Scritto da © Franca Figliolini - Dom, 17/01/2010 - 07:00
Neanche l'essere un dio
mette al riparo dal dolore
:
considerate la sorte di Apollo,
dio delle arti, della musica, della medicina,
auriga del cocchio solare,
il potente e bellissimo Febo,
dio oracolare
che ci parla attraverso la Pitia.
Voi che v'inchinate alla sua potenza
voi che ad ogni alba ne seguite l'arco in cielo,
voi che ne invidiate lo splendore,
voi no, voi non sapete
quanto soffrì per amore
l'Apollo divino.
Ci fu Dafne, che amò non riamato
per il capriccio e l'invidia di Cupido;
poi Cassandra, che si rimangiò
- oh, a che terribile prezzo! -
la sua promessa d'amore.
E persino gli fu preferito un umano:
Marpessa scelse Ida,
perché l'uomo e non il dio
sarebbe invecchiato con lei.
E poi ci fui io, io, Giacinto.
Oh, come teneramente ci amavamo
e giocavamo e discorrevamo insieme!
Ma un giorno caddi, colpito a morte
dal disco da lui lanciato.
C'è chi dice sia stato un errore del dio
e chi pensa fu l'invidia di Zefiro,
ma insomma morii, tra le braccia sue forti.
ai, povero Apollo, come pianse e gridò!
Non volle fossi trascinato nell'Ade
e trasformò il mio sangue in un fiore.
Con le sue lacrime sui miei petali
incise le sillabe del dolore.
Mi chiedete perché io compianga
la sorte del dio e non la mia?
Ad ogni primavera io torno a fiorire
e il mio nome risuona nel mondo.
E invece chi più si ricorda di Apollo?
Il mio dio negletto continua a solcare i cieli
ogni giorno più stanco
sulla sua biga dorata.
Da qui lo guardo, lui che m'illumina,
ma non so dirgli l'amore
e trasudo rugiada come lacrime.
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