Scritto da © Amina Narimi - Gio, 23/04/2015 - 15:54
Una notte intera ferma poco
l’uovo luminoso da cui nasce,
lasciando buchi
in ondate che si estinguono
come allunga la mano alla mia tesa,
capace di splendori. Come pazza
mostravo tra le mani una canzone
contemplando un'altra forma dell’amore,
come un Dio inabissato che risorge
con la freccia inavvertita, che non brucia.
Un evento naturale. - mi ripeti-
Custodiremo questa grazia pura.
La bianca, ancora intatta tra le dita,
distribuendosi in un’ombra appena nata
del bambino dell'albero e l'uccello,
ci rimanda nell'orecchio l'amicizia,
la parola favolosa sulla carta,
col suo nome primitivo prende forza
offrendoci la gola, schiena a terra
nel viso silenzioso dell'infanzia.
Senza paura ci scambiamo il sangue
con le dita passate sulle labbra,
appena incise con la pietra, rosa.
la vertigine è il linguaggio,
più argentea del lulan mosso dal vento
più madre di una lepre nella tana,
una tigre nata al buio della bocca
quando porge il muso insanguinata
e muore
affidandosi al segreto: che rimane
è un calpestio di cervi nelle vene-
nello stadio del respiro fuoribordo,
una danza nelle fiamme per soffiare
col silenzio sulle spalle di un monsone-
purificati, senza entrar nel Nilo,
nel rosso mistico dei papaveri da frutto,
con la grazia più violenta, far l'amore
in una via qualunque del mattino
con la lingua colata nella vita,
per donare, con la bocca ancora calda,
la mistura di una luce così intensa
-nell'acuta tensione, nel contagio,
ha qualcosa di talmente oscuro
l'odore della cerimonia
che confonde il senso fino a quell’istante
cieco col vedere che si accende
da se stesso, che s’incide come carne
che raccoglie la bellezza.
E tutto è obliquo, come il mio tremare
che non cessa di discendere e curvarsi,
in ogni anfratto scuro, trascinando
con sé il tempo, dove l’iride risplende
senza distinzione fecondando
il gemito, il sussurro destinato. -
Allora il punto più vicino della terra
non è il punto del cielo più lontano,
di qui la pace che discende
del mio sentirmi insieme allo scoperto
e al centro di me stessa. La parola,
liberata dal linguaggio
non è lontana dal silenzio
e comunione
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