Scritto da © Amina Narimi - Mar, 29/03/2016 - 21:30
…Ben oltre c’è la vita
La ferita più profonda che si allarga,
nel tuo viso fertile, compiuta
grido
che c’è pace, nella pelle
che si apre
la gioia di portarti sulla bocca
nel sentirti venire come neve
nel buco più divino del midollo
e ancora non tocchi tutto dell’amore
dei fili dorati che vanno dentro agli occhi
dove entra ogni notte il bambino che esce
da tutta la carne, al mattino
dove ti imploro- in mezzo alle acque
alla casa all’origine, nella vulva di Inanna-
“nel grembo di miele, discendi,
sulla tua barca celeste”e tu, come un santo,
ti unisci all’amplesso, più sacro.
Quattro piedi quattro muri nella casa
di quarantena, quarant’anni di deserto
e per quaranta nel digiuno sei passato
in sette quarantene nel mio ventre
dalla porta. Un’apertura in movimento
svegliando i cani i domestici e il giardino
penetrando la foresta per brillare
dove ti eri addormentato, ti fai nuovo
nella carne della sposa che ti sei,
baciando il parto che ti accoglie .
Con le luci capovolte della pelle
sia fatta la tua anima
con tutto il peso assunto nelle altezze
delle terre più profonde che hai solcato
Abbiamo avuto fin seicento anni
e millemila matrimoni nella pancia
fino al frutto che mangiamo, e siamo noi
le pietre, nell’arco della nube,
e nudi come mai insieme ebbri
della Grande sera al domani che ci canta
padri e figli,
senza paura della morte che è la nascita.
Nell’erezione di Moseh oscilla ancora
nell’arca delle madri spingi con la testa
fino al Nome
nello splendore delle contrazioni,
una dopo l’altra,
facendo delle vertebre un dipinto
del bimbo rosso tra i giunchi che si allargano
nell’uomo verde, è la Pesah, l’uscita
il passaggio di ogni porta, la parola
per parola, il tuo nome che contiene,
penetrando, la tenebra finale
con la stessa lingua che è la Nostra
Pasqua
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