Scritto da © Sabrina Montini - Mar, 04/10/2011 - 12:24
Dans les outres des draps gonflés
Où la nuit entière respire,
Le poète sent ses cheveux
Grandir et se multiplier.
Sur tous les comptoirs de la terre
Montent des verres déracinés,
Le poète sent sa pensée
Et son sexe l'abandonner.
Car ici la vie est en cause
Et le ventre de la pensée;
Les bouteilles heurtent les crânes
De l'aérienne assemblée.
Le Verbe pousse du sommeil
Comme une fleur ou comme un verre
Plein de formes et de fumées.
Le verre et le ventre se heurtent,
La vie est claire
Dans les crânes vitrifiés.
L'aréopage ardent des poètes
S'assemble autour du tapis vert
Le vide tourne.
La vie traverse la pensée
Du poète aux cheveux épais.
Dans la rue rien qu'une fenêtre,
Les cartes battent;
Dans la fenêtre la femme au sexe
Met son ventre en délibéré.
(revue "Le Disque vert" - n° 3/1925)
Reproduit dans
L'Ombilic des Limbes suivi de Le Pèse-nerfs et autres textes
(Ed. Gallimard, 1977 - p. 186)
traduzione:
Negli otri delle lenzuola gonfie
dove l'intera notte respira,
il poeta sente i suoi capelli
crescere e moltiplicarsi.
Su tutti i banconi della terra
salgono bicchieri sradicati,
il poeta sente il suo pensiero
e il suo sesso abbandonarlo.
Poiché qui la vita è chiamata in causa
come il ventre del pensiero;
le bottiglie urtano i crani
dell'aerea assemblea.
Il Verbo spunta dal sonno
come un fiore o un bicchiere
pieno di forme e fumi.
Il bicchiere e il ventre cozzano,
la vita è chiara
nei crani vetrificati.
L'areopago ardente dei poeti
si raccoglie intorno al tappeto verde
il vuoto gira.
La vita attraversa il pensiero
del poeta dai capelli folti.
Nella strada nient'altro che una finestra,
si mischiano le carte;
alla finestra la donna col sesso
mette in mostra il suo ventre.
Nato a Marsiglia nel 1896, a Parigi nel 1920 si dedica al teatro e nel 1924 si unisce al movimento surrealista. Gli si rimprovera il suo individualismo e perciò nel '26 lascia il gruppo per formare il Théâtre Alfred Jarry.
Dopo un viaggio in Messico dove conosce la cultura indiana, si appassiona alle feste rituali che rispondono alle sue concezioni di spettacolo.
Insorge contro il teatro “psicologico” e quello di puro divertimento.
Pensa che gli scopi del teatro siano la creazione del mito, la rappresentazione della vita in ciò che ha di più selvaggio e universale. Secondo lui, l'unione tra corpo e cosmo deve avvenire in una specie di trans in cui si aboliscono le frontiere tra spettatore e spettacolo. Per creare questo stato, dà la preminenza alla scena: luci, musica, costumi, sfondo, balli diventano mezzi essenziali di espressione. Nel suo desiderio di autenticità vuole che il teatro sia uno spettacolo completo, la celebrazione di un rito, una cerimonia per esorcizzare il male, nell'ambito del progetto di restituire all'arte la sua funzione sacra che ha ormai perso. (“Le Théâtre de la cruauté”, 1933, ripreso in “Le théâtre et son double” Gallimard, 1938).
Internato per nove anni in un ospedale psichiatrico, muore due anni dopo la sua guarigione, nel 1948, per un cancro.
Le sue poesie “L'Ombilic des limbes”, 1925, proiettano il lettore nel mondo dell'insolito e della violenza assoluta.
In una recensione, Federica Turriziani Colonna parla di Artaud come di “Un uomo d’arte: poeta, regista di teatro, pittore”: “C’è un Artaud poeta, un Artaud regista di teatro, un Artaud pittore. Quanti Artaud, dunque? Solo uno. Semplicemente, un uomo d’arte. Egli non si occupò di ciascuna disciplina in momenti diversi della sua vita, ma di tutte contemporaneamente. Da giovanissimo, egli inviò alcuni suoi manoscritti in versi alla prestigiosa rivista “La nouvelle revue française”, che però non glieli pubblicò; di lì ebbe inizio un'intensa corrispondenza con il direttore di quella rivista, Jacques Rivière: ma se le poesie non erano pubblicabili, le lettere in cui Artaud parlava dell’impossibilità di scrivere, giustificando i suoi versi come parole strappate al nulla in cui sprofondava di tanto in tanto il suo spirito, ebbene, la corrispondenza, che mostrava un Artaud estremamente lucido nella diagnosi della sua malattia dello spirito, fu invece pubblicata, su proposta dello stesso Rivière. Perché, allora, quelle poesie non erano pubblicabili? Perché mancavano di un preciso oggetto d’analisi, per cui Artaud, nella totale libertà di scrivere, scriveva… male, stando a Rivière, o almeno versi che non potevano essere pubblicati. Ma Artaud non riusciva ad accettare che una gravidanza dello spirito non fosse pubblicabile, e nella corrispondenza è evidente che il problema non era tanto quello di comparire su una prestigiosa rivista, ma di sapere se fosse degno di continuare a pensare..”
Artaud disse:” Io, Antonin Artaud, non voglio scrivere se non quando non ho più niente da pensare. Come chi divori il proprio ventre, l'aria dei suo ventre, da dentro.”
recensione
Eliogabalo (Antonin Artaud)
Dans les outres des draps gonflés
Où la nuit entière respire,
Le poète sent ses cheveux
Grandir et se multiplier.
Sur tous les comptoirs de la terre
Montent des verres déracinés,
Le poète sent sa pensée
Et son sexe l'abandonner.
Car ici la vie est en cause
Et le ventre de la pensée;
Les bouteilles heurtent les crânes
De l'aérienne assemblée.
Le Verbe pousse du sommeil
Comme une fleur ou comme un verre
Plein de formes et de fumées.
Le verre et le ventre se heurtent,
La vie est claire
Dans les crânes vitrifiés.
L'aréopage ardent des poètes
S'assemble autour du tapis vert
Le vide tourne.
La vie traverse la pensée
Du poète aux cheveux épais.
Dans la rue rien qu'une fenêtre,
Les cartes battent;
Dans la fenêtre la femme au sexe
Met son ventre en délibéré.
(revue "Le Disque vert" - n° 3/1925)
Reproduit dans
L'Ombilic des Limbes suivi de Le Pèse-nerfs et autres textes
(Ed. Gallimard, 1977 - p. 186)
traduzione:
Negli otri delle lenzuola gonfie
dove l'intera notte respira,
il poeta sente i suoi capelli
crescere e moltiplicarsi.
Su tutti i banconi della terra
salgono bicchieri sradicati,
il poeta sente il suo pensiero
e il suo sesso abbandonarlo.
Poiché qui la vita è chiamata in causa
come il ventre del pensiero;
le bottiglie urtano i crani
dell'aerea assemblea.
Il Verbo spunta dal sonno
come un fiore o un bicchiere
pieno di forme e fumi.
Il bicchiere e il ventre cozzano,
la vita è chiara
nei crani vetrificati.
L'areopago ardente dei poeti
si raccoglie intorno al tappeto verde
il vuoto gira.
La vita attraversa il pensiero
del poeta dai capelli folti.
Nella strada nient'altro che una finestra,
si mischiano le carte;
alla finestra la donna col sesso
mette in mostra il suo ventre.
Nato a Marsiglia nel 1896, a Parigi nel 1920 si dedica al teatro e nel 1924 si unisce al movimento surrealista. Gli si rimprovera il suo individualismo e perciò nel '26 lascia il gruppo per formare il Théâtre Alfred Jarry.
Dopo un viaggio in Messico dove conosce la cultura indiana, si appassiona alle feste rituali che rispondono alle sue concezioni di spettacolo.
Insorge contro il teatro “psicologico” e quello di puro divertimento.
Pensa che gli scopi del teatro siano la creazione del mito, la rappresentazione della vita in ciò che ha di più selvaggio e universale. Secondo lui, l'unione tra corpo e cosmo deve avvenire in una specie di trans in cui si aboliscono le frontiere tra spettatore e spettacolo. Per creare questo stato, dà la preminenza alla scena: luci, musica, costumi, sfondo, balli diventano mezzi essenziali di espressione. Nel suo desiderio di autenticità vuole che il teatro sia uno spettacolo completo, la celebrazione di un rito, una cerimonia per esorcizzare il male, nell'ambito del progetto di restituire all'arte la sua funzione sacra che ha ormai perso. (“Le Théâtre de la cruauté”, 1933, ripreso in “Le théâtre et son double” Gallimard, 1938).
Internato per nove anni in un ospedale psichiatrico, muore due anni dopo la sua guarigione, nel 1948, per un cancro.
Le sue poesie “L'Ombilic des limbes”, 1925, proiettano il lettore nel mondo dell'insolito e della violenza assoluta.
In una recensione, Federica Turriziani Colonna parla di Artaud come di “Un uomo d’arte: poeta, regista di teatro, pittore”: “C’è un Artaud poeta, un Artaud regista di teatro, un Artaud pittore. Quanti Artaud, dunque? Solo uno. Semplicemente, un uomo d’arte. Egli non si occupò di ciascuna disciplina in momenti diversi della sua vita, ma di tutte contemporaneamente. Da giovanissimo, egli inviò alcuni suoi manoscritti in versi alla prestigiosa rivista “La nouvelle revue française”, che però non glieli pubblicò; di lì ebbe inizio un'intensa corrispondenza con il direttore di quella rivista, Jacques Rivière: ma se le poesie non erano pubblicabili, le lettere in cui Artaud parlava dell’impossibilità di scrivere, giustificando i suoi versi come parole strappate al nulla in cui sprofondava di tanto in tanto il suo spirito, ebbene, la corrispondenza, che mostrava un Artaud estremamente lucido nella diagnosi della sua malattia dello spirito, fu invece pubblicata, su proposta dello stesso Rivière. Perché, allora, quelle poesie non erano pubblicabili? Perché mancavano di un preciso oggetto d’analisi, per cui Artaud, nella totale libertà di scrivere, scriveva… male, stando a Rivière, o almeno versi che non potevano essere pubblicati. Ma Artaud non riusciva ad accettare che una gravidanza dello spirito non fosse pubblicabile, e nella corrispondenza è evidente che il problema non era tanto quello di comparire su una prestigiosa rivista, ma di sapere se fosse degno di continuare a pensare..”
Artaud disse:” Io, Antonin Artaud, non voglio scrivere se non quando non ho più niente da pensare. Come chi divori il proprio ventre, l'aria dei suo ventre, da dentro.”
recensione
Eliogabalo (Antonin Artaud)
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