Scritto da © giuseppe pittà - Sab, 16/06/2012 - 19:16
sangue di
cervello
nel mio sogno il più
sbugiardato
di un dio senza più
distanza di fiume
nelle parodie di una
frescura da dolci acque
montane
la mia città vola
troppo in alto
in questo canto di
strana porpora poesia
di un sonopazzo senza veli
vestito di rosa e fuxia
come in una tuta di
latex scamosciata di
fodera ad uccidere
in questo caldo semifocoso
dove la birra diventa
piscio di calabrone
canto per te l’ultima
canzone di
questo amore interno a
tubo di scappamento
sinistro disastroso mai
veramente assicurato
corro
perché la corsa è
distanza
perché sa essere la
migliore terapia alla fermata
correndo come un
avvoltoio in fiamme di
roccia e prateria
aspettando mi
arrivi addosso l’orda di
un urto della loro cavalleria
di quei gridolini di
finti indiani
geronimosi e distinti
parlottanti di
idiomi a duello gutturale
estraordinari nei
passaggi
nelle mire dei
coltelli
nelle punte estreme delle
frecce
forse
confondo
le speranze del
mio texas
in questo cuore impavido di
straniero
nelle strade dove
imparai l’uso del gladiatore
nei palpiti delle ferite
delle storie in cui perdonavo
in quelle più numerose
dove ero perdonato
ritorno a
confusione nella nebbia di
ieri
abbracciandomi alle
circonferenze della nostra verità
dove ti uccido ancora
senza tentennamenti e dubbi
soltanto inquadrandoti di
mirino
tirando il cane grilletto
bum bum sparatoz
ohi ohi
finito
qui
e
la città
anche oggi
come sempre si
risveglia
stanotte è stata nella
notte fonda
di una oscurità senza tempesta
moribonda e infelice
nei sorrisi delle prede straniere
bionde spendaccione
odorose di deodoranti e
saponi fin troppo intimi
notte famelica e costosa con
il mio rum troppo bollente per
esser vero
troppo consueto per
esser nuovo
ma le tue labbra mi
hanno rincuorato per
le soluzioni
le tette hanno punto i
punti giusti seguendo le
cicatrici sul cuore
ed io
che ormai vivo in
un francobollo di automaldicenza
dovendo per contratto
arrivare sempre all’alba
mi infilo tutto stretto nel
solco delle tue nuvole
nell’orizzonte della metropoli
dove senza lode e
senza alcun merito
ritrovo della
mia storia di roma
la smisuratezza dei
deliri
l’antichità del tuo
volto
il bacio migliore della
vita
la saggezza di
zeman
e il mestruo del
mio solo
unico
cielo
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