figlio! Ma si vergogni! Anzi, sa una cosa? Non sono neanche tanto sicuro che a rompere la sua chitarra sia stato proprio il mio Silvestro! –
Non se ne fece più nulla. Luglio non fu mai rimborsato, né per i vetri, né per l’occhio e tanto meno per la chitarra, e per questo, in classe, doveva anche sorbirsi i sorrisini ironici del ragazzo, e fuori, in strada, gli sfottò dei suoi amici. Tra questi, quelli che maggiormente si accanivano contro di lui erano Vitale, Gaetano e Salvatore, il garzone del fornaio, detto “Negus”. Quest’ultimo era ben più che un ragazzino: aveva oltre sedici anni, un fisico possente, era rozzo di modi e sguaiato nel parlare, e, avendo avuto sentore di quell’episodio capitato nella scuola De Amicis,  non  risparmiava volgari ed ingiuriosi epiteti al passaggio del maestro che chiamava prosaicamente “’O ricchione”. La situazione divenne insostenibile quando una mattina, Luglio, scendendo di casa per recarsi a scuola, trovò il cofano anteriore della sua bella “600” grigia  imbrattato da vernice nera. Montò su tutte le furie e, prima di entrare in classe, si recò dal direttore per chiedere l’allontanamento di Silvestro Calise dalle lezioni.
- Ma, come posso intervenire? – disse il dirigente – La sua auto era in strada…può essere stato chiunque.-.
- Sono certo che è stato lui! – rispose il maestro trattenendo la rabbia che gli rodeva dentro.
- Mi dispiace…La sua è una certezza personale, ma non ci sono prove concrete per punire il Calise-.
Quella mattina il pover’uomo entrò in classe cercando di ostentare calma e noncuranza per l’accaduto.
- Oggi interrogheremo. – disse. Aprì il registro e, senza neanche guardarvi dentro, pronunciò un nome: - Calise! -
Il ragazzo si alzò e si avvicinò alla cattedra con quella sua solita aria di baldanza.
- Che cosa hai fatto di bello, ieri sera? – chiese il maestro.
- Ho guardato la TV…-
- Bravo! E cosa hai visto di bello? –.
- Tribuna politica.- Tutta la classe esplose in una risata. Anche Luglio rise, suo malgrado; poi disse: - Divertente! E poi? Cosa hai fatto, poi? –.
- Ho guardato ancora…c’era “Telemach”[5]…-
- Mi fai vedere i compiti che bisognava portare per oggi?  C’era un tema, mi pare, e due problemi di matematica…-.
Il ragazzo gli consegnò due quaderni: uno a righi e l’altro a quadretti. Luglio sfogliò il primo, poi disse: - Qui il tema non c’è. Non l’hai fatto. Ecco, qui c’è solo la traccia: “Tema: Ad ogni primavera le speranze degli uomini rinascono con le nuove gemme.”. Per te non c’è primavera, non spuntano gemme…per te gli uomini non hanno speranze…-.  Rinchiuse il quaderno a righi tra il sommesso divertimento di tutta la classe. Poi aprì il quaderno a quadretti: - Vediamo il problema…Ah, ecco il testo: “Un contadino acquista al mercato 80 Kg di farina al prezzo di lire 15 al Kg. Nel portare il sacco a casa, a causa di un forellino, perde lungo la via 150 g. di farina ogni ora. Sapendo che impiega 3 ore per tornare a casa e che rivende poi la farina a 20 lire il Kg, quanto guadagna?” Non c’è risoluzione, non ci sono operazioni, niente risposta…Nulla!- Rinchiuse anche il quaderno a quadretti, poi sospirò forzatamente e disse: - Bene, bastar...bene, Calise. Credo che difficilmente supererai l’anno! –
 
Fu proprio quella la vendetta del maestro: si accanì talmente contro Silvestro che alla fine, il ragazzino, sia pure meritatamente, non fu neanche ammesso agli esami di licenza elementare. Era il mese di giugno, il Brasile di Pelè, Garincha, Didì e Vavà si accingeva a vincere il campionato del mondo di calcio in Svezia. A Napoli era da poco stato inaugurato lo stadio San Paolo, ospite la Juventus, ma col sole che ormai coceva forte, molti già prendevano la Cumana[6] per recarsi ai lidi del Fusaro[7], di Torregaveta o in quelli più vicini di Coroglio[8]. Nel Viale Augusto c’era un continuo andirivieni di gente in abiti leggeri e colorati. I negozi e le edicole erano affollati.  Nel mese precedente (25-26 Maggio) c’erano state le elezioni politiche con pochi cambiamenti rispetto a quelle precedenti, salvo nelle correnti che ormai erano diventate partiti dentro il partito dando spallate a destra e a sinistra, ma soprattutto al centro, tanto da indurre Fanfani a formare un governo bipartitico(DC e PSDI) denominato per la prima volta di “centrosinistra”.
Silvestro, nella sua piccola mente tenebrosa e distorta di ragazzaccio viziato, covava pensieri di rivalsa. E fu proprio il Negus a suggerirgli il modo migliore per vendicarsi del maestro Luglio. Una sera tutta la banda si era recata al cinema “Alle Ginestre” nella vicina Piazza San Vitale a vedere il film americano “Come svaligiare una banca” di Henry Levin, con Tom Ewell e Mickey Rooney. Come sempre il gruppo al cinema vi andava, non tanto per vedere il film, ma bensì per disturbare gli altri spettatori, tanto che più di una volta erano stati cacciati via dalle “maschere” addette alla sala. Il Negus, quella volta, era seduto accanto ad un omone grande e grosso che, sebbene facesse ormai un bel caldo, indossava ancora un impermeabile tutto consunto e sgualcito. Nell’ombra della sala, l’uomo avvicinò la sua gamba sinistra a quella destra del giovane, dando da credere che il suo fosse un movimento del tutto causale. Quando si accorse che il suo vicino non aveva alcuna reazione negativa, cominciò ad allungare una mano fino in mezzo alle sue gambe, gli tirò giù la cerniera dei pantaloni e cominciò a masturbarlo. Il Negus lo lasciò fare fino in fondo, e solo quando uscirono dal cinema, raccontò il fatto agli altri amici.
- E come tirava oh il ricchione! – Tutti risero, poi, incuranti degli altri passanti, si misero a pisciare insieme sotto un muro. Fu allora che il Negus disse a Silvestro:
- Sa’ che penso, guagliò? Tu ce l’hai da far pagare a quel bastardo! Tengo un’idea…-  Scrollò il membro,  tirò su la cerniera inarcando le gambe e dopo che l’amico fece lo stesso, lo prese  sottobraccio e continuò: - Te vuò vendicà ‘e chill’ommo ‘e niente? Tu mi dicesti che qualche anno fa era stato cacciato dalla scuola dove stava perché era ricchione…Perché non ci mettiamo tutti d’accordo e gli facciamo il servizio? –
L’intesa fu subito diabolica. Silvestro raccontò ai suoi genitori di aver subìto molestie sessuali dal maestro Luglio, mentre gli altri amici: Negus Vitale, Gaetano e Sergio diffusero nel quartiere la voce secondo la quale sarebbero stati ad uno ad uno adescati da quell’uomo e che avrebbero dovuto sottostare alle sue voglie e alle sue manie. E per colpire meglio nel segno scelsero con cura la persone alle quali riferire tali ignobili, sconcertanti, ma false nefandezze: il portiere del palazzo dove abitava Luglio, il padre Carabiniere di un amico di Sergio, il barbiere della zona.
 
Il maestro fu sospeso dall’insegnamento e, processato per direttissima, per ammissione di quei fittizi testimoni, fu condannato per plagio ed abuso sessuale su minori: Dopo una settimana di detenzione nel carcere di Poggioreale, s’impiccò nelle docce usando delle strisce di stoffa attorcigliate tra loro.
Il 9 ottobre del 1958 morì Pio XII. La sua agonia fece scandalo grazie ad un’enorme sciacallaggio dell’informazione. Il medico curante pubblicò, per quattro soldi di compenso, le foto del Papa mentre esalava l’ultimo respiro. Gli imbalsamatori, appena morto, e dopo ancora diversi giorni, intervennero più di una volta sulle sue spoglie esposte in San Pietro, facendo inorridire anche chi era ateo. Diciannove giorni dopo sarebbe stato eletto Angelo Roncalli col nome di Giovanni XXIII. L’incoronazione sarebbe avvenuta con un’incredibile rottura del cerimoniale in virtù di un discorso senza tanti intellettualismi, ma col lessico di un curato di campagna.
Quell’anno fu accordato l’esonero di tutte le tasse, comprese quelle di bollo e di diploma, agli orfani di guerra, ai figli dei caduti per la lotta di liberazione, a quelli dei dispersi o prigionieri di guerra e ai ciechi civili.
Tale beneficio fu sospeso per i ripetenti, ma, non si sa bene come, Silvestro Calise, grazie agli artifici del padre, riuscì ad entrare in una di queste categorie iscrivendosi per la seconda volta alla classe 5^ senza sborsare una lira.
Il primo di ottobre tutti gli alunni furono riuniti nell’androne della scuola per sentirsi assegnata la sezione ed essere poi avviati alle rispettive aule. I bambini erano vestiti con un grembiule nero e con un colletto bianco inamidato caratterizzato da nastri di diverso colore secondo l’anno di frequenza: quelli di 1^ col fiocco rosso, quelli di 2^ col fiocco celeste, i bambini di 3^ portavano il nastro giallo, rosso quelli di 4^ e tricolore quelli dell’ultimo anno.
Quando tutti i banchi della classe 5^ C furono occupati, i ragazzi attesero con relativa tranquillità di sapere chi sarebbe stato il loro maestro. Solo Silvestro, per la verità, sembrava poco interessato all’evento. Egli se ne stava sguaiatamente seduto al suo posto a leggere le avventure di “Arturo e Zoe”[9] sul “Monello”[10]. Quando il nuovo maestro varcò la soglia della porta, tutti, meno il Calise, si alzarono prontamente. L’uomo salì in cattedra e lo adocchiò subito, senza dir parola. Il ragazzo, allora, depose il giornalino nella sua cartella e, sia pure lentamente, si alzò.
- Seduti…- disse il maestro, e tutta la classe, all’unisono, si accomodò.
- Sono il nuovo maestro, mi chiamo Agostini e… trascorreremo insieme questo vostro ultimo anno di scuola elementare. Ormai non siete più dei bambini, ma degli adolescenti. Per quelli che dalla quarta sono passati in quinta sono nuovo in virtù del pensionamento del loro vecchio maestro. Per coloro che, invece, ripetono quest’anno, e so che in questa classe ce n’è uno solo, sono nuovo per le note, drammatiche vicende in cui è stato coinvolto il povero maestro Luglio. Chi è il ripetente? –
Senza dir parola, Silvestro alzò un braccio, sempre lentamente, con aria di sufficienza.
- Bene…- disse il maestro e cominciò a fare l’appello, soffermandosi proprio un istante, prima di pronunciare il nome di Calise. Lo guardò intensamente negli occhi. Gli sguardi s’incrociarono e sembrarono lanciarsi una strana ed irrazionale sfida.
La sera stessa il ragazzo, da solo, davanti alla TV, non poté dimenticare l’occhiata del maestro. Sembrava come se quell’uomo sapesse tutto, come se fosse a conoscenza nei minimi dettagli dell’infame inganno ordito ai danni del collega Luglio. In televisione c’era “l’omino coi baffi”[11] di “Carosello”[12]. Improvvisamente, quel personaggio piccolo e simpatico, con la bocca che, nel parlare, assumeva l’aspetto delle lettere che pronunciava, rallentò il suo fare veloce e,  mentre   guardava dritto verso il ragazzo, le sue labbra si trasformarono, in lenta sequenza, nelle lettere: “ A S S A S S I N O “.  Silvestro si svegliò allorché in “Carosello” comparivano le immagini di “Angelino”[13],. Era tutto sudato e pallidissimo, tanto che la donna di casa, preoccupata, avvertì telefonicamente i genitori che erano ad un ricevimento: - Avrà preso freddo…Mettilo subito a letto e dagli un’aspirina. Mi raccomando, bada a lui perché noi torniamo tardi.- disse la madre.
 
Quella notte Silvestro sentì freddo come non mai. Tremava fino a battere irrefrenabilmente i denti. Aveva degli incubi insistenti e banali come: non riuscire ad entrare in ascensore, non poter trovare un bagno per fare pipì, non riuscire ad aprire la sua cartella scolastica. Anzi, attraverso i forellini laterali di questa, gli parve di vedere all’interno, tra il sussidiario ed il libro di lettura, il maestro Luglio che, sghignazzando, gliene  impediva l’apertura. Il giorno dopo, la madre, da poco rientrata ed in preda ad un terribile mal di testa, gli misurò la temperatura: - Oh…- disse – la febbre è alta. Bisognerà chiamare subito il medico. – Si guardò allo specchio: - Dio…in che condizioni sono! Faccio schifo…C’è  bisogno che mi dia da fare prima che venga il dottore…Che guaio…Proprio oggi che ho questo terribile mal di testa! –
Gli fu diagnosticata un’infezione polmonare e ci vollero due buone settimane per alzarsi dal letto ed un’altra di convalescenza in casa.
Quando, dopo circa un mese di assenza, tornò a scuola, ebbe la sorpresa di trovare la sua aula vuota. – Sono tutti andati in gita alla Reggia di Caserta…- disse una bidella. Silvestro entrò in classe, si guardò intorno per qualche secondo, poi andò a sedersi dietro la cattedra dove c’era il registro aperto. Lesse cosa vi era scritto nel riquadro corrispondente alla data odierna: - “Storia: Giuseppe Mazzini, pagine 89 e 90; Grammatica: ripetere gli aggettivi qualificativi, pagina 45; Matematica: risolvere il problema dettato in classe; Lettura: “Il ponte del diavolo”, pagina 154. – Questo titolo lo incuriosì tanto che tirò fuori “Voci nuove” e lo aprì sulla pagina indicata nel registro di classe.
Si trattava di uno strano e fantasioso racconto di Nicola Leoni[14] nel quale si narra di un ponte che doveva essere costruito per unire le due sponde di un fiume che attraversava un paesino, ma il Consiglio Comunale non riusciva a mettersi d’accordo su come doveva essere edificato. Sta di fatto che, discorri che ti discorri, uscirono dal palazzo municipale, a sera fatta, per continuare a discutere nella piazzetta del paese. Ma ecco che un omino vestito di nero, mai visto da quelle parti, si rivolse al Gonfaloniere e disse: - Ve lo fo io il ponte, in una sola notte,. A patto, però, che il primo che vi transiterà sopra dovrà essere mio anima e corpo. -  Il Gonfaloniere, forse per levarsi dai piedi quel pazzo importuno, rispose: - E va bene, facciamo come dice costui! – Ma quale fu la meraviglia dei paesani, e specialmente del Consiglio Comunale, la mattina dopo, nel vedere, sul fiume, il ponte nuovo fiammante, che allacciava le due sponde con un magnifico arco. Già la gente stava per avviarsi sopra e collaudarlo, quando il Gonfaloniere, ricordandosi della mercede richiesta dal forestiero per la costruzione, gridò: - Fermi tutti! Il primo che passa è perduto! Questo è il ponte del diavolo che come ricompensa ha chiesto il corpo e l’anima del primo che vi passerà sopra. – Allora si fece avanti una donnetta che, usando come esca un pezzo di formaggio, fece in modo che il ponte fosse attraversato da un cane. Non appena vi fu sopra, la povera bestia fu colpita da un lampo di fuoco e sparì per sempre.
 
Questo racconto, la solitudine in quell’aula, i rumori ed il vocio che giungevano ovattati dall’esterno, riuscirono ad inquietare in modo tale Silvestro da fargli immaginare che la porta della classe si chiudesse violentemente da sola e che fuori della finestra calasse repentinamente un angosciante buio. Fu allora che gli parve di vedere, seduta tra i banchi, la figura del maestro Luglio con la sua borsa di pelle ed il suo registro. Egli, lentamente lo apriva e cominciava a fare un echeggiante appello, scandendo i nomi lentamente ad uno ad uno:
- Abbagnano…Andolfi…Castella…Calise! . Qui si fermava e ripeteva più volte: - Calise…Calise…- Poi continuava: - Avanti, Calise, leggiamo “Il ponte del diavolo” a pagina 154. – e mentre la voce ripeteva i passi della lettura: - “La seduta del Consiglio Comunale era stata lunga e movimentata…” – ecco che sulla porta chiusa della classe compariva lui, il diavolo, così com’era descritto nel racconto di Leoni: “Un ometto vestito di nero, col naso a roncola e i capelli rossi”. Costui camminò senza muovere le gambe (come tirato su un carrello scorrevole)verso il ragazzo. Si fermò ad un lato della cattedra, rise, poi disse: - Interrogato! Dunque, rispondi alla mia facile domanda…Chi era quel cane che attraversò il ponte? – Il ragazzo lo guardava paralizzato dal terrore, con gli occhi spalancati: - Ma, sei tu, bestia! – disse l’omino. Silvestro svenne di colpo. Soccorso da un bidello che si era recato in aula per fare pulizie, fu portato a casa e rimesso a letto dalla donna che telefonò subito alla madre:
- Ma veramente non sta bene? – disse  – Dici che è svenuto a scuola? Non sarà stato preso di mira anche da questo nuovo maestro? Va bene, sono costretta, mio malgrado, a tornare subito a casa. Tu, intanto, chiama il dottore…-
Il medico disse che lo svenimento era dovuto al lungo stress febbrile al quale il ragazzo era stato sottoposto a causa dalle malattia.
Quando finalmente si fu del tutto ristabilito e tornò di nuovo a scuola, temette di trovare ancora l’aula vuota. Questa volta, però, l’intera classe era presente ed il maestro  aveva già fatto l’appello.
- Ecco Calise. – disse l’uomo – è tornato tra noi…- Il ragazzo, senza dir parola, consegnò al maestro il certificato sanitario rilasciatogli dal medico, dopodiché andò a  sedere al suo banco.  Agostini aprì il registro e lesse quali erano i compiti assegnati per quel giorno: - Dunque, vediamo cosa c’é per oggi…”Storia: Giuseppe Mazzini, pagine 89 e 90; Grammatica: ripetere gli aggettivi qualificativi…- Calise, sentendo lo stesso assegno che aveva letto giorni prima, quando era rimasto in aula da solo ed aveva avuto quella visione, rimase sbalordito ed entrò in confusione.
- “Matematica…- continuò il maestro – risolvere il problema dettato in classe; Lettura: <Il ponte del diavolo> pagina 154…” – Il ragazzo, pallidissimo, si alzò, si avvicinò alla cattedra e, inclinando la testa, cercò di leggere sul registro.
- Cosa c’è, Calise? – disse Agostini – Perché ti sei alzato senza chiedere il permesso? –
- Ma…questo assegno è lo stesso…-
- Lo stesso che cosa? –
- Lo stesso di qualche giorno fa quando siete andati in gita a Caserta…-
- Ma, no! Questa è roba che ho assegnato ieri per la prima volta. –
Silvestro lo guardò in faccia, poi quasi gli strappò il registro dalle mani e lo sfogliò a ritroso alla ricerca di quelle annotazioni che aveva visto giorni prima, ma invano. Tutte esse risultavano effettivamente scritte nel riquadro relativo al solo giorno precedente. Non disse e non fece altro se non ritornarsene a posto ancora più pallido e confuso di quanto si era alzato. Quando fu seduto disse a voce alta: - Che cazzo di scherzo è questo? –.
Da quel giorno divenne distratto, ansioso, indifferente verso chiunque, più di quanto non lo fosse già stato. Cominciò a sorvegliare le mosse del maestro Agostini che, manco a farlo apposta, era andato ad abitare nello stesso appartamento occupato in passato dal suo povero collega Luglio. Come il suo predecessore, del quale aveva più o meno la stessa statura, indossava prevalentemente un vestito grigio ed un soprabito blu. Inoltre, proprio come il suo collega, faceva vita solitaria e raramente riceveva in casa parenti o amici. Nessuno sapeva da dove venisse, quale fosse  il suo passato. Durante i pedinamenti Silvestro scoprì che egli, periodicamente, si recava nelle campagne di Soccavo, una zona poco lontana da Fuorigrotta, che oggi è un agglomerato urbano, ma che allora era piena di campi con alberi di frutta, vigneti ed agrumeti. Entrava in un casolare, sulla porta del quale un omone sembrava essere stato messo a guardia, e vi restava per delle ore. In realtà si trattava quasi di una catapecchia, senza finestre, ma con un unico lucernaio in alto; troppo in alto per riuscire a vedere cosa vi fosse all’interno. L’uomo, quando vi usciva era come analgesizzato, inibito emotivamente, appagato e sonnolento.
 
Era il 1959, l’anno di Brigitte Bardotte,  l’anno della “caduta” di Fanfani, l’anno quando emerse la figura di Aldo Moro, l’anno felice di Fidel Castro. Il rivoluzionario diede scacco matto agli americani divenendo il capo del Governo Cubano. In Italia si cominciò a vivere il miracolo economico che sconcertò gli osservatori degli altri paesi. La nostra penisola sembrava essere diventata il paese del campo dei prodigi di Pinocchio con la differenza che le monete si moltiplicavano per davvero per chiunque le seminava. Ma fu anche l’anno del bigottismo che criminalizzava i blue-jeans, i juke-box, i flippers, il rock e i giovani. Si censurarono libri, spettacoli televisivi, si sequestrarono film. Intanto, dalla legge Merlin che imponeva l’out-out alle case chiuse,  la prostituzione aveva cominciato a dilagare nelle strade. Niente di meglio per la nostra banda di ragazzacci che l’andar a sbirciare l’andazzo delle donnine che, sui marciapiedi, mostravano le loro grazie per accaparrarsi i clienti. Una notte la squadretta si era bene organizzata: Silvestro si era munito di binocolo, mentre tutti gli altri erano armati con cerbottane per sparare spilli  nelle gambe o dietro il sedere di quelle disgraziate. A Fuorigrotta, nell’allora viale del Mediterraneo (oggi viale Kennedy), fino alla zona di Agnano, era tutto un belvedere di passeggiatrici, alcune di giovane età. In maggior parte, però, si trattava di vecchie baldracche che una volta si erano vendute nei postriboli d’anteguerra e che adesso battevano i marciapiedi anche in pieno giorno per poche lire. Al calar delle ombre, il “materiale” che si offriva era di fattura un po’ più apprezzabile, di conseguenza si scatenava un certo via vai di auto.[15]
I nostri, dunque, si erano appostati, ben nascosti, nei pressi dell’ippodromo, pronti a colpire con le loro cerbottane. Avevano adocchiato una di quelle donnine, rischiarata dalla fiamma di un fuoco acceso alla men peggio. Si trattava di una bella ragazza, alta, ben fatta, con una vistosa parrucca bionda, gonna a fiori a larghe falde, cappottino blu, minuscola borsetta sottobraccio.
- Guardate che spilungona è quella puttana! – commentò il Negus.
Silvestro sporse il capo per vedere meglio e vide arrivare una “600” che andò a fermarsi proprio vicino alla donna. Ma, grande fu la sua meraviglia, quando si accorse che quella macchina, di colore grigio chiaro, aveva il cofano anteriore imbrattato da pittura nera: era esattamente l’auto del defunto maestro Luglio! E rimase ancor più stupito allorché, nell’abitacolo, al posto di guida, scorse il maestro Agostini.
Fu Sergio a scuoterlo dalla sorpresa con una pesante pacca su una spalla:
- Guè, hai visto? Quello è il maestro tuo. -
- E bravo! – esclamò il Negus – E’ ‘nu sfaccimmo[16] ‘e puttaniere!-
- Alla faccia di Garibaldi e Napoleone! – intervenne Vitale.
- …E pure della tavola pitagorica! – Concluse suo fratello Gaetano.
Ma Silvestro non dava loro retta; egli non profferiva parola tanto era sbalordito e confuso! Seguì con lo sguardo tutto lo svolgersi dell’azione che, in verità, fu di breve durata: la donna si calò verso l’uomo in macchina, scambiò due parole, poi girò intorno all’auto, aprì lo sportello dall’altro lato e vi entrò dentro. Dopodiché la “600”, diretta verso la “Domitiana”,[17] scomparve nell’ombra.
Durante la notte il ragazzo sognò di nuovo quell’autovettura. Era senza guidatore ed andava via da sola. Sul cofano, la macchia nera divenne via via rossa di sangue che, colando sulla strada in grande abbondanza, lasciava una lunga, orrenda scia.
 
- “Rio Bo. Tre casettine dai tetti aguzzi, un verde praticello, un esiguo ruscello…” – recitava a scuola il giorno dopo uno degli alunni stando in piedi dietro il suo banco. Tutti gli altri compagni di classe seguivano attentamente quei versi, fuorché Silvestro, il cui sguardo  era fisso sul maestro Agostini.
- “…Una grande magnifica stella. Chissà se nemmeno ce l’ha una grande città.”. – concluse l’alunno sedendosi tra l’applauso spontaneo dei compagni.
- Ho comprato una macchina nuova…- annunciò il maestro – Anzi, no, è usata. Pensate la combinazione…Sapete a chi apparteneva? Al povero maestro Luglio, quello che lo scorso anno ha avuto come allievo il vostro compagno ripetente. L’ho presa a buon prezzo: si tratta di una “600”. Il motore è a posto, solo la carrozzeria è rovinata da una chiazza di vernice nera sul cofano anteriore. -.
 
Qualche giorno dopo, il maestro, entrando nel gabinetto riservato al personale docente, trovò sul muro una scritta a grandi lettere che diceva: “Agostini è un puttaniere”.
Si affrettò, allora, a cancellarla alla meglio possibile, scrostando il calcinaccio murale con un tagliaunghie. Ma quella frase la trovò scritta altre volte: nel cortile della scuola, nell’androne del suo palazzo, per strada nella via dove abitava. Non si diede più da fare per cancellarla perché ogni volta che lo faceva, essa ricompariva più grossa e vistosa di prima.
Finché a scuola, una mattina: - Oggi vi parlerò del peccato. – disse agli alunni – Per la Chiesa di oggi è peccato avere un desiderio sessuale…Quindi, noi tutti pecchiamo, grandi e piccoli, perché ditemi, chi di voi, seppur piccoli quali siete, non è mai stato sfiorato da un desiderio sessuale? Il sesso fa parte della nostra stessa natura, della nostra vita di tutti i giorni, esso è un fatto ancestrale, istintivo…eppure la Chiesa ci dice che è peccato! Ciononostante si era esenti, fino a poco tempo fa, dal confessare di essere stati in una casa di tolleranza per soddisfare i nostri piaceri.[18] Ma, allora, non dovendone confessare la frequentazione, implicitamente non era peccato! Forse la Chiesa riteneva così indegne quelle donne da non dover neanche prendere in considerazione un rapporto che si poteva avere con loro? Allora il sesso praticato con costoro non è peccato. Di conseguenza non c’è di che vergognarsi, neanche se qualcuno di noi dovesse trovare il suo nome scritto sui muri accompagnato dall’appellativo “puttaniere”. Pecca, invece, chi induce quelle donne a fare tale squallido mestiere, forse i loro uomini, i loro mariti, i loro amici, i loro fratelli, forse la loro stessa condizione sociale. Pecca, quindi, e mortalmente, colui che induce qualcuno a fare una determinata azione. Pecca chi mente, chi odia, chi è geloso della felicità altrui, chi è invidioso degli affetti degli altri, chi mastica veleno per poterlo poi sputare sulla gente.-.
Gli alunni ascoltarono attentamente la “filippica” del maestro, pur senza comprenderla appieno e senza capirne il motivo. Alla fine, l’uomo, paonazzo in volto per l’ardore col quale aveva pronunciato quelle parole, si sedette e disse ancora: - Siamo ormai in Aprile. C’è uno solo in mezzo a voi che rischia la non ammissione agli esami di licenza…-.
In quegli anni si scatenò una crociata contro i “Teddy Boys”, giovani accusati di episodi di ordinaria violenza. Costoro indossavano jeans, giocavano a flipper ed ascoltavano musica  rock dai juke-box. Tutte cose che, secondo i puritani dell’epoca, favorivano le bravate. I blue-jeans, quindi, divennero un simbolo esteriore da criminalizzare. I ragazzi che li indossavano a scuola venivano mandati a casa; erano proibiti sul lavoro, banditi in alberghi e ristoranti. Agostini, ritenendo che fossero un capo molto pratico da indossare e che davano un senso di libertà, fuori dalla scuola li indossava sempre. Questo non sfuggì all’attenta osservazione di Silvestro che lo spiava ormai giornalmente. Nel mese di Giugno, il ragazzo, per la seconda volta, non fu ammesso agli esami di licenza elementare. Questo fatto scatenò le ire del padre che, recatosi nell’ufficio del Direttore, minacciò fuoco e fiamme preannunciando un ricorso che fu inoltrato puntualmente dopo pochi giorni. Furono esaminati gli atti ufficiali   (registro di classe, registro del maestro, compiti in aula) ed alla fine l’istanza fu rigettata ed il ragazzo destinato a ripetere ancora una volta l’anno.
Era proprio indossando dei blue-jeans che Agostini si recava in quella catapecchia a Soccavo.
 
Una sera di fine giugno, Silvestro, aiutato dai suoi amici, riuscì ad avvicinarsi alla baracca e col loro aiuto si arrampicò fin su il finestrino, vi guardò attraverso e, con suo grande sbigottimento, scoprì che si trattava di una fumeria di oppio. Sette od otto individui erano sdraiati in terra su dei tappetini tenendo in bocca una cannuccia di plastica collegata ad una grande fumiera d’ottone posta al centro. Fra costoro, immerso in uno stato di profonda sonnolenza, con gli occhi spalancati, sperduti nel vuoto e con  le pupille a spillo, c’era il maestro Agostini!
Di lì a diffondere maliziosamente la notizia il passo fu breve. La polizia fece irruzione nella fumeria clandestina ed arrestò tutti quelli che vi si trovavano dentro, compreso Agostini che, tradotto in prigione, fu sospeso dall’insegnamento. Condannato a tre anni di carcere col beneficio della sospensione della pena, scomparve dalla circolazione. Di lui non se ne seppe più nulla fino a quando, in un boschetto alle falde del Vesuvio,  non ne fu ritrovato il corpo senza vita: aveva i polsi tagliati. Era il 1960, la disoccupazione in Italia fu calcolata intorno al 60%. Lo stipendio di un operaio era di circa 47.000 lire. Il giornale costava 30 lire, il tram 35, il prezzo di una tazzina di caffè al bar era di 50 lire. C’era il miracolo economico, ma molti dicevano che il miracolo era stare in piedi al lavoro 8-10 ore al giorno mangiando solo pane e mortadella. Fu l’anno della migrazione interna che provocò epocali squilibri demografici al sud. Fu l’anno delle grandi proteste per chiedere aumenti salariali e sussidi per la disoccupazione. Negli U.S.A., Kennedy venne eletto presidente. In Italia Fanfani aprì al centro sinistra ad Enrico Berlinguer.
Il primo ottobre Silvestro si presentò puntualmente a scuola. Quando varcò la soglia della sua nuova aula, vide quelle che per lui erano ennesime facce nuove, tutti pivelli provenienti da una quarta classe, moscerini insignificanti di primo pelo da mettere subito in riga. Allorché entrò il maestro, tutti, tranne lui,  si alzarono in piedi. L’uomo sorrise, si sedette dietro la cattedra, inforcò un paio di occhiali e lesse l’appello: - “ Aliberti… Calise… Costanzo… Di Meo… D’Antuono…- letti tutti i nomi, rinchiuse il registro che aveva davanti e si rivolse ai ragazzi: - Siamo in epoca di distensione, andiamo verso il pluralismo, ed è in base a queste concezioni che intendo improntare il mio rapporto scolastico con voi. Mi chiamo Settembre…trascorreremo insieme quest’ultimo anno scolastico. Ormai non siete più dei bambini, cosa per cui non è affatto tollerabile l’atteggiamento che, magari, avete avuto negli anni precedenti. Per coloro che dalla quarta sono in quinta, sono nuovo in virtù del pensionamento del loro vecchio maestro…- Smise un attimo di parlare, diede un’altra occhiata al registro, poi chiese: - Chi è Calise? –
Silvestro, senza alzarsi, stancamente sollevò la mano sinistra.
- Sei tu? Alzati quando sei interrogato! –
Il ragazzo si alzò con la sua solita aria di sufficienza.
- So che ripeti l’anno per la seconda volta, e so molte altre cose…Mi sono già informato su di te: so che sei un tipo difficile, un osso duro, ma non me ne preoccupo perché io, avendo esperienze di insegnamento in riformatori,  sono ancora più duro e difficile di te. Vedrai che scontro, se non ti metterai in riga! Adesso siediti! -
Il ragazzo, il cui posto era vicino ad uno dei finestroni, prima di risedersi, girò lentamente la testa e guardò fuori in basso. Accostata al marciapiede, c’era parcheggiata una “600” grigia chiaro, con il cofano anteriore imbrattato di vernice nera!
 

[1] Marca di pallone per il gioco del calcio.
[2] Dolce napoletano ricoperto di crema e marmellata, fatto con pastafrolla e farcito con  ricotta. Praticamente una “sfogliatella” più grande
[3] Libro di lettura dell’epoca, autore Marco Toscano, Editrice Le Stelle
[4] Personaggio di uno dei fumetti della S.G.S. . Eroe negativo che per vendetta uccideva e scotennava indiani.
[5] Trasmissione televisiva dell’epoca condotta da Enzo Tortora, con Fausto Coppi e Gino Bartali.
[6] Servizio ferroviario alternativo della zona dei Campi Flegrei.
[7] Lago vulcanico dei Campi  Flegrei.
[8] Torregaveta e Cordoglio, zone balneari.
[9] Personaggi dei fumetti
[10] Giornalino per ragazzi di quell’epoca
[11] Un cartone animato col quale si reclamizzava la caffettiera Bialetti
[12] Programma composto da sketch pubblicitari
[13] Altro cartone animato col quale si reclamizzava il detersivo “Supertrim”
[14] Pare che lo scrittore abbia tratto spunto da una leggenda. Si tratta di un’ardita, coraggiosissima costruzione a schiena d’asino che si protende con le sue arcate asimmetriche al di sopra del fiume Serchio, nei pressi di Borgo Mozzano.
[15] Nel 1959 circolavano in Italia 2,5 milioni d’auto con un record storico di incidenti: 279.993 con 7.680 morti.
[16] Espressione dialettale che ha diversi significati. Eccone alcuni: grande, cattivo, furbo, malavitoso.
[17] Strada statale che da Napoli porta a Roma.
[18] Storico. La Chiesa esentava i fedeli dal confessare la frequentazione di una casa di tolleranza.
 
 

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