Scritto da © Antonio Cristof... - Gio, 23/05/2013 - 18:18
Personaggi
Il lavoratore socialmente utile
Il maestro elementare
Il narratore
L’azione si svolge in Qualiano, un paesino in provincia di Napoli. In epoca romana la zona si chiamava Caloianum, per culto al dio Giano (lo confermerebbe il ritrovamento di una grossa testa di divinità bifronte e barbuta). Notevole importanza, sotto il profilo urbanistico, ebbe il secondo periodo borbonico (1815-1860). In questa realtà illuministica per il territorio, operata dai regnanti Borboni, Qualiano trasse non pochi benefici. Attualmente Qualiano fa parte del comprensorio giuglianese ed è un mix di vecchi agricoltori e giovani imitatori della vicina vita metropolitana partenopea.
Siamo in località “Ponte di Surriento” ed il vento col suo fischiare imperioso quasi copre l’ululare dei cani randagi. E’ il tramonto inoltrato.
|
Narratore Venerdi, 15 aprile 2001. Località “Ponte di Surriento” a Qualiano, provincia di Napoli, nel giorno della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, viene organizzata dalla Parrocchia di S. Stefano e dal Comune di Qualiano la “Via Crucis”. Distanti dal ponte, in aperta campagna, vengono issate due croci che, per l’angusto spazio tra un albero e l’altro, vengono messe molto ravvicinate. Vi sono legati, vestiti solo con dei goffi parei, due individui: un giovane cassaintegrato – lavoratore socialmente utile – nativo del posto, ed un maestro elementare napoletano in servizio in un locale Circolo didattico. Di lì a poco dovrebbero arrivare tutti gli altri personaggi con il sindaco in testa flagellatore di Gesù Cristo interpretato dal Segretario comunale e l’Assessore all’assistenza degli anziani nel ruolo di Ponzio Pilato. Alle sette della sera non si vede ancora nessuno, mentre i due, strettamente legati, aspettano con una certa preoccupazione.
Lavoratore No, te stongo a fa ‘na domanda: tu ‘o suppuorte ‘o gummista?
Maestro Ma chi lo conosce? Cosa vuoi che me ne fotta a me del gommista?! Io tengo i miei cazzi per la testa, penso al gommista!
Lavoratore Ah, ma tu sì proprio un tipo buriuso[1]! Ti credi che tieni solo tu i cazzi da’ parte da’ capa? Si è probleme fossero purtualle[2], ‘a capa mia saria Palermo, lo sai! Lo sai che ho messo a lievitare il pane ‘sta notte e mo, co’ mia moglie malata, si sarà ammosciato tutto? E mi dici che me ne faccio mò? Manco pasta cresciuta ne posso fare più! E tutti quelli che saranno venuti a cercare il pane e non lo hanno trovato? Sai che succederà? Non lo hanno trovato una volta? Nun ce vengono più! –e che faccio mò? Levo ‘a miezzo pure pane e taralli?
Maestro Bastaaaaaaaaaa!
Lavoratore Ecco! E’proprio chello che ha detto mia moglie! Ha detto:- Bastaaaaaa! Lieve ‘sta “Via Crucis” ‘a miezzo e pienze a fa’ ll’ommo!
Maestro Ecco, tua moglie!
Lavoratore Addò sta?
Maestro No, dicevo, non sarà preoccupata? Non ti viene a cercare?
Lavoratore Sta a letto con la febbre. Poi penserà che sto con gli amici nel bar di Ciccio. Lo sai il bar di Ciccio?
Maestro Nun ‘o conosco ‘stu Ciccio!
Lavoratore Io me la faccio là dentro. Pure ‘o gummiste se la fa là dentro. Senti, io le guardate del gommista non le sopporto! Tiene certi occhi che fanno paura! Quello, quando ti guarda storto è tutto un programma! ‘O conusce ‘o gummista?
Maestro Ti ho detto che non lo conosco!
Lavoratore Azzo, non conosci il gommista? Sta nella prima traversa appena passata la piazza…
Maestro Non lo so.
Lavoratore Sulla sinistra, doppo ‘o ferraro…
Maestro Non – lo- so!!!
Lavoratore Quello che tiene l’insegna messa sottosopra…
Maestro Se po’ sapè che vuo’ tu ‘e stu sfaccimme ‘e gummista? Dimmi che vuoi da me?
Lavoratore Ah, niente…niente…
Pausa.
Lavoratore Titò…
Maestro Eh?
Lavoratore Però te dongo nu cunsiglio…Si incontri il gommista, nun ‘o guardà ‘int’’all’uocchie.
Maestro Ma lasciami in pace! Fa freddo qua…
Lavoratore Batti le mani.
Maestro Stronzo! Come faccio a battere le mani se le ho legate?
Lavoratore Fai così…(stringe i pugni e li apre di continuo). Anzi, muovi pure i piedi, fai così…(Cerca, per quanto possibile, di muovere i piedi
Maestro ( A mezza voce , singhiozzando) Franca…
Lavoratore Non ci pensà! Tanto essa mica ti penza…
Maestro Ma come ti permetti???
Lavoratore E’ che a chest’ora tenerrà che fare, no?
Maestro Cosa?
Lavoratore E io che ne saccio? Ci sono tante cose che una donna tiene che fare…Può essere che starà guardando la televisiona…
Maestro A Milano?
Lavoratore Ma pecchè, a Milano non si guarda la televisione?
Maestro La prima volta la vidi a Ischia…
Lavoratore Nientemeno!?
Maestro Che immagine stupenda! Bella! Piena di colori!
Lavoratore Quanti pollici era?
Maestro Pollici? Ma di chi cazzo parli?
Lavoratore Da’ televisione a colori che avite visto a Ischia.
Maestro Ma no! Io parlavo di Franca…Quanti anni avrà avuto?
Lavoratore Ma pecchè che ha fatto?
Maestro In che senso?
Lavoratore Tu hai detto “Quanti anni avrà avuto…”
Maestro Cretino! Quanti anni avrà avuto di età. Mi pare che ne aveva venti e io ventisei.
Lavoratore Ah tu ventisei…E allora? (Sbadiglia, ha sonno, o meglio è il diabete che sale e gli porta sonno)
Maestro La incontrai mentre passeggiava ed, avvicinandola dopo averla a lungo osservata, ebbi come un sussulto ed esitando inventai una scusa qualsiasi. Dissi…
Lavoratore “…Lei mi ricorda qualcuno…”
Maestro Si, ma come fai a saperlo?
Lavoratore Perché è la scusa tipo. La stessa che ho trovato io con mia moglie. Solo che quando li dissi:- Senda…lei mi ricorda qualcuna…- Essa rispunnette:- Chi? Soreta? A te che ti ha risposto?
Maestro Ma io ero a disagio e lei poco faceva per aiutarmi. Il discorso cadeva continuamente e ad ogni mia domanda per alimentarlo lei sillabava solo con un si o con un no.
Lavoratore (sempre più stanco ed assonnato)Pure muglierema sillabava sempre. Diceva:- Se,se…Né, né…ma, va! Era' nu sillabario!
Maestro Faceva solo brevi cenni col capo con risposte vaghe e stentate.
Lavoratore (c.s.) Pure muglierema stentava.
Maestro Ma, forse, era questo che mi piaceva terribilmente di Franca. Questo suo porsi e ritrarsi. Questa sua disponibilità e questa ritrosia eternamente in bilico. Il paese, la gente, tutto ci stava stretto eppure eravamo impossibilitati a uscirne.
Lavoratore (c.s.) E’ vero! Si uno tene gente , rimane ‘int’’a casa.
Maestro Il varco…
Lavoratore Come?
Maestro Noi lo vedevamo il varco, ma non era così facile oltrepassarlo. Era lì, a portata di mano, e, se solo lo avessimo voluto, ne saremmo usciti fuori liberi e fieri come due puledri.
Lavoratore (c.s.) Site asciuto dint’’a varca con due puledri?
Maestro Quando ci decidemmo era ormai troppo tardi: non più giovani per avere quel entusiasmo per cominciare una nuova vita da un’altra parte, ma neanche abbastanza vecchi da
dichiararsi sconfitti. Io, maestro elementare con uno stipendio da fame, e lei che lavorava come segretaria presso uno studio legale ischitano. Non c’era di che stare allegri! Quello che più mi dispiaceva era che il tempo passava inesorabilmente sul suo volto, e che la sua bellezza sfioriva quale immagine attraverso un vetro che si appanna pian piano. Lei lo sapeva che io fingevo che ciò non accadesse. L’amavo sempre, per carità, ma non mi piaceva più come una volta. Era un bene diverso: quello dettato dalla riconoscenza verso una persona che con te ha diviso la vita, ma non era più amore. Dio, quante volte, mentre facevo l’amore con lei, pensavo ad altre! Eppure ero consapevole che un amore grande come quello non lo avrei mai avuto. Lei sentiva tutto questo, m’interrogava col suo sguardo da bambina smarrita, mi scrutava dentro. Non potevo fare a meno di lei e nello stesso tempo mi struggevo al vedere del tempo che scorreva sempre più inflessibilmente. Poi venne il giorno in cui lei cominciò a desiderare di avere un figlio. Io, frustrato anche dal mio lavoro, tutto desideravo fuorchè un figlio. Senza mezzi termini le fecì capire che neanche ci pensavo proprio, ma lei si ostinava. Divenni anche cattivo a volte. Eravamo come due muri uno di fronte all’altro e nessuno voleva cedere . Quando si rese conto che non ‘era nulla da fare ebbe un cambiamento improvviso e cominciò a detestare i figli degli altri. Non mi veniva più a trovare a scuola, a Lacco Ameno, dove allora insegnavo per non vedere bambini. L’impossibilità di avere un figlio dall’uomo che amava la indusse a convincersi del contrario pur di non soffrire. –io diventai insofferente a tutto e, perfino a scuola, cominciai a pensare a come rammendare questo rapporto che giorno dopo giorno, si sfibrava languendo sotto i nostri occhi. Ora lei è a Milano ed io sono stato trasferito qui. Che stronzo che sono stato! Che stronzo!
»
- Blog di Antonio Cristoforo Rendola
- 423 letture