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cose così

Quelli shick al bar del corso

chissà perché mi do pena continua
per quello che succede intorno
quasi avessi una sola possibilità
di porvi un qualche rimedio.
Incombe la tenebra nella notte
e alieno stanco nasce il giorno
allora - forse - è meglio andare
per queste strade vuote d'anima ma
piene di gente svagata impassibile
con una tascata di giuggiole mature
succhiarne il dolce succo
e sputare i noccioli sui cappellini
alla moda sui calzoni falsovecchio
di quelli seduti sul mondo
al bar shick del corso principale.
 

La stella che invidiava le stelle

Quella notte avevo deciso di ammirare il cielo stellato da una posizione privilegiata, seduto su di un poggio naturale lassù in montagna dove avevo acquistato una casetta. Lo spettacolo naturale era di quelli mozzafiato, che solo la montagna in stato di grazia sa donare. Ad un passo dal cielo tutto acquista una dimensione più intimistica, il respiro si cheta e lo sguardo viene inevitabilmente catturato dalla magnificenza di un cielo stellato. Stavo così, rapito, la mente sgombra da fardelli inutili, in pace con me stesso, quando fui attratto da un pianto sommesso. Era un suono flebile seppure distinguibile che immediatamente riconobbi come un pianto. Sì, qualcuno stava piangendo sommessamente accanto a me. Alquanto preoccupato, poiché reputavo esser solo, scattai in piedi, girai lo sguardo e faticosamente cercai qualche presenza nel chiarore riflesso della notte. Niente, non vi era nessuno. Sedetti di nuovo e nuovamente il pianto fu percettibile, stavolta più distintamente. Abbassai istintivamente lo sguardo e allibii. Una stella alpina proprio accanto a me stava singhiozzando disperatamente. Non credendo ai miei occhi e soprattutto ai miei orecchi mi chinai verso lei e fu allora che sentii distintamente una vocina che diceva: <<Vorrei un paio d’ali. >> Sempre più basito non seppi trattenermi e domandai <<Un paio d’ali? Come mai e cosa ne faresti, tu d’un paio d’ali?>> Mi rendevo conto che la situazione era assurda, ma la montagna fa anche di queste magie. <<Raggiungerei le mie sorelle – disse la stella – loro sì che sono ammirate e hanno vestiti brillanti che attirano sguardi. Io qui, ancorata alla terra, nessuno mi vede. >> Invano cercai di convincerla spiegandole che una stella alpina come lei era un dono meraviglioso della natura, la firma inconfondibile della sua bellezza. Niente da fare. Leggi tutto »

Livorno

 
certe volte siedo ancora
sulla spalletta del fosso (*)
stesso posto come cent'anni fa
a rimembrar la stessa gente passare
portando vecchi fardelli pesanti
borbottando tra se imprecando
e qualche importuno schiamazzo
scappare via a volo passero radente
quotidiane faccende in ciabatte
delle donne ai banchi del pesce
le giacche a spalla dei portuali
giù dal turno, abbottonati quelli
che andavano a montare sul trasto
lenti scricchiolare i navicelli (*)
imprigionati alle banchine
sfregandosi per le spinte d'onda
di qualche barca a motore
verso la darsena della fortezza vecchia
il grido gioioso di finto spavento
d'una madre che rincorre un elfo
irridente mezzo nudo inzaccherato
che finge d'essere imprendibile.
 
(fosso=canale; navicello=barcone da scarico)

prego

Farò un rosario
con chicchi di melograno
che la lingua testarda
non paga ancor prega
 
Piovimi occhi e rubini
nel ventre
e diverranno la saliva
che lentamente ingoio
sgranami di baci
tra i denti
a boccate
rabbocca e abbocca
a filo sul palato
oltre le nuvole
Così sia.

Le corriere

Ne guardavo di corriere, l’estate dopo cena
ormai di un vuoto elettrico, ultimo
tratto di profumi
galleggianti fin sulla porta di casa
un blu di olfatti che impediva di dormire
piegavano le notti come il grano
lucciole a noi, di diciannove anni
 
oggi
fra qualche pieno e vuoto
gira e rigira sono sempre quelli
i balsami nell'aria

troppo fumo

Ho scolato il bicchiere
incidendo il tuo nome
a rilievo sul legno
e atteso
mi ciondola la testa
e non sono sbronza
ma dubbia

Troppo fumo in questo bistrot
tarli alle panche
rhum di melassa sbiadita
e insulso vociare

Troppo fumo in questo bistrot
esco
chè mi lacrimano gli occhi
 

 

Nuovi angeli

siede sulla grata d'areazione
ai piedi della falesia metropolitana
formicaio vetro e acciaio
regalmente assiso nella postura del loto.
ciglia rasate e palpebre come valve
chiuse, di taglio esotico
bistrate in tonalità d'azzurro chiaro.
pelle ambrata senza età
spunta dall'abito consunto
in mille piccole rughe.
è congenere e alieno
al fluire apparentemente caotico
che lo aggira lo supera va oltre.
attira magnetico quasi avesse
un'aura che lo pervade a nudo per
l'assenza di beni evidenti, soltanto
una ciotola di legno poggiata a terra
consumata dal lungo uso.
poi scompare e lo sguardo lo cerca
al suo posto resta un cartone azzurro
gualcito dall'impronta sedile
sul quale campeggia l'acronimo
TWA.
 

Il barbone inconsistente.

 
mi chiamano barbone
non lo sono.
non mi cresce neanche più
rada spinosa
come quella d'un cane
incrociato col procione.
si è vero bevo
vorrei veder voi con quello che...
bevevo anche prima lo sapete
per stordirmi non pensare
che non ero all'uopo acconcio.
lei voleva questo e quello
me brillante intraprendente
ed io ero soltanto capace
di leccare il suo sudore eccitante
di quando tornava dalla corsa
insieme a quanti come lei
spendevano la vita
a fare niente.

Il tempo buono

 
è tempo buono questo
per vivere una stagione nuova
ha cosce e seno di pane bianco
soffice profumato appena sfornato
un sorriso accattivante complice
una voce sommessa appena un alito
quando ti abbraccia e sfiora il collo
e ti racconta della vita che corre via
di quanto lunga sarà da oggi ancora
sa far da dio l'amore lieta e serena
e dopo una sua sigaretta e un goccio mio
aleggiano indifferenti discorsi di poesia
musica prosa politica e religione
finché il ticchettar dell'ore non dice
è tempo.

L'amor foresto

 
Calle celata ai distratti
ricolma d'afrore pungente
Scorcio notturno, riposto
gerani vivaci e piovasco
 
Frenesia d’amore “foresto”[1]
brama scarlatto sipario
Petali dischiusi, lamento
respiro corto d'alito lento
 
Luna si fa altalena
schiava d’amore in piedi
Arpeggio delizioso, dita
flebile  lanterna antica
 
Manuela
 
[1]  (non della zona, non di Venezia)

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