Scritto da © Antonio Cristof... - Sab, 09/03/2013 - 05:47
Vi racconterò, cercando di farlo nei minimi particolari, di certi strani avvenimenti che capitarono qualche anno fa a un mio cugino, a sua moglie ed ai loro figli, i quali, così per gioco, vollero organizzare con alcuni amici una seduta spiritica, senza rendersi conto che, così facendo, avrebbero varcato i limiti di una dimensione differente.
Prima, però, sarà opportuno farvi sapere qualcosa sui fenomeni medianici. Essi si possono dividere in due categorie: quelli che si realizzano nella persona stessa del medium, e quelli che, invece, si realizzano, senza contatti apparenti, al di fuori di essa.
Nel primo caso sono compresi movimenti di oggetti (pendolo, bacchetta, tavolo), prodotti al contatto con le mani senza impulsi coscienti degli astanti. In questo caso nella medianità vocale la comunicazione avviene esclusivamente attraverso la voce del medium, la cui personalità, la cui forza riesce a controllare lo spirito stesso. Le cose si complicano nel secondo caso, quando l’entità riesce ad entrare nel mondo vivente in maniera incontrollata, senza la consapevolezza di nessuno dei presenti. E ciò accade per gli spiriti malvagi: essi cercano continuamente un varco per insidiare la felicità degli uomini, per alimentare col male il loro insaziabile odio, e quando riescono a trovare questo empirico passaggio si scatenano nello spargere terrore e morte.
A quell’epoca, mio cugino, viveva con tutta la sua famiglia a Villa Santa Lucia, un piccolo centro agricolo distante una decina di chilometri da Cassino. Questo paesino, d’origini medioevali, faceva parte dei possedimenti dell’Abbazia di Montecassino, ed un documento del 1502 indica che la sua antica denominazione era “Villa Pedemontis”, probabilmente per la sua posizione ai piedi del monte Cairo.
Mio cugino, allora, viveva in una casetta in frazione Piumarola dove si ergono tuttora i resti di un antico castello di epoca romana. In una lapide datata tra il 67 e il 75 d.C., conosciuta con il nome “Fasti di Piumarola”, sono riportati i giorni festivi in cui i romani tenevano il pubblico mercato.
Ebbene, si narra che nelle notti di quei giorni, tra il 29 di ottobre e il 1 di novembre, per propiziare il buon andamento del commercio, avvenissero riti pagani in onore della dea Cerere, con canti, balli ed orge sessuali. A tali manifestazioni si opponeva la comunità cristiana della vicina Cassino e spesso ne nascevano cruenti scontri che culminavano con ferimenti ed uccisioni. All’epoca in cui vi abitava mio cugino, Villa Santa Lucia era comunque un paesino tranquillo a circa 400 metri di altitudine sul livello del mare e con una popolazione di non più di 2500 abitanti. Egli era impiegato nell’Ufficio Campione Civile del Tribunale di Cassino ed ogni mattino percorreva la Strada Statale. n. 6 e quella Provinciale n. 143 (Via Cairoli) per raggiungere il Palazzo di Giustizia a Piazza Labriola. Poco prima di arrivare, lasciava uno dei figli presso un Istituto scolastico. Appena fuori del centro abitato di Villa Santa Lucia, attraversava con la sua auto, l’incrocio tra la Strada Statale ed una sorta di mulattiera che conduceva alle rovine del castello.
Una mattina presto, nel grigio cuore di una fitta nebbia, mio cugino ed il figlio, all’altezza di questo incrocio, avvistarono a malapena, da un lato della strada, un oggetto semisotterrato. Scesero dalla macchina per accertarsi di cosa fosse e videro che si trattava di una croce di rame sulla quale vi era crocefisso sottosopra un uomo grande e grosso, completamente calvo ed interamente nudo. Mio cugino esaminò superficialmente quell’ oggetto, dopodiché decise di portarselo a casa, dove, nel corso dello stesso pomeriggio, lo analizzò più approfonditamente. Il tempo aveva inverdito il rame; il volto dell’uomo inchiodato a testa in giù sulla croce, più che sofferenza, sembrava esprimere malefici sentimenti di odio e vendetta; le sue gambe, nervose e muscolose, erano divaricate sui bracci del patibolo, sul cui spessore laterale c’era incisa una scritta in una lingua per lui incomprensibile: “BEN SEVMIYECEGIN ASLA INSANLER”. Mio cugino, che aveva la mania di conservare tutto, mise quella croce in cantina e ne dimenticò l’esistenza.
Quel mio parente si chiamava Salvatore e sua moglie Anna. Avevano tre figli maschi: Mario, Adolfo e Lorenzo. Il primo (24 anni) si era regolarmente diplomato ed, in attesa di occupare un posto di lavoro fisso, lavorava in uno studio notarile nel vicino centro di Mondinello. Il secondo (20 anni) frequentava a Cassino la facoltà di Giurisprudenza, mentre il terzo (18 anni) era all’ultimo anno di scuola superiore.
Si trattava di tre bravi ragazzi pieni di fantasia e di spirito d’iniziativa. Molto spesso, essendo dei veri appassionati di cinema, invitavano i loro amici a visionare film in videocassetta o in DVD. Ne avevano a centinaia! La loro stanza, le cui pareti erano tappezzate con locandine di cinema e foto d’attori ed attrici, ne era praticamente piena. I generi variavano dal film d’azione a quello d’interesse politico e sociale, da quello d’amore a quello comico, da quello fiabesco a quello di fantascienza. Ecco alcuni titoli: “Alien”, “Il Signore degli anelli”, “Fantozzi”, “Amore a prima vista”, “Il portaborse”, “Rambo”. Come moltissimi giovani di oggi, che hanno sempre bisogno di caricarsi d’adrenalina provando emozioni intense sentendosi al sicuro in casa su una poltrona, essi amavano particolarmente i film horror. Ne avevano molti, girati in tutte le epoche, negli anni quaranta, cinquanta, sessanta, fino ad arrivare ad oggi. Cosicché, nella loro videoteca comparivano titoli rari come “Nosferatu”, “Dracula” con Bela Lugosi, “La piccola bottega degli orrori” con un giovanissimo Jack Nicolson, “La maschera di cera”, un classico degli anni cinquanta, “Dracula il vampiro” con Cristopher Lee, “Frankenstein” con Boris Karloff, “Zombi” di Gorge A. Romero. Insomma, una vera pacchia per chi amava questo genere di cinematografia. In realtà, i tre ragazzi erano affascinati da tutto ciò che riguardava la magia e la parapsicologia, e fu per questo che una notte di un 31 ottobre organizzarono con i loro amici una festa di Halloween.
Come tutti sanno, si tratta di una tipica ricorrenza americana che si celebra nella notte tra il 31 ottobre e il primo di novembre. Con essa si intende esorcizzare la paura del buio, dell’occulto, dell’arcano, della morte. In realtà gli americani ereditarono questa festività dalla madre patria inglese. Si trattava di un’usanza celtica di prima che l’Europa cadesse sotto il dominio di Roma. Allora l’anno nuovo cominciava il 1 novembre con i lavori nei campi completamente conclusi e il raccolto al sicuro. In tale data venivano ricordate ed evocate a titolo di ringraziamento tutte le divinità pagane. Per quella notte le porte delle dimensioni ultraterrene erano considerate aperte e tutti gli spiriti erano liberi di vagare sulla terra e di divertirsi insieme agli uomini.
L’abitazione di mio cugino era in realtà un villino indipendente su un solo piano, e, volendo fare le cose per bene, i tre fratelli si misero all’opera giorni prima per trasformare l’ampia cantina di cui era dotata la casa. Fecero in modo che in ogni angolo ci fosse una diversa scenografia, così da una parte collocarono una sorta di tavolo di tortura con tanto di anelli di ferro e di catene; in un’altra parte vi misero un paio di fantasmi; un po’ sparsi dappertutto c’erano ragni giganti e serpentelli, cumuli di terriccio a mò di tombe con tanto di lumini accesi e croci di legno; una mummia avvolta in un lenzuolo era stesa in terra; fasci di aglio erano appesi in ogni dove.
Ma il loro vero capolavoro fu la costruzione di un pupazzo di legno, interamente avvolto in un manto nero che aveva per testa un teschio di plastica. Faceva davvero il suo effetto! Specialmente quando lo illuminarono con una lampada di colore rosso ed un’altra di colore azzurro, e resero, infine, ancor più suggestiva l’atmosfera con colonne sonore tratte da film dell’orrore.
Un giorno prima della festa, Lorenzo si ricordò dello strano oggetto rinvenuto insieme al padre all’incrocio col viottolo che portava su al castello. Così, cerca e cerca, scava e scava, lo ritrovò tra la roba vecchia e l’andò a piazzare in una mano dell’orrido pupazzo costruita con dei fili di ferro, mentre nell’altra mano ci avevano sistemato una lunga e tagliente falce.
Sara era una collega d’ufficio di Mario. Ella abitava a San Lorenzo, un paesino tra Santa Lucia e Cassino. Tra i due, c’era molto più che un semplice rapporto di lavoro. La ragazza, bella e bionda, sembrava un’americanina degli anni cinquanta, una di quelle degli “Happy Days”, per intenderci. Era un soggetto del tutto particolare: a suo dire, più di una volta era entrata in contatto con l’anima del padre morto anni addietro, grazie alle sue spiccate facoltà medianiche.
- Sono come una stazione radio in ascolto…- disse una volta a Mario, durante una pausa in ufficio. – Talvolta questo stato lo raggiungo attraverso una predisposizione naturale, talvolta in seguito ad una tecnica di autoipnosi, ma certamente la forma più completa è quella della concentrazione.
E Mario, un po’ incredulo, rispose: - E cosa succede in te?-
- Entro in trance, in contatto con una dimensione differente, sfuggo ai legami della materia fisica, riaffiorano in me le capacità e le facoltà del mio spirito e riprendono ogni possibilità d’uso.-
- Ma va!-
- Credi che stia scherzando?-
- E come entreresti in contatto con tuo padre?-.
- Con la scrittura automatica…-
- Cos’è?-
- Appoggio il braccio sulla superficie di un tavolo, creando il minimo attrito possibile, al fine di consentire alla mano la più ampia possibilità di movimento. In un primo momento si ha una sensazione di torpore, come se si esercitasse una pressione estrema sulla mano, in particolare sul dorso. Successivamente questa pressione si trasforma in tremiti, vibrazioni, in piccoli impulsi. Qualche volta ho scritto in posti dove non c’era l’occorrente per farlo, oppure, qui in ufficio. Vedi quella macchina lì alla tua destra? Ha scritto da sola…-
- Ma davvero? E cosa ha scritto? –
Sara lo guardò senza rispondere, e lui insistette:
- Allora? Cosa ha scritto?-
- L’evocazione degli spiriti ha il potere di creare magiche illusioni; con essa i confini della mente si spostano di continuo e tu non sei preparato a questo…- disse Sara riprendendo, poi, il lavoro senza aggiungere più nulla.
Verso la fine di quell’ottobre partirono gli inviti per la festa di Halloween organizzata dai tre fratelli. La sera del 31 vi convennero una quindicina di persone tra amici, amiche, colleghi di lavoro e compagni di scuola. Naturalmente era presente anche Sara, in compagnia della sua amica Clara, una studentessa di lingue iscritta fuori corso all’Università di Napoli. Costei era ancor più giovane di Sara ed era una ragazza simpatica, intraprendente, sempre pronta al dialogo, ma anche facile agli innamoramenti, alle cotte tipiche della sua età. Aveva da poco chiuso una storia con Tullio, un altro ragazzo invitato alla festa, e già aveva ceduto alle lusinghe di Nino, anch’egli presente quella sera.
Via via che giungevano, i ragazzi restavano esterrefatti davanti all’originalità della scenografia. Tutti si guardavano intorno meravigliati apprezzando con unanimi consensi l’allestimento fatto dai figli di mio cugino. Naturalmente restarono particolarmente impressionati dal sinistro aspetto del pupazzo e dal terrificante effetto della mummia in terra.
La festa andò avanti fino alle due di notte tra musica, balli e scherzi. A quell’ora, disse Mario: - Lo sapete che Sara è una medium? –
- Davvero? – rispose Tullio.
- Hei, ragazzi! – intervenne Lorenzo – Perché non intavoliamo una bella seduta spiritica? – E tanto fecero che convinsero Sara, contraria all’evento, ad organizzare la cosa. Così alcuni dei presenti si sedettero intorno ad un tavolo, mentre altri restarono in piedi a guardare. Prima di cominciare, Sara disse:
- Vi siete mai chiesti perché gli spiriti benevoli, quelli, per intenderci, di coloro che avete amato e che vi hanno amato, non osano manifestarsi di frequente? Perché la vostra mente, abituata a concepire eventi razionali, potrebbe rimanere per sempre sconquassata davanti ad una manifestazione paranormale. Il vostro io, il vostro subconscio, il vostro corpo stesso non è preparato a tale genere di avvenimento. Si tratta di una vera e propria rivelazione, di uno sconvolgimento della realtà, di un passaggio in un buio eterno al quale la nostra ragione non è avvezza. Vi è mai capitato di essere da soli di sera, magari a letto, di leggere qualcosa e di averne paura? Quello è il timore ancestrale che noi tutti abbiamo per l’occulto, che proviamo per tutto ciò che non riusciamo a spiegarci…Allora ci sembra di veder materializzarsi le ombre, di sentire una presenza alle nostre spalle, nel letto stesso, di udire rumori, stridii, lamenti, tonfi…Ma è solo un’impressione dettataci dalla nostra stessa paura. Immaginate, invece, cosa succederebbe se tutto quello che ho detto avvenisse realmente!-.
Tutti ascoltarono le parole della ragazza con un groppo alla gola, visibilmente emozionati. Solo Clara e Nino non avevano udito nulla. Essi si erano appartati per pomiciare, ed avevano scelto proprio l’anfratto dove si ergeva l’orrendo pupazzo.
I preliminari del rituale non durarono a lungo. Sara chiese ai suoi amici di unire le mani, poi spiegò: - Ogni medium ha la sua entità guida; essa ci assiste durante le esperienze e controlla il nostro stato fisico. Lo spirito guida è un intermediario nella produzione dei fenomeni, egli ci aiuta ad accettare ed a seguire il nostro destino, accompagna in realtà ogni uomo e può manifestarsi durante lo stato di trance di noi medium. E’ il nostro Angelo Custode. Egli impregna il nostro animo di armonia, di amore per Dio e per i nostri simili, dipinge i nostri sentimenti con tenui colori, coltiva le nostre anime affinché siano pronte ad essere accolte dal Signore, ma…-.
- Ma?... – chiese Lorenzo.
- Dietro quest’Angelo Custode si nasconde il demone. Egli non ama gli uomini, si nutre esclusivamente del loro male e per ingrassare alimenta la loro ira, la loro avarizia, la loro superbia, la loro gola, ne favorisce l’accidia, insinua nella loro mente la lussuria, scava il loro spirito con l’invidia. L’essere umano è sempre oggetto di conflitto tra il bene e il male, e spesso cede davanti all’ambiguità del demonio.
- Santo cielo, Sara, ci stai mettendo addosso una fifa! – disse Adolfo.
- Lasciala fare… – intervenne Mario - E’ la sua tecnica per creare la giusta atmosfera...E’ tutto un trucco! –
- Trucco ? – rispose Sara – Coloro che s’interessano al paranormale ritengono che i messaggi e le affermazioni che provengono da questo mondo invisibile debbano essere sottoposti a severi controlli da parte degli studiosi in materia. Purtroppo non è sempre facile avere prove che consentano di stabilire con certezza se determinate affermazioni siano attendibili ed esatte. -. Dopo queste parole di Sara, su tutto il gruppo scese il silenzio. Quelli seduti badarono bene di unire in contatto le mani l’uno all’altro in modo che i mignoli si toccassero, quelli in piedi si guardavano in faccia interrogandosi con lo sguardo, senza osar parlare. Una religiosa staticità regnava in tutto il cantinato, in un anfratto del quale Clara e Nino, ignari, continuavano a pomiciare. L’atmosfera, resa inquietante dalla particolare scenografia, si era fatta pesante, quando, improvvisamente Sara alzò di scatto la testa e sbarrò gli occhi:
- Sono sola…- disse, e cominciò a sudare sebbene in quel posto facesse piuttosto freddo – Il mio spirito guida non c’è. Sono sola…-
- Sara! – invocò Mario, ma la ragazza, che non poteva né sentirlo né vederlo, continuò:
- Fa caldo qui…Fa tanto caldo…Sette Soli si sono levati su un’immensa distesa di monti…Ognuno di loro irradia una luce intensa, di colore diverso, cocente, tanto da ardere le pietre. C’è solo deserto di rocce qui intorno…No! Ora vedo dell’acqua che scorre…è un fiume…due fiumi: il Dicle e il Firat. Essi circondano la terra sacra di Sanli Urfa, l’antica Ur dove nacque Abramo. Ora vedo Harran, la città dove egli passò parecchi anni della sua vita, vedo le sue abitazioni alveolari, le mura tutto intorno…Ora vedo un campo, delle capanne, molte capanne…in mezzo ad esse vedo una croce…Mio Dio! Mio Dio!-
Si mise ad urlare:
- Chi sei? Chi sei tu?- Poi fu presa da convulsioni tanto tremende da farla sbattere in terra. Gli amici la soccorsero, ma non riuscivano a fermarla. La ragazza si dimenava e continuava a gridare: - Chi sei? Chi sei?-. Poi straordinariamente, pur non masticando alcuna lingua straniera, lo ripeté in inglese: “ Who are you?”; in francese: “Qui es tu?”; in spagnolo: “Quien eres tú”; in tedesco: “Derjenige bist, du” ed in tante altre parlate ed idiomi del tutto sconosciuti, fino a quando non udì la voce di Mario che le chiedeva: - Sara, Sara, per l’amor di Dio, cosa ti è preso? -. Allora si ridestò, era tutta inzuppata di sudore, tanto da avere i capelli bagnati.
- Cosa hai visto? – chiese Rosetta, un’altra amica che aveva partecipato alla seduta spiritica.
- Non so…non ricordo…-
Mario: - Parlavi di sette Soli che si erano levati su un’immensa distesa di monti…-
Adolfo: - …Di due fiumi…-
Lorenzo: - Il Dicle e il Firat.[1] Sono due corsi d’acqua biblici che si trovano in Anatolia. –
Rosetta: Poi hai parlato di una croce in un accampamento…-.
Mario: - Bè, è passato tutto. Credo che si sia trattato di autosuggestione. Allora? Questo spirito non si è fatto sentire? Era in ferie? -. Rise di gusto, poi accarezzò Sara che, vistasi presa in giro, si spostò bruscamente.
Intanto Clara e Nino continuavano a pomiciare nel loro angolino. Improvvisamente la ragazza fu attratta da uno scintillio proveniente dalla croce in mano al fantoccio.
- Cosa è stato? – disse.
- Cosa? – rispose Nino.
- Non so…- fece Clara avvicinandosi al pupazzo per guardare meglio – Santo cielo! Vieni un po’ a vedere…-
Nino si avvicinò: - Cosa c’è? –
- Qualcosa che non avevo visto prima, quando siamo entrati…Guarda un po’ che membro enorme ha tra le gambe questo tipo appeso alla croce…E’ osceno! -
- Si, per essere enorme…è enorme! –
- Guarda…c’è una scritta, qui, lateralmente: “Ben sevmiyecegin asla insanler”…-.
- Boh? Per me è turco.-
- Infatti. Credo sia proprio turco. “Ben” è un pronome personale, mi pare che sia “io”…Poi c’è un verbo al futuro…un futuro negativo: “Non amerò”. “Asla” è una forma arcaica di avverbio. “Insan”: l’uomo, e “ler” è una desinenza al plurale…Ecco: “Io… non amerò…mai…gli uomini.”.
Poi, osservando ancora meglio, la ragazza notò che in alto, sulla croce, c’era inciso qualcos’altro. Si avvicinò ancora di più e lesse: - “IBLIS”…in arabo vuol dire “lapidato”. E’ il nome con cui gli islamici chiamano il demonio. Egli è fatto di fuoco ed ha rifiutato di prostrarsi davanti ad Adamo su ordine di Dio. Da allora odia in maniera implacabile il genere umano. – . Mentre Nino si allontanava per tornare dagli altri amici, Clara rimase ancora per qualche attimo a guardare il crocefisso. Fu allora che negli occhi del teschio di plastica, montato sul pupazzo, prese vita una particolare luce rossa che si accese per qualche istante irradiandosi nell’intera cavità delle orbite. La ragazza fu attratta dallo strano bagliore, ed allorché alzò lo sguardo, una piccola, abbagliante sfera partì come una saetta dalla bocca del teschio ed andò ad infilarsi in quella sua. Come trafitta da una frecciata, indietreggiò e rimase frastornata per qualche attimo, poi si riprese e con passo incerto raggiunse anch’ella gli altri amici, ma quando fu loro da presso, improvvisamente, si spogliò. Eseguì l’azione con occhi di fuoco che proiettavano tutto intorno lussuria e libidine. Prima Nino, poi Tullio, cercarono di fermarla, ma furono dissuasi dalle sue maniere divenute tutto a un tratto violente, animalesche. Così la ragazza proseguì nella sua voluttuosa azione tra lo sbigottimento di tutti, finché, strappandosi ad uno ad uno i vestiti da dosso, non rimase completamente nuda. Fu allora che Sara intervenne decisamente, l’avvolse nel suo stesso cappottino e, nonostante una fiera opposizione, la trascinò via.
Qualche giorno prima del suo cinquantacinquesimo compleanno che cadeva sul finire di aprile, mio cugino mi scrisse una lettera:
“Caro cugino,
qui a Villa Santa Lucia il mese di aprile è stato mite e generoso. D’intorno è tutto un fiorire di papaveri; ce ne sono tanti ai lati della strada che porta al borgo, che questa, pare, si distenda in un lago di rubini.
Da qualche tempo, però, si stanno verificando nella mia casa, o meglio, nella mia cantina episodi che in apparenza sembrano non avere nulla di straordinario, ma che comunque sono così insoliti da insinuare in ognuno di noi una certa inquietudine. Sempre più di frequente dabbasso giungono dei bagliori, dei lampi intermittenti ora più intensi, ora meno. Naturalmente più volte sono sceso personalmente per capire l’origine del fenomeno, ma, per quanto abbia cercato, non sono riuscito a darmene una spiegazione plausibile.
Tutto è cominciato qualche mese fa, quando i ragazzi decisero di celebrare la festa di Halloween proprio giù in cantina Avevano addobbato tutto l’ambiente in modo particolare, con fantasmi, catene, serpentelli finti ed enormi ragni di gomma. Nell’anfratto più buio e profondo avevano sistemato un fantoccio, una sorta di macabro simbolo mortifero. In mano ad esso avevano messo uno strano oggetto che, tempo prima, io stesso avevo rinvenuto ai margini della strada che porta su alle rovine del castello romano. Ebbene, il giorno dopo la festa, i miei figli tolsero tutto quell’apparato scenografico, meno il fantoccio che rimase lì a guardia di una profonda oscurità nella quale solo l’oggetto che stringeva in mano emanava un riflesso di luce della quale non riuscivo a capirne la provenienza. Ebbene, cugino mio, ti giuro che per quante volte ognuno di noi abbia tentato di smantellare quell’orribile figura, è sempre stato respinto da una forza oscura che sembra proteggerla, sembra renderla inavvicinabile. Ti parrà strano che proprio io, incallito miscredente, ti scriva di tali soprannaturali cose, eppure ti assicuro che purtroppo è proprio così.”
La giovane Clara morì qualche tempo dopo a causa di un male misterioso che neanche i medici seppero spiegarsi. La faccenda fu raccontata a mio cugino da Sara.
Dal giorno dello spogliarello la giovane non era più stata la stessa: da socievole ed affabile qual’era, divenne nervosa e scontrosa; il suo modo di vestire sobrio e di buon gusto, si trasformò un enfatico e volgare. Per imprecisati motivi troncò la relazione con Nino e da allora passò da un uomo all’altro, da un letto all’altro, priva di ogni personalità, palesando esclusivamente un’insaziabile sete di sesso, di libidine, di oscenità. Pian piano, poi, entrò in un tale stato di prostrazione e misantropismo da scomparire dalla circolazione e rinchiudersi in casa, nella sua stanza, rifiutando sistematicamente il cibo e non permettendo l’accesso a nessuno.
Sara andò un giorno a trovarla. – Non so se aprirà …- disse sconsolata la madre – Non vuole vedere nessuno…-. Bussò alla porta della stanza della figlia: - Clara…Clara c’è la tua amica Sara…E’ venuta a farti visita…-. Dall’altra parte nessuno rispose, allora Sara avvicinò la sua bocca alla porta e disse: - Clara, sono Sara…Vorrei solo sapere come stai? Credo che faccia bene ad entrambe vederci…- Per tutta risposta si udì la voce di Clara stridula e gracchiante: - Va via, troia! Lui è forte! Lo sai che mi fa vedere un mondo diverso? –
- Ma cosa dici? – fece Sara
- Dico che la mia mente si è schiarita…I miei occhi vedono oltre il ragionevole…Via, via troia! Quando ne avrò bisogno prenderò anche te! Anzi, no! Vuoi vedermi? Ebbene sia! Entra pure, la porta è aperta…-
Allorché Sara entrò nella stanza, vide che tutto intorno vi regnava un indicibile disordine: libri e carte erano sparsi in terra, gli abiti erano abbandonati alla rinfusa un po’ qua, un po’ là, le mura erano in più punti imbrattati dalla scritta: “Iblis”.
Clara era seduta in terra ed indossava solo un paio di mutande; capelli arruffati, magrissima. Le dava le spalle, come se non volesse essere vista in volto.
- Clara…- disse Sara – Ma che cosa ti è successo? -
La ragazza cominciò a sogghignare ripetutamente, sempre senza voltarsi, poi, smise, si contorse per qualche istante, come presa da un improvviso dolore. Poi si calmò e con un filo di voce rispose: - Ho…perduto…la mia anima…- Si girò, il suo viso era pallido, scarno, gli occhi rossi e lacrimosi: - Lui ora e lì, sotto il letto. Deve essere stato il tuo Angelo a mandarlo via, ma tra poco tornerà, la sua mano ossuta e viscida spunterà dall’ombra e mi prenderà di nuovo. Va via, amica mia, ti prego…-
- Ma, chi è lui? – chiese Sara.
- Lui mi prende con la sua dolcezza bestiale, con la sua soave lussuria, con il suo fascino malefico. Abusa del mio corpo ogni notte, anche di giorno e io…io godo, sai? Lui ha scolpito in me la bellezza in assoluto, ha cancellato il peccato dalla mia memoria, mi ha reso libera! Guardami quanto sono bella! -.
Si alzò per mostrarsi, ma la sua bellezza, la sua giovinezza, sembravano, in realtà, essere state rosicchiate da un animale vorace. Non c’era più armonia nel suo corpo, ma solo essenza di dannazione!
Morì qualche mese dopo la visita di Sara. Il medico di famiglia non seppe farsene una ragione: parlò di uno strano senso di autodistruzione, uno stato di auto-annientamento fisico e spirituale tipico di chi è dedito alla droga.
Il giorno del funerale Nino volle baciare per l’ultima volta la sua ragazza. Così, alla presenza di tutti gli amici, avvicinò le sue labbra calde a quelle gelide e cerulee di Clara e nell’attimo in cui le toccò, ecco che una piccola sfera di colore rosa uscì repentinamente dalla bocca della ragazza e si andò ad infilare in quella del giovane senza che questi nemmeno se ne accorgesse. Sara fu l’unica a notare lo strano fenomeno, così, incuriosita e preoccupata, si avvicinò anch’ella al cadavere e lo toccò lentamente con la mano destra. Fu allora che ebbe una visione: Vide Clara aprire gli occhi e levarsi seduta nella bara. La sua testa fece un giro di trecentosessanta gradi, prima di fermarsi e pronunciare il nome: “Iblis”! Poi la visione, di colpo, cessò, e Sara si ritrovò con l’indice sulla bocca della sua amica. L’accarezzò le labbra e disse sottovoce: - Come hai potuto, Signore, permettere questo? Dove sei ora povero Angelo mio? –
Dal giorno del funerale anche Nino ebbe un brusco cambiamento. Preso dallo sconforto per la morte della sua ragazza, ebbe una reazione psicologica veramente particolare: cominciò ad iperalimentarsi, tanto che in breve tempo il suo tessuto adiposo sottocutaneo e quello viscerale aumentarono eccessivamente da determinare in lui delle alterazioni genetiche e metaboliche che ne modificarono l’intera composizione corporea, facendolo diventare una tale massa di grasso che stentava perfino a camminare.
Una sera si trovava a transitare con la sua auto per una strada che di lì a poco si sarebbe incrociata con un passaggio a livello incustodito. Improvvisamente il motore della macchina si spense di colpo, senza alcuna causa, e l’auto avanzò per forza d'inerzia ancora per qualche metro, andandosi poi a fermare proprio sui binari. Nino, allora, tentò ripetutamente di riavviare il motore, ma invano. Improvvisamente udì la tromba del treno e vide le luci minacciose dei suoi fari che si avvicinavano rapidamente. Non gli rimaneva altro da fare che fuggire via dall’auto, ma quando andò per sganciare la cintura di sicurezza, questa era bloccata. Rimase, senza fiato, col cuore che gli batteva in gola e la bocca spalancata a guardare la morte che giungeva rapida con occhi abbaglianti dal buio profondo. Fu allora che in un estremo ed istintivo tentativo cercò di liberarsi dalla stretta della cintura, ma era troppo grasso, i suoi movimenti troppo lenti ed impacciati, ed in uno schianto tremendo, con un assordante stridio di ferraglie, perse la vita.
Al funerale, suo fratello Luca raccontò a Sara:
- Negli ultimi tempi non faceva altro che starsene seduto nella sua stanza, senza mai uscire. Vi consumava dentro anche i pasti…e che pasti! Non chiedeva altro che cibo, e cibo…e ancora cibo. Non era certo un belvedere la sua stanza. Era sporca, piena di rimanenze di pietanze, con mobili e pareti unti di grasso, di salsa, maionese, senape o che altro. Diceva che era il demonio ad ordinargli di mangiare sempre e che lui non aveva la forza di opporvisi. Una notte mi raccontò che il demonio uscì da sotto il suo letto e gli portò un vassoio stracolmo di vivande di ogni tipo, prelibatezze mai assaggiate prima e vini di qualità mai assaggiata. “Lui sta svezzando il mio spirito al piacere del corpo”, mi disse.
- E ti ha mai descritto questo demone? – chiese Sara.
- Si, una volta mi spiegò che si trattava di un uomo enorme, calvo, completamente nudo. Aveva le stimmate alle mani ed ai piedi.-.
Una notte mio cugino fu svegliato dall’abbaiare del suo cane Dick, e vide che i bagliori provenienti dalla cantina erano più intensi del solito, così decise di scendere per darvi un’occhiata. Per la verità aveva paura, ma non osò svegliare né la moglie, né i figli. Uscì in giardino, dove il cane, legato alla catena, sembrava puntare decisamente, con le orecchie drizzate, verso il cancello del seminterrato. Guardingamente, scese i pochi scalini che portavano nello scantinato stesso. I bagliori provenivano dall’anfratto dove era stato collocato l’orribile pupazzo. Si trattava in realtà di un ulteriore cantinato nel quale si accedeva scendendo altri cinque scalini.
Mio cugino cercò di accendere la luce pigiando più volte sull’interruttore, ma qualcosa non funzionava, fatto sta che rimase al buio. Osservò, allora, che il fantoccio era completamente illuminato da una luce bianca, spettrale, più intensa intorno al crocefisso che stringeva nella sua mano di ferro. Ad un tratto la testa si mosse, la mascella si spalancò, lo strano essere sulla croce si animò e vi si staccò. Quando fu in terra cominciò ad ingrandirsi sempre di più, fino a raggiungere un’altezza innaturale di ben oltre due metri e mezzo. Mio cugino rimase paralizzato dalla paura, mentre fuori il cane ora latrava ferocemente. Il gigante di rame, rimasto fermo al centro dell’anfratto, lentamente alzò la testa calva e lucida come una palla di bigliardo, mentre dai suoi occhi s’irradiò una luce accecante. Ancora più lentamente si mosse verso mio cugino, gli si parò davanti, aprì la bocca e lasciò uscire una sfera di luce bianchissima che si andò ad infilare nel cavo orale del mio parente che, prima strabuzzò gli occhi, poi, preso da un’irrefrenabile tremore, perse i sensi e cadde in terra come un sacco di patate.
Il mattino dopo si svegliò nel proprio letto e in un primo momento credette di aver sognato tutto, ma quando vide che il suo pigiama era in gran parte sporco di terra, si alzò di colpo, scese in cantina e, con sua grande meraviglia notò che quell’uomo che era inchiodato sulla croce di rame era scomparso. Allorchè tornò in casa fu assalito da uno strano malessere. Da allora cominciò a trascinarsi stancamente, diventò di colpo apatico ed inerte, indifferente a tutto quanto gli accadeva intorno, in preda ad una specie di forte torpore che gli impediva di fare qualsiasi cosa. Cominciò, allora, ad assentarsi dal lavoro per lunghi periodi che trascorreva inerte su una poltrona davanti al televisore.
Un giorno Sara si recò a fargli visita e cercò invano di intavolare con lui un qualsivoglia discorso. Prima di andar via, chiese a Mario: - Da quando è così? –
- Con precisione non ricordo…Qualche settimana fa, una mattina si è svegliato tutto sporco di terra ed ha raccontato di essere vittima dell’uomo del crocefisso…-
- L’uomo del crocefisso? –
- Si, quel tale inchiodato sottosopra su quella croce che lui stesso trovò tempo fa e che adesso è scomparsa…-
- Scomparsa? –
- Si, la mettemmo in mano al fantoccio, ma non c’è più. Non si sa dove sia finita…-
- Tuo padre sembra non avere più alcun impulso di fondo che dia significato alla sua vita. Il vero senso dell’esistenza dovrebbe essere Dio, ma sembra che lui lo respinga a vantaggio del “nulla”, dell’indifferenza. Egli è preda di una strana ignavia, di una totale freddezza di spirito, di morte interiore.-.
La ragazza volle poi scendere in cantina a vedere. Così, accompagnata dal giovane, si portò al cospetto del fantoccio. Il teschio aveva la mascella abbassata, come se ridesse, e le dita della mano dove c’era il crocefisso, sembravano artigli di ferro pronti a ghermire chiunque vi si avvicinasse.
- Ha mai detto nulla di strano tuo padre, che so…qualcosa…un nome?-.
- Un nome? Che io sappia…ma, si! Mia madre dice che spesso parla nel sonno e pronuncia quel nome che c’era scritto proprio sulla croce…-.
-Iblis? –
- Iblis, certo! -
I due giovani, non si avvidero che la mano del manichino si animò e lentamente il suo braccio si alzò.
- Dobbiamo sapere qualcosa di più circa quel maledetto feticcio…- disse Sara. I due si avviarono su per le scale, proprio nel momento in cui il braccio del terribile pupazzo si abbassò con un tremendo fendente che li avrebbe certamente colpiti se proprio in quell’istante, senza neanche accorgersene, non si fossero spostati.
- Come mai quel coso è ancora lì? – chiese la ragazza, allorché furono fuori in giardino.
- Non lo so. Ogni volta che abbiamo provato a rimuoverlo, siamo stati come dissuasi da una forza mentale oscura, ostile…-.
- Andiamo su al castello.- propose Sara.
- Quando? –
- Ora!-
- A far cosa? –
- A cercare qualcosa che neanche so cosa sia…-
Si misero in macchina e si diressero verso le antiche rovine. Vi giunsero che ormai già calavano le prime ombre della sera. Il silenzio era rotto solo dal trillo dei grilli e dai versi dei gufi e delle civette appollaiate sugli alberi, dietro i rami dei quali già trionfava, ormai, una linfatica luna. Un leggero venticello muoveva appena le fronde, carezzava i radi cespugli, ed andava poi a lamentarsi sommessamente tra le rovine. Erano, queste, un ammasso di pietre poste l’una sull’altra che, girando tutto intorno, delineavano quello che una volta era il perimetro del castello. La stradetta finiva proprio all’imbocco della costruzione, tra un mezzo arco diroccato ed una colonna spezzata, il cui capitello giaceva in terra ai suoi piedi. All’interno del muro di cinta c’era un’altra costruzione, una rocca nella quale si aprivano diverse feritoie. Sul suo ingresso, stretto e tetroso, si leggeva a malapena una scritta in latino: “ NUNDINAE”.
La dicitura faceva riferimento ai mercati settimanali che i Romani erano soliti tenere in alcuni centri più o meno affollati e nei quali confluivano genti e merci provenienti un po’ dappertutto.
I due giovani pensarono anche di addentrarsi in questa sgarrupata conocchia, ma, considerando il buio incombente, non avendo neanche con che farsi luce, rimandarono l’esplorazione. La luna, il silenzio che regnava, quasi soave, tutto intorno, la leggera gioia del vento che trascorreva tra le tremule foglie dei pioppi, le stelle che via via si aprivano in cielo, crearono un’atmosfera magica e romantica che li indusse in un temporaneo oblio e li spinse l’una tra le braccia dell’altro. Così, con gli occhi che brillavano come quegli astri spuntati in cielo, si baciarono a lungo senza avvedersi che, all’interno del fortilizio, spuntarono altri due occhi, luminosi come quelli di un malvagio, gigantesco felino, che li seguirono in tutto il loro fare.
Intanto in casa, mio cugino, come ormai accadeva da tempo, era seduto davanti al televisore acceso, con lo sguardo perduto nel nulla. Improvvisamente, però, si ridestò e la sua attenzione fu attirata proprio dalle immagini televisive. Esse mostravano in lontananza le mura della città di Harran, poi lo schermo si spostava fino a fermarsi, molto più in là, su un vasto accampamento brulicante di gente che inveiva minacciosa contro qualcuno che era stato inchiodato sottosopra ad una croce nel bel mezzo dell’attendamento. Una lenta zoomata gli permise di vedere bene le fattezze del condannato: si trattava dell’uomo di rame da lui rinvenuto e poi misteriosamente scomparso. Costui smaniava sul patibolo per l’immenso dolore, gridava a squarciagola tutta la sua sofferenza, poi anch’egli inveiva contro coloro che lo circondavano e li minacciava con parole che sembravano ruggiti di belva ferita. Ad un certo punto cominciò ad agitarsi, tanto da staccarsi dalla croce, si avventò sugli astanti, li fece tutti a pezzi e divorò la loro carne, e quando ebbe finito alzò lo sguardo verso mio cugino ed, inconcepibilmente, uscì dal televisore ed entrò nella sua stanza, l’attraversò e si diresse in cucina dove c’era Anna, la moglie. Salvatore (mio cugino), con uno sforzo immane, si sollevò dalla sedia e si trascinò verso la porta, ma non fece in tempo a giungervi che un urlo terribile, proveniente proprio dalla cucina, gli paralizzò le gambe costringendolo a sorreggersi a malapena ad un mobile accostato ad una parete. Qualche istante dopo, proprio la moglie entrò nella stanza portando una tazza di tè, come se nulla fosse accaduto.
Mio cugino la seguì con lo sguardo, poi le chiese: - Che…che cosa…ti ha…fatto?-.
Anna poggiò la tazza di tè sul tavolo e, rivolta al marito con modi insoliti e truci, disse: - Bevi, pezzo di merda che non sei altro!-. Poi gli si avvicinò e gli rifilò un sonoro ceffone, aggiungendo: - Questa tazza deve bastarti per tutta la settimana. Non ho soldi da spendere, io, per un fannullone che non fa altro che starsene chiuso in casa col naso per l’aria! -.
Da quella sera, quasi per incanto, la donna subì un radicale cambiamento del carattere: da dolce e mansueta qual’era, divenne acida e manesca. Fu invasa da un irrefrenabile desiderio di possedere, tanto intenso, da essere posseduta da quest’ultimo lei stessa. Anche il suo corpo subì una sostanziale mutazione: s’invecchiò precocemente, i capelli diventarono completamente bianchi, sulla pelle del suo viso sembrava esser passato un ferro da stiro tanto era rossa e tesa. E gli occhi? Oh, i suoi occhi! I suoi occhi che da sempre erano stati nido di dolcezza, riparo agli affanni quotidiani, simbolo d’amore, di tolleranza, di comprensione, divennero alveo di disgusto, emblema d’odio. I figli giurarono di aver intravisto tra le labbra della madre una sfera luminosa di colore giallo che emanava una luce intensa ogni volta che la donna apriva la bocca.
Da allora,Anna non solo non aiutò più il marito, caduto in quella specie di stato ipnotico dal quale nessun medico e nessuna medicina riuscivano più a tirarlo fuori, ma addirittura prese a maltrattarlo col dire e col fare, tanto che una volta lo ferì.
Accadde una mattina che erano soli in casa. Lei si era già alzata da tempo, non già per svolgere i lavori di casa come una volta era solita fare, ma per contare e ricontare, neanche le aumentassero in mano, dei soldi che aveva conservato in un cassetto del suo comodino.
- Diminuiscono! Merda strega! Per quante volte li conti diminuiscono ogni giorno! -. Poi, rivolta al marito che ancora dormiva: - E questo sai perché? Perché una scarda di sterco come te non ha più voglia di lavorare! Ti farai licenziare! Su, alzati e va a lavorare! Portami i soldi! E se non vuoi lavorare, va a rubare! Non me ne frega un fico secco!- Detto questo, tirò via le coperte da dosso al marito e cominciò a scuoterlo ed a picchiarlo, fino a quando questi, con gli occhi sbarrati, cominciò a gridare: - Iblis…Iblis…Iblis…-. Fu allora che la donna afferrò un paio di forbici e con un terribile fendente gliele conficcò in un braccio. Poi, presa da un’irrefrenabile frenesia, si mise a danzare goffamente girando più volte su se stessa e pronunciando frasi sconnesse ed incomprensibili.
Dopo questo episodio, i figli, a turno, furono costretti a sorvegliare i propri genitori affinché questi non commettessero altre pazzie. Sicuri che la normale medicina nulla avrebbe potuto contro il male che aveva preso il padre e la madre, essi stabilirono di proporre il caso a fra' Paolo, un monaco dell’abbazia di Montecassino. Era costui un esperto teologo che in passato aveva già avuto a che fare con episodi di possessione demoniaca. Egli li ascoltò con molta attenzione ed alla fine decise di recarsi personalmente a casa loro. Quando vi giunse, insieme ai tre fratelli, era presente anche Sara, mentre mio cugino con la moglie erano chiusi nella loro stanza da letto. Il frate si fermò sulla soglia di casa, e, prima di entrarvi, avvertì sensibilmente la pesante atmosfera di quel luogo. I tre fratelli ripeterono al frate il succedersi degli avvenimenti e gli riferirono più dettagliatamente del manichino e del crocefisso. Infine gli dissero cosa era accaduto a Clara e a Nino.
- Quando il cuore dell’uomo – disse il frate – è in sé confuso e turbato, e l’anima ha perduto il conforto di Dio, allora egli cerca un vano sollievo nei beni di questo mondo. Da ciò che mi raccontate, sembrerebbe che nei vostri genitori si siano annidati due tra i più gravi peccati capitali: l’avarizia e l’accidia. La prima è il più devastante dei mali per l’abietto mercimonio che si fa di sé stessi in cambio del potere. La seconda è la morte dello spirito…”Io conosco le tue opere, che tu non sei né freddo né caldo”, disse Giovanni al tempo in cui la chiesa di Laodicea[2] era caduta in un fango di torpore spirituale, di lassismo e di letargo. Anche i vostri due poveri amici sembrano essere stati vittima di qualcosa che ha a che vedere con i sette peccati capitali: la lussuria e la gola. Sono tutti peccati del possedere, e la pena del possedere è il perdere. Tutto questo è idolatria! Tutto questo è certamente opera del demonio! -.
Poi il frate chiese di vedere Salvatore ed Anna. Mario bussò alla porta che era chiusa, ma non a chiave ( i tre fratelli per precauzione avevano provveduto a togliere tutte le chiavi dalle porte di casa). Dall’interno nessuno rispose, così il giovane si decise ad aprire. La scena che si parò davanti agli occhi di tutti fu a dir poco grottesca. Mio cugino Salvatore era seduto su una sedia, legato e imbavagliato, mentre sua moglie, con la testa quasi infilata in un cassetto del comodino, contava dei soldi: - Chi è? Chi sei? – chiese al frate girandosi di scatto come una belva ferita.
Mario si diresse immediatamente verso il padre per liberarlo, ma fu fermato dalla madre che lo afferrò per entrambi i bracci.
- Fermati, tu, miserabile mortale, frutto dello sperma di Adamo! – sbraitò la donna con voce esageratamente alterata e schiumando rabbia. – Tu ora sei mio! Aggiunse, e ciò detto aprì la bocca e ne lasciò uscire una sfera che irradiava una strana luce nera. L’oggetto, come una saetta, s’infilò nella bocca di Mario che sbalzò via violentemente, andò a schiantarsi con la schiena su una parete e perse i sensi. Fu a questo punto che il frate mise mano alla croce che pendeva dal suo cordone e mostrandola ad Anna gridò: -VADE RETRO SATANA!-.
Costei, in un primo momento, rimase impietrita davanti al sacro simbolo, poi si rannicchiò su se stessa, sghignazzò più volte pronunciando parole incomprensibili e si rimpicciolì tanto da potersi facilmente rifugiare sotto il suo stesso letto. Salvatore, che durante tutta la scena non aveva pronunciato parola e sembrava essere divenuto ormai un vegetale, fu liberato da Adolfo, mentre Lorenzo aiutò Sara a soccorrere Mario.
Quando parve che tutto si fosse calmato, il frate chiese di andare in cantina per vedere il pupazzo. Vi giunse, accompagnato da Adolfo e Lorenzo
- Sembra che non ci sia nulla di strano se non l’evidente gusto per l’orrido – disse passeggiandovi intorno per osservare meglio, ma, quando andò per allungare una mano verso il teschio sul manichino, improvvisamente, il braccio di quest’ultimo si animò e la falce che stringeva in mano si abbassò con un terribile fendente che lo colpì di striscio al petto, gli recise il saio e gli procurò una vasta ferita.
- Mio Dio! – gridò il frate indietreggiando e cadendo in terra. I due fratelli lo soccorsero subito e lo trascinarono, su per i gradini, fuori in giardino.
Al grido del monaco accorse anche Sara, che aveva momentaneamente lasciato Mario sul suo letto.
- Cosa succede ancora? – chiese la ragazza.
- Signore Onnipotente – gridò fra’ Paolo – Salvaci da Satana! Egli è qui, in questa casa! – poi, cercando di dominarsi, raccontò: - Quando Israele cominciò a conquistare la terra promessa, riportò una grande vittoria su Gerico: Tutti si eccitarono e si diressero verso la città di “Ai” un po’ troppo fiduciosi in se stessi. Ne seguì una sconfitta con molti morti e feriti. La popolazione di “Ai” era riuscita e respingerli. Allora il generale Giosuè si gettò con il viso a terra confuso e spaventato e chiese al Signore: “Dove? Dove abbiamo sbagliato mio Dio? “. Ed il Signore gli rispose che tra la sua gente ce n’era uno scellerato che aveva accettato le lusinghe di Satana. Egli aveva disubbidito al suo comando depredando Gerico ed appropriandosi del bottino.
Giosuè cercò il responsabile tribù dopo tribù, clan dopo clan, famiglia dopo famiglia, finché identificò Akan, un anatolico proveniente dalla città di Harran. Allorché Giosuè gli chiese perché avesse fatto una tal cosa, Akan rispose: “ Ho peccato contro il Dio d’Israele, il demonio immondo ha tentato il mio spirito, e la mia mente ha ceduto quando ho visto sicli d’argento e lingotti d’oro che ho desiderato grandemente.”.
Quell’uomo, un gigante dalla testa rasata, aveva venduto l’anima al diavolo per i beni di questo mondo! Per questo fu condannato da Giosuè a patire sulla croce appeso a testa in giù e poi ad essere bruciato. Quando le fiamme iniziarono a martoriare la sua carne, il demonio si palesò nel corpo di Akan, maledicendo tutti gli uomini con la frase: “ BEN SEVMYECEGIN ASLA INSANLER”, che sta a significare: “Non amerò mai gli uomini”, che, di per se stessa sembra non contenere alcuna minaccia, ma che in realtà sta a significare che farà in modo che non ci sia mai amore fra il genere umano, che ogni essere rimanga, quindi, solo con sé stesso, senza alcun conforto, senza alcun aiuto. E quando un uomo resta solo, abbandonato da tutti, allora il diavolo cerca di mandar via anche il suo angelo custode, e quando vi riesce, quell’uomo sarà per sempre suo, morto nel corpo e nello spirito. La frase è proprio quella che mi avete riferito essere incisa in un lato dell’oggetto di rame ritrovato da vostro padre. Mi avete anche parlato di una seduta spiritica…Miseri voi! A vostra insaputa avete evocato l’anima maledetta di Akan, capite? Satana in persona!
Improvvisamente uscì di casa Mario, sembrava sconvolto. Diede un rapido sguardo al gruppetto, poi gridò gonfio d’ira: - Via! Via quel frate da casa mia! -.
Più volte Sara aveva avuto prova della propria veggenza. Ella, era dotata di notevole sensibilità, di una forma di apertura verso l’oltre, grazie alla quale poteva ricevere da entità ultraterrene segnali, elementi ed immagini da analizzare ed interpretare. Faceva sogni premonitori che andavano al di là della naturale percezione e della medianità in generale. Aveva una speciale capacità di penetrazione fisica nei confronti della realtà assoluta, una singolare facoltà di stabilire un contatto diretto con la dimensione astrale dove risiedono entità alle quali si può chiedere aiuto.
Per questo la ragazza si avvide subito del repentino cambiamento del suo fidanzato e dedusse che anch’egli, come il padre, la madre, Clara e Nino, era vittima del diavolo. Così insieme a fra’ Paolo, che era ormai al corrente delle sue doti medianiche, decise di recarsi al castello e dare un’occhiata all’interno della rocca.
Una domenica mattina, provvisti di torce elettriche, cominciarono l’esplorazione delle rovine. Quella stessa mattina, Mario, palesando notevoli segni di nevrastenia, andava avanti e indietro per la sua casa, tra la madre, intenta a contare ora soldi, ora ceci, ora lenticchie e fagioli, e il padre che, seduto su una sedia al centro della stanza, non faceva altro che ripetere: - Iblis…Iblis…Iblis…- Il giovane era oppresso da una strana ansia, che riusciva a scaricare solo attraverso la collera, per cui spostava con calci e pugni tutto quanto gli capitava a tiro. Il suo aspetto era stressato, il suo volto impaurito. Il demonio era riuscito a togliergli l’amore, la disciplina, la consapevolezza di Dio. Perciò, egli, era preda dell’irritabilità e dell’ ira, che sfociavano nella manifestazione di modi violenti e di un linguaggio dai toni sempre esaltati.
Ad un certo punto si fermò di scatto, drizzò l’orecchio, come se un essere invisibile gli stesse sussurrando qualcosa. Allorché, misteriosamente, venne a sapere che Sara era al castello in compagnia del monaco, cominciò a gridare come un pazzo con una voce terribile, non sua: - Ah, la sgualdrina! E lì col "baciasanti" per farmi del male! Per colpirmi! Per annientarmi! – Velocemente uscì di casa e si avviò in automobile verso l’antico maniero.
Sara e fra’ Paolo, intanto, avevano cominciato l’esplorazione della rocca, all’interno della quale si erano inoltrati facendosi luce con le loro torce elettriche.
L’antro era profondo e l’eco ingigantiva le loro voci e il rumore dei loro passi. I due s’inoltrarono fino in fondo, ma, eccetto un branco di topi che gli sgusciarono schifosamente tra i piedi, non videro altro. Durante il viaggio di ritorno, però, notarono che una parete era costituita da grandi blocchi di pietra posti l’uno sull’altro, e uno di questi blocchi era notevolmente rientrato rispetto agli altri. Pensarono, allora, che in quel punto vi fosse un passaggio segreto. Così, facendo forza insieme, riuscirono a spostare il masso ed aprirono un varco attraverso il quale, non senza titubanza, passarono.
Appena furono dall’altra parte, rischiararono l’ambiente con le loro torce elettriche ed illuminarono una sorta di altare costituito da roccia vulcanica e da marmo nero. Su di esso erano collocate sette sfere, ognuna di diverso colore: rosso, rosa, bianco, giallo, nero, blu, celeste. Improvvisamente le prime cinque cominciarono ad illuminarsi, ed all’interno della luce da esse irradiata, si formarono le evanescenti immagini di Clara, Nino, mio cugino Salvatore, sua moglie Anna e mio nipote Mario, davanti alle quali il frate e Sara rimasero letteralmente sbalorditi.
- Ecco! Ecco il nido di Satana! – esclamò fra’ Paolo – Ecco l’ ”ARA INPHERNALIS” di cui scrisse l’Evangelista Giovanni nell’Apocalisse. L’ “Ara Inphernalis” occultata dalle forze del male proprio in Harran, la città di Abramo. Questo luogo, da sempre consacrato al peccato con mercimonio di spirito e di corpo è, dunque, il covo del demonio! Ed ecco i simboli del suo potere…- indicò le sfere luminose – Gli emblemi dei sette peccati capitali, le sfere che non hanno inizio, né fine, ed i loro colori che le identificano: di rosso è tinta la lussuria, di rosa la gola, di bianco l’accidia, il giallo è il colore dell’avarizia, il nero dell’ira, il blu dell’invidia, ed, infine, il celeste è il colore della superbia. Con questo esercito Satana è pronto ad invadere il mondo degli uomini! – Si avvicinò proprio a quell’ultima sfera ed, improvvisamente, una saetta celeste parti da questa e gli si infilò in bocca. Tutto a un tratto i suoi occhi diventarono vitrei e cattivi, la faccia gli si abbruttì in un ghigno malefico. Vacillò per qualche istante, poi, alzando le mani al cielo, gridò: - Io! Io! Io sono il migliore dei frati di tutto il mondo! Niuno est degno me mentovare![3]-. Vacillò ancora, poi per qualche istante la sua forte personalità ebbe la meglio sul maleficio. Fu allora che cominciò a pregare: -Oh Signore, quanto sono debole io, povero uomo! Quale pericolo è questo per la mia fede? Quale minaccia per l’amore che ti porto? Non indurmi in tentazione, Signore, ma liberami dal male…Nessuno, quando è tentato dica: “Sono tentato da Dio, perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male!” Oh, Padre Eterno, perché, allora, vuoi allontanarmi dal tuo cuore? (Cadde in ginocchio) Non lasciare, Signore, che io sia suo! Ricordati del cammino che mi hai fatto intraprendere per mettermi alla prova. E’ questa, dunque, la prova estrema del mio amore e della mia fede?-. Si alzò, si scagliò violentemente con la testa contro una parete e, tra lo sconcerto di Sara, si uccise. La settima sfera, prima irradiò nella sua luce celeste l’immagine del frate, poi, quando questa si dissolse, si spense.
- Proprio in quell’istante Mario, con gli occhi rossi e la bocca schiumosa, fece irruzione nella segreta e, stravolto e gonfio d’ira, prese Sara per un braccio e le urlò: - Cosa vuoi farmi, puttana? Cosa sei venuta a fare qua? –
- Ma…Mario! Dio mio! – balbettò Sara – Sono qui per il tuo bene…per sapere…-
- Ed allora saprai, maledetta meretrice! – urlò ancora il giovane. La trascinò presso la sfera di colore blu e, tenendola per i capelli, la costrinse ad accostarvi la testa.
- Guarda!- le disse – Lì dentro c’è il mondo con i suoi piaceri, le sue vanità, con il denaro, con il possesso…con l’onnipotenza! Perché rinunciarci? Perché dire no al concreto nell’idolatrare un dio invisibile? “Carpe diem”, Sara! Ora o mai più!-
E, quando anche da quella sfera partì una saetta blu che andò ad infilarsi tra le labbra della donna, Mario disse trionfante: - Ecco, femmina, ora sei parte di questo mondo! -. La liberò dalla stretta e se ne andò lasciandola sola in quell’antro con le sfere ed il corpo del frate in terra.
Da quel giorno il carattere della donna subì, prima un innaturale regresso, nel quale, poi, si sviluppò un’altra personalità più forte e potente di quella che ella aveva sempre avuto. Oltre alla sua immediata coscienza, sorse in lei un secondo sistema psichico determinato da forme preesistenti che andavano oltre quei limiti razionali che l’ ”io” non riferisce a se stesso, ma che sperimenta nell’ambito della personalità come qualcosa di estraneo alla propria facoltà di decisione.
Sara, il cui motto di vita era sempre stato “Vivi e lascia vivere”, cominciò a provare un’invidia tanto sfrenata per tutti coloro che conosceva, da arrivarne a desiderare la morte.
Qualche giorno dopo quella domenica mattina, incontrò Rosetta con Tullio che se ne andavano bel belli a passeggio per un viottolo di campagna. Tale fu la sua collera nell’intuire la felicità dei due giovani che, intanto, si erano messi insieme, che si sentì male.
- Ah, ma che bei colombi! Vi siete messi insieme? – disse affrontandoli con le mani sui fianchi.
- Sara! – esclamò Rosetta – E’ un po’ che non ti si vedeva…-
- E già. Tu ora non vedi altro che il tuo ragazzo...-.
- Abbiamo scoperto di star bene insieme…-
- Bella coppia! Mi fate schifo!!!- gridò Sara, e scappò via, e quando fu lontana da costoro, lo stomaco si strinse fino a dolerle ed, addirittura, vomitò bile.
La sera stessa, spinta da irrefrenabile invidia, un pensiero perfido e tremendo le invase la mente a causa di un’insana gelosia per il benessere della sua amica che le rodeva dentro. Rosetta non poteva essere felice, non doveva! L’idea di sopprimerla le accarezzò l’animo.
Per questo si armò di coltello e si appostò nell’ombra nei pressi della casa della sua amica, e quando la vide arrivare si preparò a sferrare il colpo. Era decisa a stroncare la vita della ragazza e la felicità di Tullio tutto in una volta.
I passi di Rosetta si avvicinavano all’anfratto nel quale si era nascosta. Nessun altro passava, e nella via, dove appena spirava un leggero venticello che portava via i petali dai fiori, regnava il silenzio assoluto.
Il rumore dei passi di Rosetta aumentò di intensità, divennero più rumorosi e veloci, poi, d’un tratto, si fecero felpati e cadenzati. Quando furono ormai vicinissimi, Sara uscì dal suo tetro nascondiglio e levò il coltello in aria, ma si trovò di fronte all’evanescente figura di suo padre. Dopo un primo istante di sorpresa, in lei prevalse la sua vera personalità:
- Papà?...- disse – Oh, mio spirito guida! Cosa devo fare? Come posso sconfiggere questo demonio che ci divora? -
Lo spirito del padre, parlò, ma dalla sua bocca usciva il suono della voce di fra’ Paolo:
- Non c’è esorcismo che possa liberarci da Satana in persona, figlia mia. C’è un solo modo per salvarsi: quello che utilizzò Gesù Cristo nel deserto, quando per tre volte lo sconfisse…-.
- E qual è questo modo? –
- La Fede e l’amore! – rispose lo spirito e scomparve.
Quando Rosetta giunse nei pressi di Sara, la trovò sconvolta. La ragazza, che aveva riposto il coltello, era confusa, smarrita e balbettava.
- Sara…- disse Rosetta – Cosa ci fai qui da sola? -
- Io…io…-
- Sono passata davanti casa di Mario. Deve essere accaduto qualcosa perché c’erano tutte le luci accese e attraverso i vetri ho potuto vedere che c’era una grande confusione ed agitazione. Qualcuno, mi sembra fosse il padre, gridava un nome…-
- Iblis? –
- Iblis, si!-
Senza perdere un solo istante Sara corse a casa di Mario, e, quando bussò alla porta, qualcuno le gridò dall’interno: - Via! Via! Mostro immondo, va via! – Allora la ragazza insistette nel bussare, fino a quando non le aprì Adolfo. La scena che le si parò davanti agli occhi era a dir poco formidabile: Salvatore, mio cugino, camminava carponi in terra come un cane e pronunciava continuamente il nome Iblis; la moglie Anna, zozza come non mai, rovistava in tutti i cassetti dei mobili gridando forsennatamente: - Dov’è il mio denaro? – Poi, piangendo, strappandosi i capelli e picchiando il marito, gli chiedeva: - Dove lo hai nascosto, bastardo? – Mentre Lorenzo ed Adolfo cercavano disperatamente di trattenerla, Mario, con le mani insanguinate per i pugni che aveva sferrato in quasi tutti gli specchi di casa, gridava: - Basta, razza di carogne! Non vi sopporto più! –
- Sara…- disse Adolfo – Lui è qui! Si aggira per il giardino. Ha distrutto il pupazzo in cantina e ne ha preso la falce con la quale ha ammazzato il cane. Ora è qui…da qualche parte…intorno alla casa. Io pe…-. Non finì neanche di parlare che la porta, colpita da un tremendo colpo di falce,volò via in frantumi e sulla soglia comparve lui, il gigante di rame, rosso come non mai, dallo sguardo fulminante, cupo e maligno. Girò meccanicamente la testa a destra ed a manca, come per rendersi conto della situazione, poi fece un lungo passo ed entrò.
- Fu allora che Sara gli si parò davanti e ripeté le parole del frate: - “ Nessuno, quando è tentato, dica: sono tentato da Dio, perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male!”-.
Il gigante la spostò con estrema violenza, mandandola a sbattere con la schiena su una parete di casa, poi si diresse verso mio cugino che ancora ripeteva: - Iblis…Iblis…Iblis…-. Lo prese per il collo e lo sollevò con una sola mano. Mio cugino, stretto alla gola, cominciò a scalciare, ripetendo, sia pure a malapena, sempre lo stesso nome, fino a quando, sbattuto anch’egli su una parete, svenne. Allora il mostro si diresse verso Mario che non oppose la minima resistenza allorché si accinse a strangolarlo. In quello stesso istante Sara si rialzò e con un balzo lo assalì alle spalle, gridando: - Siamo molto deboli: la nostra vita e la nostra fede sono sempre in pericolo. Il nostro amore al Padre è minacciato. Che cosa ci resterebbe se esso scomparisse? -.
Il mostro cercò di liberarsi di lei girando su sé stesso e facendo roteare la falce, pur senza mollare Mario, ma Sara, imperterrita, gli si strinse al collo sempre di più e continuò: - E’ Dio stesso che ci mette alla prova! Egli deve vedere se lo amiamo davvero! Ma il nostro nemico ne approfitta e trasforma le prove d’amore in tentazioni contro il Padre!-.
Nel cercare di divincolarsi dalla stretta di Sara, il mostro, finalmente, lasciò andare Mario e portò entrambe le mani alle orecchie per non ascoltare ciò che diceva la ragazza. Nella foga finì nella stanza da letto di mio cugino, dove riuscì a prendere Sara per i capelli ed a mettergli le mani alla gola. La donna, con un filo di voce, pregò: - Più numerosi dei capelli del mio corpo sono i demoni che ci odiano perché siamo a tua immagine e somiglianza, Signore. Mio Dio, non essere lontano, ascolta la voce del mio grido! Vieni ad aiutarmi! -.
Il mostro la costrinse sulla parete accanto al letto, e quando, ormai, alla ragazza stavano per venir meno le forze, ella, tastando con la mano destra a tentoni sul muro, trovò un crocifisso di ferro, lo impugnò e, con estrema violenza, lo conficcò nel cranio del gigante. Questi emise un urlo tremendo e lasciò subito la presa. La ragazza cadde in terra, mentre dal foro provocato dal colpo, in forma estremamente evanescente, volarono via le anime di fra’ Paolo, Clara, Nino, e di seguito, altre di persone sconosciute. Man mano che le figure volarono via, il mostro di rame, come se si vuotasse gradatamente, si afflosciava sempre di più, fin quasi a dileguarsi e scomparire completamente.
Di quell’avventura, Anna, la moglie di mio cugino e suo figlio Mario non ricordavano praticamente nulla, mentre Sara, Adolfo e Lorenzo non ne vollero più parlare. Solo il mio diretto parente serbò memoria di tutto quanto e mi raccontò l’intera vicenda in una lettera che si concludeva così:
- …Nell’eseguire i lavori di casa, qualche tempo dopo, mia moglie trovò quell’antico crocefisso di rame sotto il nostro letto. Io decisi di riportarlo subito colà dove lo avevo trovato, e per evitare che qualcun altro potesse rinvenirlo lo seppellii sotto un buon mezzo metro di terra. Nel concludere questa mia, caro cugino, colgo anche l’occasione per annunciarti il matrimonio di mio figlio Mario con la sua fidanzata Sara. Mi farà veramente piacere se potrai intervenire in luogo e data indicati sull’allegato invito.-.
Il feticcio giacque sepolto per parecchio tempo, ma poi le piogge ed il vento lo riportarono via via di nuovo alla luce. Qualcun altro lo trovò, ma questa è un’altra storia della quale non ho alcuna notizia.
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