Scritto da © Amina Narimi - Ven, 28/07/2017 - 11:27
Ai suoi piedi nascono fiori
con l’intensità di un primo amore,
la luce del fuoco.
Come un’acqua limpida,
la mano del calore,
cola sulle mie spalle
brillanti di cenere.
Una figura potente, come il sole
vuole sbucare fuori
dal ventre della montagna
e uscendo dalla bocca
si posa inaspettata
sulla lingua, forte, urgente.
Con il grido di una pianta
strappata dalla terra
qualcosa viene ad aggiungersi alla sua luce
qualcosa dentro la pelle
che fuori ha il suono
dei figli del crepuscolo, della vita
qualcosa che non si può paragonare
a niente di vissuto-
una forma di tempo, una durata.
Ma non era tempo, non era durata.
Aria
era aria che trasudava gocce somiglianti
alle loro forme madri
dal calore la forma
dalla forma il movimento
dal movimento i colori, dai colori
il sapore e insieme odore. Odore.
Ho accolto la neonata,
l’auriga che ogni notte si rinnova
dalle acque notturne in cui è rimasta assopita,
che nell’ultima ora ha lottato, con amore.
Nel singolare arrestarsi di ogni movimento
ha fatto nuovo qualcosa di antichissimo
partorendo ciò che è vecchio.-
Una volta era già in alto, io credo,
non c’è parte che non ritorni nell’anello
sempre più in fondo. E da ultimo
saremo nel punto più basso- dicevi-
del nostro fiume poi lago e ancora mare,
luogo di morte luminosa, finché l’acqua
non si sollevi in cielo
come vapore,
per ricadere in pioggia...
“ Lo spirito e la sposa dicono:
Vieni. E chi ode, dica vieni. Chi ha sete, venga
Chi vuole, prenda in dono l’acqua della vita “
Versando seme vivo fra le ombre azzurre,
meridiane dei morti,
si è accostata, mammet,
con un lieve ronzio
simile a quello prodotto dalle ali
dello scarabeo.
Il canto delle ali dorate
mi ha permesso di riconoscerla. In quell’istante
si è posata come una egretta sacra
sul mare
un guscio sono divenuta. Un giorno
due giorni molti giorni cinque anni. Oggi
la luce del giorno illumina
l’ombra del sole, l'Elba,
che abitava sotto l’albero dell’acqua-
Non la comprendevo, ma sapevo di Lei
che cresceva.- Non è accaduto nulla, dici,
e tuttavia si è prodotto un soave ed ineffabile
mistero: io sono uscita dal cerchio che ruota
toccando il tuo fiore alla sommità dell’albero
le ali, che tornavano. Verso la sua stella
siamo uccelli d’oro sul ramo delle luci,
utero della chioma fiorita,
silenzio
delle sue profonde radici.
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