Bebber Taravella -Im_perfette In_fusioni | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Bebber Taravella -Im_perfette In_fusioni

Bebber mostra
 
È il bisogno di esprimere e far emergere il disagio la causa finale di queste opere: un disagio che è disadattamento e che sceglie artificio e natura per parlare. L'uditorio è universale; i toni sono incolori, dal bianco puro al nero assoluto, passando per tutta la scala di grigi; i contenuti sono letteralmente strappati alla quotidianità, snaturati, combinati, fusi in forme strazianti, fatti oggetto di metamorfosi fantastiche, resi protagonisti di ambientazioni oniriche e surreali. Chi guarda si mette in ascolto, come in attesa di un suono, non riuscendo ad immaginare se sarà musica o parola o un grido. Il visitatore saprà scorgere l'umorismo celato dietro l'angoscia?
Federico Bebber nasce a Udine nel 1974; si occupa di arte digitale dal 1998. Da allora produce le sue opere utilizzando strumenti digitali su materiali foto-illustrativi; il processo creativo è solitamente lento e notturno. Grande opportunità che mi si dona... finalmente unire le immagini, la meravigliosa arte di Bebber un fotografo che amo alle mie parole...alle mie umilissime sensazioni.
Vi auguro di gustare appieno ogni singolo fotogramma, che colpisce per la sua perfezione e per il suo arrivare ai nervi in scosse telluriche di meraviglia.

Antonella Taravella

 
La notte ha un ventre molle che partorisce embrioni, ramifica d’angoscia dentro nidi nei quali improvvisi s’insinuano spiragli. Lampi di luce a illuminare abissi, flash di forme e scorci sull’esistenza, sull’intima natura della propria tempra. Da questo momento notturno, da questa angoscia esistenziale spesso nasce l’atto creativo. La notte è nelle mani e nelle immagini di Federico Bebber, l’autore che per “fotoimpasto” di nero assoluto, purissimi bianchi, grigi, sfumature, chiaroscuri, nelle sue creazioni riesce a dare alla notte quella luce che è squarcio tra le tenebre. L’oscurità vivifica, si popola di germi, esseri che danno vita a un mondo fantastico e nascosto. Fiabesco e orrido, meraviglioso e angosciante, bellissimo e incredibile. In questo mondo possiamo camminare solo in punta di piedi, appena respirando, inetti ed estranei, stupefatti, spiando l’arte che si svolge come un filo d’Arianna dipanato da un gomitolo che conduce al mistero, alla stanza segreta, al cuore nero nel covo liquefatto. Bachi rinchiusi negli ovuli setosi di un pensiero creatore. Chilometri di fili che s’involvono e si svolgono fino a scoprire l’essere rinchiuso. Farfalle in potenza. Crisalidi che emergono dal nulla. Parti ed arti, occhi e braccia. Gambe come polpa nuda, rami gonfi tra le viscere del corpo. Utero gravido che laboriosamente espelle forme d’esseri, forse umani, forse elfi o spiriti o fantasmi. Sagome sofferte e sofferenti, strette tra cunicoli ed anfratti, costretti a sfondare o fendere con la stessa materialità del proprio corpo la pressione opposta che li tende. Lembi viscidi e membrane che si affollano a coprirli. La luce è oltre la fatica. Fasci muscolari, squame di serpenti, pelli d’animali, tentacoli a tirare, strati innumerevoli di fango. Mostri oppressi spinti a estrarre dalla viscosità dello spazio scorticato, il proprio viso o parti del corpo maculato, incuneandosi alla vista, emergendo con forza verso lo sguardo. Immortalati nell’istante supremo dello sforzo. Sospesi nell’attimo o sorpresi. D’essere sopravvissuti o semplicemente vivi o ancora una volta nati, partoriti, venuti al mondo. A volte è lo sguardo che s’infiltra, indaga, penetra. Scorge linee morbide e brillanti di cosce, seni o fianchi. Creature ritratte nel luogo del rifugio, nascoste dentro il grembo oscuro che le occulta e le protegge. Segregate al mondo. Nell'umido del buco imbastendo bozzoli sperimentali. Interrotti conati di trasformazione, per speranza o disperazione.
A farsi pelle, mucosa, epitelio, foglia d’albero corteccia. Forme vitali in metamorfosi di specie. Da animale a vegetale. Da umana femmina a mollusco. (Im)perfetta infusione di natura che risucchia ogni essere vivente che in essa e con essa, in tutt’uno assorbito, vive e muore, nasce e finisce, metabolizzato, metamorfizzato. Ogni cupo anelito sfuma nell’ansia liberatoria delle immagini offuscate, quelle in cui più forte si sente l’esplosione di un suono che è grido, è raggiungimento, è soglia. Il movimento che sfoca agli estremi e dentro i particolari, il bianco che splende ed abbaglia, ne fanno potenza divincolata dai lacci, volo e speranza. Si accentua invece il senso di tristezza, di solitudine nella fissità di certi sguardi femminili vuoti, persi in ferite inferte che grondano lacrime ed eritemi. Un continuo e doloroso divenire, l’armonia anelata di una tela di ragno, per devianza di disegno distrutta da un colpo d’artiglio, sfilacciata e confusa. Resti di sogni in porzioni e segmenti. Illuminazioni. Filamenti ostruttivi per avvolgersi a spirale, magma anfibio primordiale da cui emergere a tratti recando il segno dell’abisso tra mani. La notte a raccontare l’ansia dei respiri cessati, del tempo scorsoio, il sangue di ferite innominabili e l’implacabile fine dei cipressi. Un mondo affine quello a cui Morfea77 dà parola. Lingua maledetta. Neve che brucia è Antonella Taravella. Oscurità che splende di contraddizioni. Stille di sangue e baci di fuoco. Gelo d’incendio, inferno di labbra. E poi ancora aghi e chicchi, vetri e tagli, buchi e chiodi, vertigini in gola. Un lessico ricco e fremente, invenzioni originali di costruzioni verbali, potenza, drammaticità. La sua voce in poesia è come un archetto che tende le corde di un violino e ne trae suoni cupi ed intensi. Pervasi d’amore viscerale che, nelle stesse viscere delle figure immaginate da Federico Bebber, si specchia e risuona. Antonella commenta ogni immagine proposta in questa mostra con testi poetici di sua produzione. Un connubio che emoziona. Artisti che restano impressi per piacevolezza del leggere e del vedere che sanno offrire. Un’espressività, quella di entrambi questi autori, da coltivare, osservare, seguire per godimento di chi ama l’arte e ha entusiasmo di incontrare talenti dai quali attendersi sempre nuova linfa creativa e vitale.

Loredana Semantica

 
E la neve s’impiastriccia sulla fronte
cola in rigagnoli a mescolarsi
[in lacrime]
fascinosa m’abbaglia d’oscurità
schiaccia i miei piedi
piccoli trampolini di nudità
[mentre tremo]
nell’alba che avviene
le maledizioni sono bucate pupille
mentre una lama sottile intaglia
[la tempia corrugata]
e vedo il riflesso di un canto smorzato
avrei chicchi di sogni fra le dita
rotolanti silenzi
[abbandonati sui palmi]
di questa notte di dolore
le speranze hanno un solo rumore
come di vetri in frantumi
[colma d’aghi accorciati]
mentre i tuoi occhi chiedono solo il buio
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In fondo sono io quella che ti brama lenta
attendo le tue parole dall'alba al tramonto
ne conto vocali e consonanti sulle dita
ingenuamente sorrido scontrandomi
con la mia stessa pace e memoria
piegandomi ad ogni tuo sbalzo e rettilineo.

Siamo la metà di una mela che si annerisce
nel tempo e nelle mattine scontrose appese
miele che cola su tagli netti e profondi
siamo l'eremita che piega le voglie
la novizia sconsacrata che prega la tua carne
ricercandoci sulle scoscese notti capovolte

E non c'è pace o quiete fra le nostre vite
ma solo silenzi percorsi da gemiti esplosi
fresche promesse fra le coltri che hanno odori
a cui dare nomi da supplicare fremendo
rispettando tempi e credere d'esser fiato
quando si è solo dei corpi a cui rendere ombre.

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La mia carne si sfrega sulle palpebre stanche.
Vomito il terrore che reprimo spingendo le dita sullo stomaco che si contrae.
Si deterge con ondate di nausea.
Sono sfinita oggi più che mai… oggi più che mai.
Non troverò l’alba ad aspettarmi domattina,ma solo altro buio e altro dolore a gocciolare.
Stremata.
Ciondolo le gambe sulla vacuità di questo respiro.
Sono cratere di dolore.
Un vuoto a rendere,un vuoto a perdere.
Un vuoto.
Frantumo le pietre che ho solcato di sorrisi fino a ieri.
Frantumo le dighe che mi hanno sempre reso piccola poltiglia e ora sono diretta nel mare del mio mondo instabile.
E rimarrò tale. Dolorosamente viva mentre il mio sorriso rimarrà violato.
Nella notte che mi disconosce figlia ma mi tramuta in puttana.
Vorace corpo da completare con grugniti e lascivo sperma.
Nel silenzio di un lenzuolo che si fa nodo da grattare e strappare.
E sarà la notte a cullarmi ora.
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Non ho gravità sulle mie braccia
spalancate al mondo le osservo
e con cui condivido il vento

quel profumo che mi scorre addosso
sinfonia dei miei sensi
sopiti sul tuo collo
screziati appena dal sole
che avvolge e riflette

i prismi m’attraversano
si fanno colore e giaciglio
e tutto il tuo dolore è solo un ricordo

un taglio verticale sul passato
e l’oggi è il nostro respiro
il domani la nostra vertigine migliore
marchio rovente sulle corde vocali
che giacciono sconfitte in gola

-mentre l’amore si piaga-

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Ora so che nuoce gravemente alla salute
addentare carni sottili
smuovere con dita bollenti
pigmenti di piacere.

[scalfire nelle notti salate
la friabile dentatura
mentre si muove la città ai nostri infanti piedi]

E la fiamma sui selciati di cielo
è solo un buco nato fra le costole sporche
rinascita spalmata
fra chiodati lembi di nulla.

[evado salvando ciò che non possiedo
masticando ciò che vorrei per non regredire
mescolandomi al mio storpio sentire]

Graffiare le impronte nella neve
per ricordarmi che l’estate
è solo fangosa inquietudine
d’arrestare nel sole in disgelo.

Bebber -Im.perfette in_fusioni
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-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Supervisione: Paolo Rafficoni
-Foto di Federico Bebber.
-Parole di  Antonella Taravella [morfea77]
-Recensione di Loredana Semantica
-Editing: Antonella Taravella, Alexis, Emy Coratti, Anna De Vivo
-Pubblicazione opere di Federico Bebber autorizzate dall'Artista

-tutti i diritti riservati agli autori, vietato l'utilizzo e la riproduzione di testi e foto se non autorizzati per iscritto

 

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