Scritto da © Antonio Cristof... - Lun, 18/02/2013 - 08:45
Carissimi lettori, alcuni di voi, attraverso i miei scritti, avranno certamente capito quanto io sia appassionato alla storia della mia bella Napoli e ad i suoi usi e costumi. In questo spazio (sperando di solleticare il vostro interesse e, principalmente, di divertirvi) intendo parlarvi di qualcosa che da sempre ha condizionato la vita dei partenopei: la cabala, mediante la quale i napoletani hanno assegnato ad un numero riferimenti storici o significati particolari.
16 il culo
Nel XV° secolo, a Napoli, durante il periodo vicereale, era in vigore la carcerazione o addirittura la pena di morte per chi, tra la popolazione, non pagava i tanti debiti accumulati. Al Vicerè don Pietro de Toledo fu allora detto:
- Maistà qua si non trovammo ‘na soluzione. Finisce tutta la popolazione in galera, tant’è indebitata! E le galere già so’ piene!-
- Marò! E comme facimme? – chiese il buon don Pietro in preda al panico.
- Semplice! – disse uno dei consiglieri – Avimma cambià la legge…-
E la cambiarono. Da allora il povero debitore non finì più in galera. Naturalmente bisognava punirlo in qualche modo, così si fece ergere davanti al Palazzo di Giustizia, l’antica Vicaria, una mezza colonna alla quale il condannato veniva legato nudo per tanti giorni secondo l’entità del debito. Il fatto che il poveretto mostrasse il lato B scatenava grande ilarità tra tutti coloro che passavano e molti, ridendo, gridavano:
-Maròòò! Uh guarda chillo che tiene scoperto: “quello che non se dice”…-
Capite? Quello che non “se dice”…sedice…16…Ahahahahah…
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