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Ho una faccia sfatta, catarrosa.

Ho una faccia sfatta, catarrosa.
Oramai dimentico di Joinville le pont
saggio una ad una le molliche
che ho sulla barba.
Avete presente un'ameba?
Ecco, io sono un'ameba,
un pigro incitatore di peripezie verbali.
A chi queste quiete verità?
A chi l’affaccio al dirupo?
Non c’è pubblico per chi scrive
con i calli che ha sui piedi.
 
 
*
 
 
Altra mattina imbozzimata. Sdirrupata.
Tra me e l’abisso c’è la geometria ottusa
della voluttà delle parole.
Il simbolo come casa della repetita.
Ogni risveglio, gli stessi gesti consueti,
la stessa maniacale obliante malinconia.
La vera impresa non è mostrarsi
interessati al fonema,
ma comprendere
il residuo
che sta tra una parola e l’altra.

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