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Śiva, l’asceta erotico – Enrico Borla ed Ennio Foppiani

<< Dopo essere apparsa a Brahmā e a Visnū sotto forma di un cadavere infestato dai vermi ed essere stata rifiutata, Devī andò da Śiva e inizialmente non riuscì a scuoterlo dalla meditazione. Sprigionò un vento profumato che portò atomi del suo corpo alle narici di Śiva. Śiva avvertì il profumo e interruppe lo stato di trance e accolse il cadavere tra le braccia, poi si reimmerse nella meditazione. Devī si compiacque di lui e lo riconobbe come śiva. Egli assunse la forma del linga e lei quella della yoni, poi lei mise il linga dentro di sé e si tuffò nell’acqua per creare una progenie.
Il rapporto che legò Śiva con la dea passò dunque soprattutto attraverso l’assunzione del lato mortifero che emana l’eros insito nell’archetipo femminile. Di questo fu sempre conscio Śiva che rifuggì l’eros perché lo distraeva dalla sua ascesi, ma dall’altro lato, consapevole della forza della sua passione accumulata nelle pratiche devote, assunse fin dall’inizio la femminilità come principio inalienabile caratterizzante il suo procedere. È noto come Parvāti fosse l’avatara, l’incarnazione della Devī, e quindi è comprensibile che il rapporto d’amore fra i due si mosse sul doppio binario dell’eros e della privazione, dell’ascesi assoluta e del piacere più totale e in considerazione a ciò Parvāti si pose alla conquista del dio.
Figlia dell’Himālaya, Parvāti fin dall’infanzia mostrò una devozione assoluta nei confronti del dio dai tre occhi. Il suo strumento per esserne degna fu il tapas, l’ardore dell’ascesi. Parvāti desiderò Śiva perché egli aveva distrutto il desiderio e questa motivazione davanti alla negazione del desiderio nel mondo femminile è ben nota psicologicamente, perché il principio femmineo si indigna di fronte all’assenza di passione; nulla infatti offende più una donna che l’assenza di desiderio davanti alla sua profferta e si può ben comprendere il perché: senza la bramosia, il femminile non verrebbe più assunto dal maschile e in breve ogni specie vivente sessuata verrebbe meno.>>

 
(Enrico Borla, Ennio Foppiani, "Losfeld. La terra del dio che danza", Bergamo, Moretti & Vitali, 2005, pp. 160-61)
 

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